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Fiaso: “Il sistema di finanziamento del Ssn è un disastro”. I Drg non corrispondono ai costi reali, riparto in ritardo e programmazione carente. E se le cose non vanno a “pagare” è solo il DG


Stavolta sotto osservazione non c'è la spesa sanitaria ma il finanziamento di Regioni, Asl e ospedali. E si scopre che molte disposizioni che regolano il flusso degli oltre 100 miliardi l'anno che vanno al Ssn, sono solo sulla carta. Come se il sistema vivesse quasi di vita propria, senza alcuna strategia di governance. Il tutto senza alcuna premialità rispetto all’efficienza gestionale e alla qualità dei servizi resi ai cittadini.

26 FEB - Il sistema di finanziamenti ad Asl e Ospedali patisce inefficienze strutturali che minano la sostenibilità e una governance efficace della sanità pubblica. E’ la conclusione cui è giunta la ricerca ‘I sistemi di finanziamento regionali della Aziende Sanitarie e Ospedaliere’ , elaborata dalla Fiaso con il supporto scientifico del CREA Sanità dell’Università Tor Vergata di Roma.

Alla base di queste criticità risiede in primis un’allocazione delle risorse troppo spesso non aderente né ai fabbisogni sanitari del territorio, né ai costi di produzione dei servizi offerti, ma ancorata in larga misura al criterio della spesa storica. Altra dinamica strutturale è legata all’incertezza sulle assegnazioni delle risorse, deliberate a fine esercizio se non nell’anno successivo. Inefficace anche il sistema di remunerazione tariffaria (DRG) degli ospedali che copre da un modesto 30% a un massimo del 70% dei costi reali della prestazione. Il tutto senza alcuna premialità rispetto all’efficienza gestionale e alla qualità dei servizi resi ai cittadini.

La ripartizione dei fondi tra le Aziende sanitarie avviene in un quadro di programmazione definito dai Piani sanitari regionali (PSR) solo in 9 Regioni: Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli, Lazio, Campania, Sicilia, Veneto, Marche e Basilicata. Queste ultime tre con un Piano emanato da poco tempo dopo anni di assenza. Nelle Regioni sprovviste di PSR, sottolinea la ricerca, sono le delibere di ripartizione dei fondi che finiscono di fatto per identificare gli obiettivi da raggiungere, assumendo così “un ruolo strategico”. Ma una vera programmazione, osservano i ricercatori, richiede la definizione anticipata delle risorse disponibili e così non è in larga parte dei casi.

Soltanto poche Regioni (Valle d’Aosta, Lombardia, PA di Bolzano, PA di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Basilicata) approvano infatti la ripartizione prima della fine dell’anno che precede quello di competenza e la maggior parte di esse sono a statuto speciale o di piccole dimensioni.
La Toscana, nel 2011 e nel 2012, approva la Delibera di ripartizione poco dopo l’inizio dell’anno di competenza. Altre Regioni approvano la delibera entro il 1° semestre dell’anno, testimoniando almeno uno sforzo per regolarizzare il processo di programmazione (in entrambi gli anni Emilia-Romagna e Marche, nel 2011 Liguria e Campania, nel 2012 il Lazio).

La ricerca evidenzia poi che numerose Regioni fanno invece slittare il riparto delle risorse al 2° semestre dell’anno. In questo gruppo, e a maggior ragione in quello successivo, “appare chiaro un modello di programmazione che prevede un finanziamento basato di fatto sulla spesa storica (in entrambi gli anni Piemonte, Veneto, Umbria, Puglia, Sardegna, nel 2011 Lazio e Calabria e nel 2012 la Liguria)”. E qualche Regione approva la ripartizione addirittura l’anno successivo a quello di competenza (nel 2012 Campania e Calabria). Un quadro che la ricerca definisce “non del tutto rassicurante”, sia per il regime di scarsa chiarezza sulle risorse disponibili nel quale sono costrette a operare le Aziende, sia per il fatto che ai tempi lunghi delle deliberazioni corrispondono spesso anche ritardi nei trasferimenti di cassa che non poco incidono sui ritardati pagamenti dei fornitori di Asl e Ospedali.

Non si rispetta la suddivisione dei fondi per aree di intervento. L’accordo Stato-Regioni ha definito la destinazione dei fondi in tre livelli di assistenza: il 5% all’assistenza collettiva, il 44% all’assistenza ospedaliera, il 51% all’assistenza territoriale. In realtà questo vincolo, osserva la ricerca, non è sempre rispettato dalle Regioni. Ciò può dipendere da una incapacità di spostare significativamente le risorse verso il territorio, come previsto dalle indicazioni nazionali: alcune realtà hanno intrapreso con molto ritardo i percorsi di organizzazione della rete ospedaliera, continuando così a registrare un’incidenza della spesa ospedaliera superiore rispetto a quella territoriale, come nel caso dell’Abruzzo.

Il principio cardine nella ripartizione delle risorse resta comunque quello della popolazione pesata per età. Ma la ricerca ricerca analizza la distribuzione delle risorse tra le Aziende anche in termini di: determinazione delle somme effettivamente trasferite dallo Stato alle Regioni; risorse effettivamente trasferite alle Aziende e di quota trattenuta invece a livello centrale dalle stesse Regioni. Rispetto al primo punto l’analisi delle Delibere CIPE di ripartizione delle risorse verso le Regioni dimostra “come esse siano costrette a programmare non conoscendo l’ammontare dei fondi disponibili. La ripartizione del Fondo sanitario è stata infatti approvata il 20 gennaio 2012 per il 2011 e a fine anno per il 2012”. Inoltre in diversi casi (nel 2011 in Piemonte, Liguria, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sardegna, nel 2012 in Piemonte, Marche, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Sardegna) la quota determinata dalla delibera CIPE è risultata significativamente inferiore rispetto alla distribuzione dei fondi ipotizzata nella delibera regionale, che avrebbe dovuto rappresentare una stima del fabbisogno ritenuto necessario.

Ad avvalorare la tesi di un management costretto a operare in assenza di un quadro finanziario determinato, osservano i ricercatori, è inoltre l’incidenza della quota trattenuta dalle Regioni, che supera il 5% in Toscana e si limita a pochi decimali in Liguria e Sardegna. Questo perché alcune realtà accentrano delle funzioni a livello centrale, come nei casi delle Agenzie regionali per l’ambiente e delle centrali d’acquisto.
Tolte le quote trattenute a livello centrale, si valuta che il resto delle somme assegnato alle Aziende dovrebbe andare a copertura dei Lea ma, in realtà, a volte una parte del trasferimento è vincolata diversamente: si va da pochi punti percentuali di alcune Regioni fino al 17,6% della Liguria nel 2011.

Il Drg è un'astrazione teorica. La ricerca evidenzia che il finanziamento “a tariffa” basato sui DRG in condizioni di efficienza dovrebbe garantire la copertura dei costi di produzione ospedalieri e quindi l’equilibrio di bilancio. Ma così non è: “il finanziamento “a tariffa” dei nostri ospedali è in larga misura un’astrazione teorica”. Le Regioni assegnano infatti a priori alle Aziende ospedaliere una quota cha varia tra l’8 e il 40% del valore delle prestazioni prodotte e la quota integrativa di risorse assegnate alle stesse Aziende è comunque rilavante. Risultato: un sistema ibrido ancora lontano al principio “ti finanzio per quello che fai e non per quello che spendi”, ispiratore del modello DRG di importazione Usa.

Quote trattenute centralmente, diversi criteri di “pesatura” della popolazione assistita, integrazioni e correzioni successive alle Delibere regionali di ripartizione delle risorse tra Asl e Aziende ospedaliere. “Un coacervo di fattori di diversa natura – si sottolinea nella ricerca – determina scarti tra le risorse teoricamente spettanti alle singole Aziende e quelle effettivamente allocate, che arrivano a sfiorare il 60% nel caso di un’Azienda friulana, ma comunque spesso rilevanti”.

Se l'unico a pagare è il Direttore generale. Scarti tra finanziamento teoricamente spettante ed effettivo che  “andrebbero approfonditi singolarmente, ma che per la loro entità lasciano intravedere l’adozione di criteri non sempre rispondenti alla necessità di garantire l’effettiva copertura dei bisogni sanitari della popolazione o il costo di produzione dei servizi”. Né tantomeno il processo di allocazione delle risorse prevede un meccanismo di premialità finanziaria dell’efficienza gestionale delle Aziende, basato ovviamente su criteri di valutazione delle stesse. Nessuna delibera di distribuzione dei fondi (salvo il Friuli) tiene infatti conto in termini premiali dei risultati dell’anno precedente. Pertanto, concludono i curatori della ricerca, “a oggi l’unico strumento cogente sembra essere la sanzione personale, ovvero la sostituzione del Direttore generale nell’eventualità non riesca a realizzare gli obiettivi prefissati”.

26 febbraio 2015
© Riproduzione riservata


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