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Bersani, la moralizzazione e la sanità

di Ivan Cavicchi

Credo che sia arrivato il momento di andare in chiaro anche in sanità su cosa voglia dire “governabilità” “moralità” e “cambiamento”. I tre termini usati ieri dal leader del Pd nella sua conferenza stampa nella quale ha illustrato le linee della sua proposta di Governo da presentare a Napolitano

27 FEB - La conferenza stampa di Bersani di ieri e la serietà amara della sua analisi mi hanno impensierito. Nella sfida della governabilità siamo tutti coinvolti e a tutti noi erano rivolte le due parole usate da lui così tanto insistentemente: cambiamento/moralità. Per quello che mi riguarda da sempre i miei ideali regolativi. Ma non di tutti. Credo che sia arrivato il momento di andare in chiaro in sanità su cosa voglia dire “governabilità” “moralità” e “cambiamento”.
 
Chi di noi ha mostrato di sottovalutare il valore strategico di queste parole, puntando su analisi superficiali, facili e accattivanti, sul pensiero debole del tirare avanti, quali il rifinanziamento della sanità, la questione della sostenibilità, l’abolizione del ticket fino a trascurare del tutto la questione della corruzione drammaticamente denunciata dalla Corte dei Conti, è invitato a riflettere. Come è invitato a riflettere chi, di fronte alla profonda crisi della sanità pubblica, ci ha illustrato la teoria della manutenzione cioè l’idea che per risolvere i problemi della sanità basti il bricolage o dei tagliandi ogni tanto. In questa situazione grave del paese chi continua a rifiutarsi di considerare una proposta di cambiamento del sistema si sta prendendo una grossa responsabilità. Oggi il vero pericolo che corre la sanità pubblica si chiama “riformista che non c’è”. Ai bricoleur della sanità dico che forse è il caso di aprire una discussione almeno tra di noi, su cosa fare.
 
Oggi è oggettivamente difficile rifinanziare la sanità, ma non sarebbe così difficile bonificare la sua spesa da una impressionante elenco di reati che nel loro complesso costituiscono un costo altissimo. Si tratta di riflettere sulla diagnosi fatta alla sanità dalla Corte dei Conti : “eccessività dell’impegno finanziario, a fronte delle utilità che assicura” cioè sul vero problema della sanità che è quello che a più riprese ho definito “anti economicità”. Se prima di battere cassa non si fa della lotta contro l’anti economicità e quindi contro l’immoralità, una priorità strategica si rischia oggi di rifinanziare sia la buona che la cattiva sanità e di perdere domani, la sanità pubblica. Le ragioni finanziarie gonfiate da destra sono una scusa per privatizzare, ma sgonfiate da sinistra sono una scusa per lasciare invariante il sistema. In entrambi i casi le malversazioni del denaro pubblico sono paradossalmente tutelate. Ma la cosa che mi preoccupa è che sia il giudizio sulla spesa sanitaria, che quello sulla manutenzione, alla fine a ben vedere sono giudizi sintetici sulla sanità, sulle politiche fatte, sulle responsabilità delle Regioni, e quindi, nel bene e nel male, sulla scarsità di idee e di volontà. Dire come si è scritto nei programmi elettorali che il problema della sanità è quello dell’insufficienza delle risorse è come dare un giudizio positivo sul sistema fino a proporne a beneficio delle Regioni tout court il “ rilancio”.
 
E tutto questo mentre il pil cala la recessione ci tramortisce e ora con in più gravi problemi di governabilità del paese. Sappiamo tutti che amministrare la sanità vale come amministrare un bel pezzo di spesa pubblica e quindi di potere. E chi amministra in genere cerca patti per campare. Niente da ridire a parte ammettere la possibilità che quello che è funzionale a questo potere non è detto che lo sia anche per la sanità. Ma in tutta coscienza oggi non me la sento di dire che in sanità spendiamo poco e che dobbiamo dare più soldi alle “regioni” non alla “sanità” (la differenza non è una sottigliezza). Il secchio che usiamo per portare i soldi dagli amministratori ai malati è bucato e perde parecchio. Non riesco ad ignorare che i problemi della spesa si intrecciano con i problemi della governabilità e che la Corte dei conti ci dice che la vera priorità è cambiare i rapporti tra i modi di governare e di gestire e i modi di spendere.
 
Le Regioni, di fronte ai tagli lineari, sono oggettivamente in grave difficoltà, e con la manutenzione non riescono ad incidere sulle storiche anti economicità del sistema, per cui, se non rifinanziate senza un progetto di cambiamento rischiano tutte di essere obbligate ai piani di rientro e di perdere i poteri amministrativi acquisiti. Ma la strada oggi non è semplicemente rifinanziarle ma è quella di riparare il secchio bucato e se è il caso di cambiare secchio. Far crescere la spesa sanitaria in recessione a sistema invariante è una scelta irresponsabile e rischiosa che reggerebbe fino al prossimo cambio di governo, che per il semplice motivo di trovarsi una spesa più alta e più squalificata, metterebbe mano a pesanti contro-cambiamenti. Se è vero che in sanità più il sistema è corrotto più è insostenibile allora moralizzare vuol dire rendere sostenibile e non cambiare vuol dire contro riformare. Facciamo pure un patto ma come dice Bersani per moralizzare e per cambiare.
 
Ivan Cavicchi

27 febbraio 2013
© Riproduzione riservata


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