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Fibrillazione atriale. Simi: “Al Sud terapia adeguata solo in un caso su due, contro il 60% del resto d’Italia”


Scarsa nel meridione anche l’aderenza alle cure, nel resto d’Italia 8 malati su 10 seguono correttamente la terapia, al Sud soltanto in sei su dieci. Le cause, difficoltà socioeconomiche e una minor educazione alle terapie. Questi i dati emersi dallo studio Arapacis

12 SET - Il Sud è il fanalino di coda nelle cure per la fibrillazione atriale: nel meridione sono circa 170mila i pazienti ad alto rischio che non ricevono la prescrizione di una cura adeguata, pari a circa un caso su due. Al Nord e al Centro, invece, i malati ricevono la terapia più adatta nel 60% dei casi e la maggioranza la segue per il tempo necessario e senza fare errori: l’aderenza alle cure arriva al 78% al Nord e al Centro, mentre si ferma al 60% al Sud.
 
È quanto emerge da una nuova analisi dello studio Arapacis (Atrial fibrillation registry for ankle-brachial index prevalence assessment-collaborative italian study) della Società italiana di medicina interna (Simi), appena pubblicata su Internal and Emergency Medicine (Iaem), secondo cui la responsabilità per queste differenze fra Regioni è da cercare soprattutto nelle maggiori difficoltà socioeconomiche del Sud rispetto al resto d’Italia, da colmare con iniziative educative e di sensibilizzazione pubblica.
 
La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più diffusa, una persona su quattro la sviluppa prima o poi nel corso della vita e in Italia i pazienti sono oltre un milione, circa 800mila al Nord e al Centro e oltre 300mila al Sud, dove la prevalenza è leggermente inferiore (1,9 % della popolazione contro il 2,4% al Nord). Purtroppo, la fibrillazione atriale aumenta notevolmente la probabilità che si formino trombi che possano andare a occludere arterie cerebrali, provocando un ictus: per scongiurarlo, i pazienti vengono trattati con anticoagulanti come gli antagonisti della vitamina k (es. warfarin) o i nuovi  antitrombotici e gli  antiaritmici.
 
L’aderenza alle terapie è indispensabile per ridurre il rischio di ictus, così gli esperti della Simi hanno deciso di valutare se vi siano differenze regionali nelle terapie anti-fibrillazione andando a rianalizzare i dati ottenuti con lo studio osservazionale Arapacis, condotto su circa 2.000 pazienti di tutta Italia per verificare la presenza di complicanze periferiche della fibrillazione atriale.
 
“La nuova analisi dei dati raccolti attraverso lo studio Arapacis – speigano Gino Roberto Corazza, presidente della Simi e Francesco Violi, Direttore scientifico della ricerca Simi – ha mostrato che i pazienti delle Regioni del Sud ricevono più antipiastrinici e meno anticoagulanti orali rispetto al resto d’Italia; soprattutto, al Sud c’è una percentuale maggiore, fino a un terzo dei casi, di soggetti non trattati o curati soltanto con gli antipiastrinici, assolutamente sufficienti da soli a tenere sotto controllo le complicanze della fibrillazione atriale Per spiegare la minor prescrizione di terapie adeguate in genere viene chiamata in causa l’età dei pazienti e la presenza di politerapie: chi è più anziano e assume già molti farmaci ha una minor probabilità di essere trattato al meglio. Tuttavia i nostri dati mostrano che non è così, almeno per la fibrillazione atriale: la carenza di prescrizioni adeguate è indipendente da età e politerapia, così al Nord e al Centro il 60% dei pazienti ad alto rischio riceve le terapie migliori, contro il 53% al Sud”.
 
Anche l’aderenza alle cure, fondamentale perché queste possano fare effetto ed essere davvero utili, mostra una netta tendenza alla diminuzione da Nord a Sud: Al Nord il 78% prende le medicine a lungo e come si deve, contro il 65% al Centro e il 60% al Sud.
 
“Le differenze nell’aderenza alla terapia sono anch’esse indipendenti dall’età dei pazienti e dalla presenza di politerapia – aggiungono Corazza e Violi – è molto probabile che le differenze dipendano dalle maggiori difficoltà socioeconomiche presenti fra la popolazione del Sud Italia. Poiché la scarsa o assente aderenza alle terapie è pericolosa per i pazienti e comporta un grosso spreco di risorse, perché i farmaci vengono sostanzialmente “buttati”, deve essere risolta in maniera efficace e più rapidamente possibile, attraverso interventi e programmi multidisciplinari condotti a diversi livelli nella società: dovremo ad esempio migliorare l’accesso alle cure e ai farmaci al Sud, ridurre la povertà, aumentare il grado d’istruzione della popolazione, favorire la creazione di un maggior numero di reti di supporto sociale. Campagne di educazione e sensibilizzazione potrebbero inoltre essere molto utili per aumentare l’informazione dei pazienti e renderli maggiormente consapevoli dell’importanza di ricevere trattamenti adeguati ed efficaci”.
 

12 settembre 2014
© Riproduzione riservata


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