Sanità e profitto. E se invece parlassimo di “redditività”?
di Ivan Cavicchi
Alcune riflessioni sull'articolo di Mingardi. Il profitto crede in un uomo superiore che si chiama “imprenditore”. In sanità, senza demonizzare il profitto, penso però sia molto meglio parlare di "redditività" degli attori. Per questo serve “una azienda di servizio a managerialità diffusa”
26 APR - Una “anima bella” Gino Strada, venerabile come un santo che usa la televisione per sostenere i suoi straordinari progetti umanitari e come è giusto che sia tutti i salotti buoni gli spalancano le porte. Tuttavia dispiace che un grande uomo come lui, perché Gino Strada è uno dei grandi italiani del nostro tempo, improvvisi analisi grossolane sulla nostra sanità pubblica innescando fraintendimenti di ogni tipo. Potrebbe darci una mano e creare una opinione sociale su come stanno veramente le cose ,aiutarci a costruire una politica di cambiamento, ma mischiare e confondere aziende, profitto, tariffe, corruzione, sanità pubblica e privata, teorizzando una grande sanità di Stato ma senza Stato perché lo Stato ruba non fa una bella impressione e lo dice uno straconvinto sul valore irrinunciabile della sanità pubblica.
Non è un caso quindi se le sue “esternazioni” abbiano suscitato polemiche. Recentemente Alberto Mingardi, è intervenuto sulla questione del profitto in sanità affrontata proprio da Gino Strada in tv. Che il profitto anche in sanità sia una forma di remunerazione del tutto legittima e che le varie forme di retribuzione in essere siano assimilabili al profitto quali remunerazioni di denaro, non ci piove, ma la questione di fondo è un’altra e cioè se la sanità pubblica debba essere retribuita in modo
speculativo o in modo
redditizio. Non è immorale essere retribuiti per curare le persone è immorale speculare sulle malattie delle persone. Gino Strada è un santo non solo perché fa del bene ma perché non specula sulle disgrazie dell’umanità.
Nell’ampia categoria della speculazione rientrano tante cose: le nefandezze della sanità lombarda, gli abusi che si accompagnano all’intramoenia, i favoritismi, gli sprechi, le diseconomie, le inefficienze, la corruzione di cui parla la Corte dei Conti, certa sanità convenzionata ecc. Sprecare e speculare sono la stessa cosa. Ma sostenere, come fa Mingardi, che per non sprecare e quindi per non speculare servano prezzi, profitti e imprenditori capace di “sistemare” i fattori produttivi lo trovo francamente discutibile, anche perché è esattamente quello che è stato fatto in questi anni con le aziende, i direttori generali, le tariffe , i mercati interni, la concorrenza ecc. Tanto è che coloro che hanno voluto le aziende oggi davanti al loro fallimento puntano spudoratamente ad una privatizzazione tout court del sistema.
Varrebbe quindi la pena chiederci cosa significhi in sanità “redditizio” e ripensare i modi delle retribuzione del valore salute in sanità. Come Mingardi anch’io ritengo una stupidaggine abolire il profitto per abolire l’egoismo ma allora perché non usare il legittimo interesse personale, i valori che guidano le persone, che almeno in sanità non sono solo economici, le loro giuste aspirazioni professionali, per abolire la speculazione e favorire invece la reddittualità? Perché non ragionare su una idea diversa di “azienda sociale” nella quale la specificità del lavoro professionale in sanità non può ridursi, come propongono gli economisti, a un puro fattore produttivo usato dal direttore generale, ma è una complessità tecnico-scientifica che per sua natura non può che definirsi in una cultura dell’autoimprenditorialità e quindi dentro un contesto inevitabilmente a managerialità diffusa.
In “
una azienda di servizio a managerialità diffusa”, il medico e qualsiasi altra professione non sono pagati per i compiti che svolgono ma per gli impegni che profondono e sulla misurazione dei risultati, cioè secondo logiche reddittuali. In questo caso i principali riferimenti di valore del lavoro diventano, a parte quelle irrinunciabili delle competenze e delle abilità, l’autonomia, la responsabilità e la misurazione degli esiti. Il più bravo ad essere “
auto-re” cioè ad usare auto-nomia e re-sponsabilità viene pagato di più e meglio, cioè ha un reddito più alto perché il suo primo valore aggiunto è di risparmiare sui costi della speculazione, quindi sui costi dell’ antieconomicità, delle diseconomie, delle ruberie, degli abusi, delle incapacità, degli opportunismi ecc. A questo valore va aggiunto naturalmente tutto il resto: la ricchezza prodotta con la salute e quindi il soddisfacimento del bisogno.
Il profitto crede in un uomo superiore che si chiama “imprenditore”, il reddito è convinto che non vi siano uomini superiori ma solo uomini responsabili che perseguono legittimamente degli interessi. In questo senso vanno lette le rivendicazioni delle professioni dietro le quali vi è una forte aspirazione ad emanciparsi dalle logiche che le considerano come puro fattore produttivo. Un
autore ha un reddito proporzionato alle sue capacità esattamente come un qualsiasi imprenditore e quindi il suo reddito diventa una particolare forma di profitto non speculativo. Ma se le professioni sono retribuite in questo modo allora la concentrazione della management su una figura unica e sovrana supposta a razionalità superiore, va rivista e la funzione del management va redistribuita tra i famosi stakeholder che sono tanto gli operatori che i cittadini ,ripensando integralmente il sistema delle transazioni tra lavoro retribuzione e valori di salute prodotti.
Le danze propiziatorie che abbiamo fatto dal 1992 intorno all’azienda non hanno fatto piovere e il “nulla”, quello della “Storia infinita”, si sta mangiando piano piano la sanità. L’ultima notizia ci viene dall’Istat sul taglio alle spese sanitarie delle famiglie. La sanità pubblica sta morendo tra alta speculazione e bassissima reddittualità, tra alta corruzione e un lavoro pagato, male, poco, che continua a tirare perché, nonostante quello che si dice, non esiste solo il profitto.
Ivan Cavicchi
26 aprile 2013
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