La presa in carico di una persona è un momento cruciale, sia per chi la esercita che per chi ne è beneficiario. Il primo assume un chiaro e immane impegno a sostenerla nonché comporta una certa responsabilità di risultato; il secondo fa proprio l’impegno altrui a contribuire alla soluzione dei suoi problemi.
La presa in carico dei servizi sociali, che rintraccia la centralità erogativa nei Comuni, è caratterizzata da azioni seriali mirate all’ascolto, al supporto e all’orientamento dei bisognosi attraverso iniziative tipiche ispirate al soddisfacimento delle istanze primarie dei medesimi, soprattutto di carattere abitativo e alimentare. Ma anche in relazione alle esigenze sociali riconducibili all’art. 38 della Costituzione, riguardanti il supporto delle inabilità.
Nel sistema della salute, la presa in carico assume, anche qui, un significato generico afferente ad un dovere organizzativo, ovverosia di pianificare ad un paziente il suo percorso assistenziale partendo dalla prenotazione e dall'accesso alle prestazioni individuate secondo criteri strettamente clinici. Questo è il significato comune della presa in carico che appartiene al Ssn nell’esercizio delle sue funzioni messe a terra attraverso le aziende sanitarie, territoriali e ospedaliere nonché universitarie (delle quali moltissime senza provvedimento costitutivo), che lo compongono.
L’obiettivo costituzionale della presa in carico
Ma presa in carico della persona ha un ben altro significato, proprio nella considerazione che prende forma nel sistema sociosanitario con una chiara riconducibilità all’art. 32 della Costituzione. Più precisamente, trova le ragioni della sua dimensione nell’obbligo della Repubblica di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della Nazione intera, allargata a chiunque dimori nel Paese. Un dovere che impone, per l’appunto, la presa in carico della persona come obbligo istituzionale, nel senso di farsene carico in tutte le fasi che garantiscono all’individuo il suo stare bene dalla nascita, ma anche prima.
Un obiettivo, questo, perseguibile dando assoluto rilievo alla prevenzione delle malattie, attraverso un complesso di azioni tale da ricondurre al pratico esercizio di attività proattive del sistema sociosanitario nei confronti dell’individuo a rischio di sviluppare una patologia. Ciò non solo per i pericoli provenienti dalla naturale circolazione delle malattie bensì derivanti da un errato sistema culturale e sociale, oggetto necessariamente a cambiamenti di carattere evolutivo delle abitudini di vita e alimentari delle persone.
Un tema politico, quello della presa in carico, che abbisogna di traduzioni pratiche scritte nelle politiche sociali, onnicomprensive di tutte quelle che ne determinano una diffusa godibilità da parte della comunità residente. Esse vanno dalla sanità, all’assistenza sociale, al lavoro, alla scuola, al trasporto locale, all’ambiente, alla agricoltura, alla alimentazione, alla previdenza, ai criteri di concessione del credito, all’urbanistica. Insomma, le politiche sociali sono da intendersi tutte quelle riconducibili alle materie statali, concorrenti e regionali.
A monte di tutto ciò, considerando che la tutela della salute è di certo la madre di tutte le virtù esercitabili dalle istituzioni, pubbliche e private, è necessario soffermarsi su un dovere non affatto adempiuto da parte del SSN: la presa in carico dell’individuo, della persona. Non già come destinatario di prestazioni essenziali alla cura e riabilitazione, bensì come soggetto cui destinare lo stare bene, la condizione salutare generale. La scansione dei finanziamenti assicurati ai Lea in materia di prevenzione dimostra tuttavia una chiara sottovalutazione del fenomeno di garante della tutela della salute accollato in capo alla Repubblica (art. 114 Cost.). Il 3, il 4 e il 5% del Fondo Sanitario Nazionale, che a sua volta si traduce in percentuali inadeguate rispetto al PIL, sono valori economici non affatto sufficienti per assicurare alle collettività degli individui una condizione di salute reale. Da qui, la mancata colpevole presa in carico della persona da parte della Repubblica che, così facendo, lede profondamente il fondamentale diritto attribuito a tutti gli individui dalla Costituzione.
Due idee da non trascurare
Al fine della soluzione graduale del problema, occorrerebbe la realizzazione di due condizioni:
la re-individuazione dei Lea specifici per la prevenzione in senso lato con la valorizzazione dei costi standard indispensabili per sostenerla e, con questo, la concretizzazione della individuazione corretta dei Lep e la messa a terra del federalismo fiscale;
la creazione di un “Monopolio di Stato” della prevenzione, attrattivo di tutte le competenze a materializzarla, anche di quelle oggi delle Regioni, dimostratesi inadatte ad affrontare la tematica della tutela della salute, finanche del problema delle liste di attesa.
Le monstre che provano l’inadeguatezza della presa in carico della persona
L’errore di ipotesi di non avere considerata una siffatta interpretazione della Costituzione sulla presa in carico della persona da parte della Repubblica, delegandola – quanto alla prevenzione – sussidiariamente alle Regioni, ha portato la sanità pubblica ad una situazione di non ritorno, incapace di dimostrare la volontà, la forza e l’organizzazione per risalire. Di conseguenza, cede pezzi considerevoli dei suoi compiti istituzionali in favore dei privati. Da una seria constatazione. Quanto è dato constatare è destinato a rimanere è simbolo di un decadentismo che nel Mezzogiorno è in costante progressione da qualche decennio.
A fronte di tutto questo, si ha modo di rintracciare una sanità che non previene l’insorgenza delle patologie, non cura e non riabilita, tant’è che ha subito tristemente il Covid senza avere neppure un Piano antipandemico.
Di recente, sono emersi fatti indicibili, dimostrativi di un Ssn che uccide, purtroppo, con consapevolezza.
E già, pensare ad un Servizio sanitario che impiega otto (leggasi 8) mesi per fornire gli esiti di un esame istologico ad una persona operata di cancro significa trovarsi di fronte ad un contributo pubblico colpevole alla concretizzazione di un omicidio cosciente. È quanto accaduto nella laboriosa Mazara del Vallo ove è deceduta una donna alla quale era stata asportata una neoformazione all’utero. Un caso isolato? Affatto, perché ivi è da considerarsi sistemico. Stessa cosa è accaduta infatti nella vicina Marsala, ove un fedele infermiere in pensione ha atteso l’esito istologico per quattro mesi prima di morire.
Si penserà a casi isolati di malasanità. Anche qui, affatto. Ciò in quanto, una siffatta irragionevole situazione si è venuta a creare a causa di un arretrato di ben oltre 3.300 esami in terra trapanese. Più esattamente, 1405 campioni riferiti al 2024 e 1908 al 2025 (si veda qui articolo del 6 marzo scorso).
Un tema, questo dei ritardi delle refertazioni istologiche non solo rilevabili nella Sicilia occidentale, che – se sovrapposto al tema delle liste di attesa che con i ritardi di diagnosi causati determinano non poche morti colpevoli perché evitabili – rappresenta una vergogna nazionale, ma soprattutto un timore crescente per la Nazione intera.
Una premessa simile fa ben comprendere lo stato in cui è ridotto il nostro sistema nazionale della salute. Un termine, quest’ultimo, ben confuso nella terminologia, comunque, con quello del sistema sanitario, che è tutt’altro. Quantomeno, secondo la ratio costituzionale, che certamente consente un Ssn che privilegi lo stato di salute. Tutto questo ha determinato una organizzazione ospedalocentrica, del tutto estranea all’obbligo di privilegiare la prevenzione, intesa come strumento indispensabile per assicurare lo star bene e difenderlo, quanto possibile, dagli stati di morbosità diffusi. Si è così realizzato un sistema sanitario nazionale a macchia di leopardo, con godimento differenziato dalla parte delle collettività regionali, ove ad essere privilegiate sono state quelle che hanno beneficiato di una storia più favorevole, sia negli investimenti che nella formazione.
Le sanità regionali, le loro variabili, vanno lette con le stesse regole che valorizzano l’agricoltura nella produttività dei terreni che la distinguono. La buona manutenzione e un’ottima semina costituiscono i presupposti per il godimento di un raccolto come si deve. Vantare i pregi di alcune sanità regionali rispetto ad altre, al di sotto di ogni minimo, dipende tutto da ciò che fu. La sanità del Mezzogiorno è stata quella peggio amministrata e che, per rimanere nella suddetta analogia, ha generato sterpaglie e forti aridità nei terreni, fino a favorire la crescita spontanea per abbandono di boschi inaccessibili.
Per tentare di dare una sorta di ragione all’eguaglianza che spetterebbe alla Nazione, sino ad oggi divisa in classi di percettibilità dei diritti civili e sociali, alcune delle quali vissute ad uno stato ben oltre il precario, necessita riprendere il ragionamento fatto e concluso dai Padri costituenti il 22 dicembre del 1947 e ripreso seriamente nella legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Entrambi abbondantemente disattesi dalla legislazione successiva e segnatamente produttiva di risultati negativi registrati da diversi decenni caratterizzati da un’assistenza evanescente sul territorio che, verosimilmente, rimarrà tale con un DM77/2022 che non sarà messo efficientemente a terra.
La stupenda provincia di Trapani della non salute è l’esempio attuale più eclatante, e sotto certi aspetti caratterizzato da reati ben precisi e da un esagerato mancato rispetto dei diritti della persona, ma è anche l’incubo che affliggerà i cittadini di altrove.
Ettore Jorio