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Ebola. Ammettiamolo, l’Italia non è attrezzata all’emergenza

di Ettore Jorio

Di fronte a quanto sta accadendo il sistema della salute domestico sembra ancora inconcepibilmente impassibile e in forte ritardo (si consideri che è di ieri un interesse interministeriale ad hoc), al di là delle solite meline promozionali utili a dire “non preoccupatevi ci siamo noi a lavorare per voi”

16 OTT - Il molto scorso (da considerare tale in considerazione della celere evoluzione del problema) 1° agosto scrivevo un articolo su questa rivista online dal titolo “Ebola. Accoglienza e tutela sanitaria: una sfida complessa”. Temevo ciò che stava accadendo, in termini di disattenzione verso il fenomeno e di trascuratezza delle necessarie verifiche salutari da effettuarsi sugli immigrati, era presago di quanto oggi preoccupa l’opinione pubblica e le istituzioni deputate. Quelle istituzioni che, allora, per voce del Ministro Lorenzin tendevano a tranquillizzare in relazione al pericolo che era invece imminente.
Nell’occasione stigmatizzavo la poca attenzione istituzionale ad organizzare una rete di tutele sanitarie nei confronti degli esiti dell’operazione umanitaria “Mare Nostrum” e la mancata collaborazione, in proposito, dell’Unione Europea. Sottolineavo la pericolosa sottovalutazione che si facesse dei cadaveri, comunque, rinvenuti dei poveri emigrati, caduti in mare per la libertà dei diritti. Criticavo la non sottoposizione degli stessi all’indispensabile esame autoptico tendente a comprendere una loro pericolosità in termini di trasmissibilità di malattie, prima fra tutte l’ebola.
 
Non solo. Sottolineavo criticamente che da allora e prima di allora nessuna cautela in tal senso era stata assunta nei confronti delle centinaia di migliaia di sbarcati, nel loro e nell’altrui interesse concreto di vedere tutelata la salute pubblica.
Oggi il problema sta venendo fuori in tutta la sua portata, tanto da essere non più ovunque sottaciuto. Tutt’altro. Viene detto a chiare lettere dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in giù, passando per il Continente americano, ove le manifestazioni patologiche aumentano quotidianamente, sino ad arrivare alle porte di casa nostra, impaurita dalle diagnosi ovvero presunte tali di ebola conclamata che provengono da tutta l’Europa.      
 
A fronte di tutto questo, il sistema della salute domestico sembra ancora inconcepibilmente impassibile e in forte ritardo (si consideri che è di ieri un interesse interministeriale ad hoc), al di là delle solite meline promozionali utili a dire “non preoccupatevi ci siamo noi a lavorare per voi”. Così non è. Ciò in quanto l’apparato organizzativo - fatta salva qualche ambulanza super attrezzata, del tipo quella blindata cui sono ricorsi gli spagnoli per trasferire la infermiera affetta dal virus, della quale il Ssn si sta premunendo – rimane quello di sempre. Non attento a precedere gli eventi e lento nell’affrontare l’emergenza.
 
La gestione ordinaria pare essere insensibile allo stimolo dell’epidemia. Si comporta così come hanno fatto le Istituzioni a Genova e a Parma; un passa parola sulle responsabilità che nessuno sembra volersi assumersi; un servizio regionale dell’ambiente che va a casa la sera per la cena a prescindere dalle previsioni negative; una protezione civile che sembra fare le previsioni attraverso le sfere di cristallo e che non rivendica “in tempo di pace” ciò che le serve pronunciandosi in senso propositivo appena finita la guerra e così via.
Il tutto mentre la gente rischia la vita e perde ricorrentemente i sacrifici di una esistenza, infoltendo la moltitudine degli indigenti di nuova generazione.
 
Quanto alla sanità pubblica emergenziale è uguale. Dimostra tutta la sua inconsistenza in termini di tutela della salute, più precisamente di prevenzione e sicurezza degli ambienti di vita e di lavoro. Una “specialità” così trascurata da essere ridotta ad una voce contabile minimale, da mettere su nella previsione delle spesa alla percentuale infinitesimale (5%), rappresentata nel riparto del Fondo sanitario nazionale e/o di quello che sarà il Fabbisogno standard, nazionale e regionale, prescindendo dall’afflusso immigratorio che il Paese sta sopportando da anni.
 
In relazione alle tutele vere e proprie che non ci sono vorrei tanto essere smentito, nell’interesse di tutti. L’idea che passa nella mente è che con i pronto soccorso che ci troviamo, invasi come sono da folle indicibili, oramai prive di diritti costituzionali, e con la medicina di territorio che latita ovunque diventano innumerevoli e incontrollabili i centri di eventuale contagio. Non solo. La quasi totalità delle strutture sanitarie assumono, ancora oggi, informazioni sull’ebola dai media e non hanno il minimo di attrezzatura per affrontare una eventuale emergenza, salvo avere la certezza di vedere contagiati, nell’eventualità, gli operatori sanitari e i pazienti in attesa.
 
Insomma, rispetto ad un pericolo di bombardamento epidemico si oppone la melina di sempre, senza contare il rischio di una o più schegge impazzite sul territorio nazionale funzionali – da una parte - a causare panico e preoccupazioni e – dall’altra – impossibilità assistenziali cui speriamo di non dovere ricorrere.
Si farebbe bene a prendere atto di ciò che c’è e fare ammenda di ciò che non si fa per fare ciò che necessita.    
 
Prof. avv. Ettore Jorio
Università della Calabria

16 ottobre 2014
© Riproduzione riservata


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