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Costi standard. Spandonaro (Ceis): il nuovo decreto ancora non convince


Le modifiche apportate, secondo l'economista di Tor Vergata, lasciano irrisolti tutti i dubbi su un'operazione che di fatto lascia inalterato il criterio della spesa storica per il riparto alle Regioni. E in più c'è il forte rischio di una riduzione forzosa delle risorse che affosserebbe il sistema.

05 OTT -  -
di Federico Spandonaro, coordinatore Rapporto Ceis Sanità, Università Tor Vergata di Roma

La versione aggiornata della bozza di decreto sui costi standard conferma, anzi evidenzia ancor di più, le contraddizioni già rilevate in occasione della presentazione della prima bozza del provvedimento.
Di fatto l’unica modifica riguarda il benchmark, ovvero il fatto che il costo standard da assumere sarebbe quello relativo a 3 Regioni scelta dalla Conferenza Stato/Regioni, su 5 proposte provenienti dai ministeri competenti.
Segue logica la domanda: cosa comporta costruire il meccanismo di finanziamento sulla base dei costi di tre Regioni benchmark?
Apparentemente nulla: almeno se si applica alla lettera il metodo.  Per dimostrare questa affermazione sarebbe necessario utilizzare alcune (facili) formule matematiche: proveremo ad argomentarlo senza farvi ricorso.
La procedura di calcolo (come sembra emergere dal Decreto) è la seguente: si parte dalla spesa regionale procapite (in qualche modo cosa diversa dai costi, ma tralasciamo per semplicità la questione);  il decreto riconosce poi che le Regioni che spendono meno non necessariamente sono le migliori, in quanto la spesa è funzione del bisogno della popolazione (a sua volta dipendente da vari fattori, di cui il più rilevante l’età) e anche della qualità dell’assistenza erogata.  Allora si “corregge” la spesa dividendola, non per la popolazione effettiva, bensì per quella “pesata”, che sarà più di quella effettiva nelle Regioni con una popolazione a maggiore bisogno e vv. nelle altre.
A questo punto si calcola una media della spesa procapite pesata delle Regioni benchmark: questa media sarà presumibilmente inferiore a quella media generale, almeno nella misura in cui si siano effettivamente scelte Regioni efficienti;  e uesta media (articolata per Lea) è assunta come costo standard.
Come fare ora a decidere quanto spetta a ogni Regione?  Si dovrà moltiplicare questo costo standard per la popolazione pesata di ogni Regione e qualora la somma complessiva fosse inferiore al Fabbisogno preventivamente stanziato, riproporzionare il tutto.
Quindi il finanziamento medio procapite non sarà il costo standard (delle tre Regioni benchmark), per la semplice ragione che il tutto è riproporzionato al fabbisogno: quindi il vero costo standard per cittadino (medio) rimane il Fabbisogno procapite che già conosciamo (il Fabbisogno diviso la popolazione).
Acquisito che la “torta” è data, e che il costo standard non la determina, la domanda successiva allora è se potranno cambiare le “fette della torta”, ovvero le quote assegnate alle Regioni.
Queste ultime sono, però, semplicemente determinate dalla popolazione pesata di partenza, rimanendo il costo standard una costante che “esce dal gioco”.
Tradotto, tanto valeva dire che le Regioni rimanevano finanziate a popolazione pesata, così come già avviene, sebbene attualmente il meccanismo è annacquato dalla negoziazione fra le Regioni stesse.
Persino la contrattazione fra le Regioni relativa all’individuazione delle tre Regioni benchmark è ininfluente per il risultato finale, e quindi introduce un elemento di arbitrarietà del tutto gratuito;  perché affidare alle Regioni il potere di negoziare sull’individuazione del benchmark, cosa che invece richiederebbe un approccio scientifico quanto più possibile oggettivo? Sarebbe stato auspicabile che la negoziazione, certamente utile, avvenisse invece a valle di un algoritmo “scientifico”, magari per “oliare” la transizione (anche se così com’è la transizione è inutile perché nulla cambia!).
Quindi, se si prende alla lettera il decreto, viene da chiedesi il perché del tutto: si lascia tutto come è e ci si chiede se sia solo zelo nell’ottemperare alla Delega, definendo (anche se inutilmente dal punto di vista pratico) cosa si intende per costo standard?
Ovviamente si può pensare ad una applicazione “interpretativa”, e in questo caso qualcosa certamente cambierebbe nell’attuale finanziamento.
Rimangono quindi tutti i dubbi già espressi. Prima di tutto che anche se la torta è data il metodo è propedeutico a inserire un meccanismo di incentivo all’efficienza; se avevamo dei dubbi nella prima versione, in cui si usava la media di tutte le Regioni in equilibrio finanziario, ora tale dubbio cade definitivamente, essendo esplicito il criterio della scelta delle migliori.  Questo può implicare una torta ridotta nel medio termine, cosa che affosserebbe a mio parere il sistema;  oppure uno spostamento di risorse (a somma data) fra le Regioni, che avverrebbe dalle meno efficienti a quelle più efficienti: personalmente non credo che questo sia un obiettivo da assumere del riparto delle risorse pubbliche, in quanto dovrebbero garantire l’equità distributiva e non premi al merito (che di nuovo affosserebbero definitivamente le Regioni ”peggiori”).
Ma se con una interpretazione estensiva del Decreto, qualcosa dovesse cambiare, allora emerge la debolezza logica dell’approccio.
Prima di tutto perché utilizzando la spesa procapite pesata per individuare il benchmark, implicitamente si assume il riparto sul bisogno esistente, ma per modificarlo poi surrettiziamente.
Una seconda ipotesi è che semplicemente si adotti in modo rigido la procedura, perseguendo l’obiettivo di levare i benefici che qualche Regione ha acquisito negli ultimi anni in fase di negoziazione in Conferenza Stato/Regioni: ne sono consce queste Regioni, o si illudono di poter “recuperare” con la negoziazione sul benchmark (che, invece, come sopra esposto non ha alcun effetto pratico).
La cosa che mi pare più probabile (sempre tanto per ragionare) è che qualcuno richieda di utilizzare delle Regioni benchmark non solo il livello di spesa, ma anche i pesi relativi, per capirsi quelli con cui si arriva alla popolazione pesata: ma un riparto di questo genere non ha base scientifica e implicherebbe il volere “imporre” un unico modello di assistenza a tutti, cosa del tutto opinabile.
In definitiva il disagio è quello di assistere ad una operazione di cui non si capisce il reale obiettivo, se non quello di soddisfare la delega della L. 42/2009: sarebbe, invece, apprezzabile che ogni tanto la normazione avvenga in modo trasparente, chiarendo prima di tutto quali siano gli obiettivi, poi quali i principi e gli assunti a fondamento delle decisioni e, quindi, che ponesse le condizioni per monitorarne gli effetti.
 
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05 ottobre 2010
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