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Perché il sistema sanitario è insostenibile? Sei buone ragioni per leggere la “Quarta riforma” di Cavicchi (e darle seguito)

di Stefano Bartolini (Univ. Siena)

Cavicchi una idea ce l’ha e la articola in dieci proposte, tutte convincenti e suscettibili di produrre sensibili miglioramenti. Le condivido in pieno. Il punto più forte è che molti costi del sistema sanitario derivano dalla sua regressività. Si tratta della uniforme adozione da parte del sistema sanitario di una organizzazione del lavoro basata su modelli e prassi ferme da almeno da un secolo

14 NOV - Il problema al centro del libro di Ivan Cavicchi “La Quarta Riformaè la sostenibilità del sistema sanitario. Cavicchi lancia un allarme pienamente condivisibile: tutto sembra su un piano inclinato che conduce alla fine dell’universalismo del Ssn, l’accesso alla sanità pubblica per tutti i cittadini. Il sistema è stretto tra una domanda di sanità alla cui impetuosa crescita nessuno sa come porre freno e i vincoli sempre più stringenti del bilancio pubblico.
 
L’unico finale prevedibile di questa china è la restrizione progressiva dei diritti. Stiamo andando in quella direzione, tutti lo sanno, molti ne sono preoccupati, ma nessuno ha idea di come possiamo fermarci.
 
Cavicchi invece una idea ce l’ha e la articola in dieci proposte, tutte convincenti e suscettibili di produrre sensibili miglioramenti. Le condivido in pieno. Il punto più forte è che molti costi del sistema sanitario derivano dalla sua regressività. Si tratta della uniforme adozione da parte del sistema sanitario di una organizzazione del lavoro basata su modelli e prassi ferme da almeno da un secolo.
 
Praticamente le principali funzioni che sorreggono il sistema di tutela (spedalità, assistenza di base, specialistica, farmaceutica, prevenzione) avrebbero bisogno di un serio intervento riformatore. Tutta l’organizzazione del lavoro in sanità è imbevuta di taylorismo, che è superato praticamente in qualunque settore perché troppo costoso.
 
Il libro di Cavicchi è stato definito giustamente un “break-through”, (Ornella Mancin, QS 8 novenbre 2016) cioè uno di quei libri che non si possono ignorare e che anche se li ignorassi prima o poi spuntano fuori come un pensiero inevitabile. Esso ci costringe a misurarci con i problemi della sanità mai chiariti fino in fondo, con i fallimenti delle riforme fatte, con le responsabilità dei soggetti sanitari, con le arretratezze culturali, con gli interessi di bottega, per non essere complici della loro relativa insolubilità.
 
Certo non è una proposta “facile” (Antonio Panti. QS 10 novembre 2016) anche se i suoi postulati e le sue proposte sono chiarissime, ma non perché utopica, tutt’altro (essa è davvero molto con i piedi per terra molto più di coloro che non fanno niente e rivendicano qualcosa) ma perché il suo principale avversario è l’ignavia intellettuale dell’intero sistema quello che nasconde il suo imbarazzante conservatorismo con la solita scusa “l’idea è bella ma di difficile realizzazione”.
 
Al contrario l’idea è realizzabile perché è necessaria e convincente e necessita che sia organizzata con un movimento di opinione, con una pressione culturale, con delle iniziative di pubblica condivisione che spingano la politica a rendersi conto che ci sta portando fuori strada.
 
Personalmente ho trovato di grande significato politico la lettera aperta che Cavicchi ha scritto al presidente del consiglio Renzi (Manifesto 9 novembre2016) con la quale contrappone alla politica del definanziamento una politica riformatrice vera e invitando il “riformatore” per antonomasia a misurarsi con i problemi della sanità proprio sul piano delle riforme.
 
Ma in cosa consistono la novità di fondo del libro di Cavicchi?
 
La prima cosa è evitare il rivendicazionismo fine a se stesso, certo esistono i diritti ma questi non sono esigibili se non si fanno i conti con l’economia. Oggi in sanità chi chiede soldi mettendo tra parentesi l’economia commette un grave errore condannando la propria iniziativa all’inconseguenza cioè ad essere sterile. Cavicchi (come dice chiaramente nella sua lettera aperta) con la “quarta riforma” invita l’economia a misurarsi sul terreno della sostenibilità cioè accetta la sostenibilità come sfida ma contestando radicalmente al governo la sua impostazione che alla fine del percorso arriva a negare la sanità pubblica
 
La seconda cosa è fare i conti con la natura incrementale della spesa sanitaria. E’ inutile dire che si spende poco, che siamo quelli che in Europa spendono meno, se da noi la spesa è relativamente bassa è perché sono anni che la si contiene, che la si contingenta, che la si taglia ma facendo pagare ai diritti lo scotto del contenimento. In ogni caso la spesa continua a crescere. Chi dice che spendiamo poco ha l’ambizione da un lato di essere a sistema invariante semplicemente rifinanziato e dall’altro con la scusa della sostenibilità di aprire la strada alle assicurazioni, ma senza fare i conti con la natura incrementale della spesa.
 
Se la sanità vuole essere rifinanziata deve trovare il modo di costare meno e aggiunge Cavicchi di accrescere le utilità. La forza della “quarta riforma” è di rispondere agli innegabili problemi economici con soluzioni non convenzionalmente economiche cioè riformando profondamente il sistema ma con effetti economici sostanziali. La quarta riforma per Cavicchi serve a far costare di meno la sanità pubblica e nello stesso tempo a rilanciarne la qualità. Dire di no a questa proposta è difficile a meno che non si punti a privatizzare il sistema. Perché se si riesce a far costare meno la sanità pubblica non c’è ragione né di definanziarla e meno che mai di privatizzarla.
 
La terza cosa è l’idea di contenere la domanda di sanità. Serve migliorare la salute, ridurre le malattie, e il modo migliore di farlo è investire sul benessere cioè “produrre felicità” (Manifesto della felicità, come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere Feltrinelli, 2013) perché gli epidemiologi documentano che le persone infelici si ammalano di più.
 
La proposta di Cavicchi non è il solito grido di dolore per la prevenzione che non si fa al contrario è una proposta di riforma molto impegnativa che inizia ridiscutendo l’idea vecchia di salute come diritto naturale fino a trarne tutte le conseguenze sul piano dei servizi e delle strategie, arrivando a proporre la riunificazione delle politiche ambientali con quelle della prevenzione riunificandole in una agenzia per il benessere pubblico. L’obiettivo è costruire salute in tutti i modi possibili.
 
La quarta cosa è la distinzione che Cavicchi introduce tra prassi e lavoro intendendo con la prima i comportamenti effettivi del sistema e con la seconda come le professioni sono definite, organizzate, retribuite. La critica di Cavicchi è del tutto condivisibile: l’invarianza delle prassi e del lavoro sono alla base dei problemi di sostenibilità del sistema perché entrambi creano regressività e quindi inadeguatezza e l’inadeguatezza costa più della adeguatezza.
 
Cioè l’invarianza è la principale diseconomia del sistema sanitario. Sia le prassi che il lavoro diventano gli assi portanti della sua proposta di riforma e nello stesso tempo, suo malgrado, i punti più delicati se si pensa allo stato in cui versa il sindacalismo sanitario italiano, alle sue rivendicazioni senza nessun respiro strategico, alla mancanza totale di una contrattazione all’altezza dei tempi, alla marginalizzazione del sindacato e alla fine della concertazione.
 
“Non è facile” come dice qualcuno ma in tutta sincerità per chi rappresenta le prassi e il lavoro non vedo altra possibilità per riaffermare i diritti negati di chi lavora se non imboccare la strada della “quarta riforma”.
 
Se le prassi e il lavoro contribuiranno a rendere sostenibile il sistema semplicemente rendendolo più adeguato alla domanda di salute e ai problemi dell’economia il sindacato avrà vinto la partita. In caso contrario esso vivrà di elemosine.
 
La quinta cosa è il discorso del rapporto tra contenitori (la sanità) e i contenuti (la medicina). Il grande errore storico dice Cavicchi è aver pensato di riformare il contenitore senza ripensare il contenuto. Come dargli torto. Sul piano economico ciò non ha aiutato il sistema ad essere sostenibile perché le prassi restando invarianti nei loro modelli pur in nuovi contenitori (dalle usl alle asl, dai servizi ai distretti e ai dipartimenti; dagli ospedali come enti agli ospedali come stabilimenti aziendali ecc.) costano esattamente quanto costa l’inadeguatezza.
 
Il tentativo di porre riparo a questa vistosa contraddizione con l’appropriatezza ha creato il paradosso che Cavicchi definisce “dell’appropriatezza inadeguata” della “medicina amministrata”, dei “lineaguidari” cioè di un proceduralismo ormai invocato solo e prevalentemente per contenere i consumi o proteggere gli operatori dal rischio professionale (vedi disegno di legge sulla responsabilità professionale).
 
Oggi se vogliamo fare sostenibilità, assicurare alle persone le cure migliori, essere rilegittimati come professioni, produrre salute, risolvere le questioni professionali (medici e infermieri) la strada obbligata è la riforma della medicina un aggiornamento di cosa voglia dire essere scientifici, di cosa voglia dire governare delle complessità di cosa voglia dire gestire davvero una volta per tutte il passaggio storico malattia versus malato, di cosa voglia dire la relazione con il malato.
 
La sesta cosa rilevante Cavicchi la ricava dalla storia tormentata delle istituzioni con la potestà sulla sanità, in particolare le Regioni. Uno dei fattori più rilevanti alla base dei problemi di insostenibilità della sanità pubblica è il suo governo. E’ inutile negarlo non può esserci sostenibilità se un sistema è mal governato. Nell’idea di governo Cavicchi fa rientrare le forme e i modi del finanziamento, il problema della programmazione e quello che lui chiama governo multilevel questione che il nuovo titolo V lascia del tutto irrisolta.
 
Se non si ripensa evolutivamente l’idea di azienda, se non si recupera ai fini della salute un ruolo dei comuni, se non si ripensano i rapporti tra ministero dell’economia e ministero della salute, se non si passa dal criterio dei volumi a quello dei risultati, se le regioni come dice Cavicchi non imparano ad essere davvero regioni se non si passa dal “regionismo” ad un vero “regionalismo” la partita della sostenibilità è persa.
 
La mia speranza è che una proposta forte come quella avanzata da Cavicchi, rianimi il dibattito su come cambiare la sanità, sottraendolo al passivo e scoraggiato fatalismo attuale. Ci sono molte cose che possiamo fare, a cominciare da quelle che propone Cavicchi. 
 
Al fine di sostenere la affermazione della Quarta Riforma allego a questo articolo una mia riflessione che aggiunge alcuni elementi che possono completare ed arricchire il quadro tracciato da cavicchi.
 
Il primo punto è che la crescita della domanda di sanità è alimentata dall’industria farmaceutica, insieme ad altri operatori del settore. Una ampia varietà di comportamenti manipolatori dell’informazione mirano a diffondere false paure e false speranze al fine di aumentare la domanda di sanità.
 
Il secondo punto riguarda il tipo di politiche che possono promuovere il miglioramento della salute attraverso l’aumento della felicità.
 
Il terzo punto riguarda il miglioramento della relazione medico-paziente, che dovrebbe essere un asse portante del sistema sanitario. 
 
Stefano Bartolini
Professore associato dipartimento di economia, Università di Siena

14 novembre 2016
© Riproduzione riservata


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