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Tra cronicità e sostenibilità. Il futuro del Ssn è il Population Health Management. Se ne parlerà al Forum di Firenze il 29 novembre

di E. Desideri, M. Sandroni, B. Vujovic, S. Dei, D. Matarrese (Asl Toscana Sud Est)

Coinvolgere e responsabilizzare gli assistiti, rafforzare governance distrettuale, riorientare il modello di cura attraverso la pro – attività delle cure e creare un ambiente professionale favorevole allo sviluppo di una cultura organizzativa improntata alla condivisione. Queste le quattro direzioni strategiche cui dovrà puntare la ‘rifondazione organizzativa’ della sanità italiana di cui si parlerà anche al Forum Risk Management in Sanità di Firenze

17 NOV - La crescita (inesorabile) della cronicità che stiamo osservando nella popolazione occidentale, e non solo, con il suo carico di crescenti bisogni assistenziali e di comorbilità,  è il frutto, certo,dell'invecchiamento della popolazione, ma è legata, anzi si correla in maniera positiva e statisticamente significativa, agli indici di vulnerabilità sociale e materiale (le condizioni socio – economiche e l'incidenza di anziani che vivono soli) e con l'indice di disoccupazione.
 
Una tematica di primario interesse per chi deve tracciare gli scenari prossimi futuri dei sistemi sanitrai e che sarà al centro della giornata di apertura e dell'incontro tra i direttori generali delle Asl anche al prossimo Forum Risk Management in Sanità che si avvierà a Firenze a partire dal 29 novembre.
 
Se si considera che le malattie croniche, e soprattutto le loro complicanze, nei Paesi Occidentali, assorbono l'80% - 85% dei costi sanitari e, come ricorda l'OMS, provocano l'86% dei morti, appare evidente come il Sistema Sanitario Nazionale (e quello Regionale, così come le direzioni strategiche delle Aziende sanitarie) siano chiamati ad un nuovo ed impegnativo “Priority Setting”, capace di assicurare il maggior (a care) alle scelte adottate, definito dalla scienza dei sistemi come il saper offrire  - contemporaneamente – il miglioramento degli esiti delle cure (ad es:minor incidenza delle complicanze e, quindi, minor necessità di ospedalizzazione), il miglioramento della qualità percepita da parte dei nostri cittadini, oltre che il contenimento dei costi.
 
Il tema della sostenibilità economica, infatti, non può essere eluso e, tanto meno, può essere risolto con pericolosi  tagli alla innovazione tecnologica che, se da un lato ha certamente determinato una crescita dei consumi intermedi, ha contemporaneamente ridotto le giornate di degenza (es. la mini invasività chirurgica) o ha rivoluzionato – in meglio – i percorsi assistenziali in ambito oncologico, reumatologico, neurologico, infettivologico (si veda ad es. la concreta possibilità di guarigione in poche settimane  da infezioni HCV e la cronicizzazione della malattia da HIV!!).
 
Se da un lato, quindi, dobbiamo eliminare ogni fonte di sprechi ed inappropriatezza, dobbiamo anche affrontare le carenze di una organizzazione pensata quando il  quadro epidemiologico, e le possibilità di cura, erano assai differenti! Come direbbe Calvino, insomma,  occorre andare oltre l'ordinario, rimanendo ancorati all'etica che ci impone di pensare a servizi basati sull'equità  delle cure (il modello, già adottato, della pro – attività – il Chronic Care Model – ha già molto favorito la riduzione delle disuguaglianze nell'accesso) e sulla condivisione partecipativa sia per i nostri professionisti, sia per i cittadini (la società civile che, se organizzata, può costituire uno straordinario punto di forza anche per la crescita del self – enpowerment e della promozione della salute!
 
Se, infatti, visto “da fuori”, dalle Agenzie Internazionali, il SSN italiano appare un modello invidiabile, sotto la lente di occhi attenti, il  Sistema evidenzia contraddizioni e disomogeneità geografiche tali da rendere non più rinviabili una “rifondazione organizzativa” tale da assicurare un diverso raccordo tra i vari settings assistenziali (fra Ospedale – Territorio e fra Ospedali) e una revisione dei sistemi informativi tale da “abilitare” il trasferimento dei dati e delle immagini e da favorire un adeguato monitoraggio degli esiti e dei costi delle cure (sistema di reporting).
 
I pilastri del cambiamento. Numerosi sono i contributi disponibili in letteratura tesi a favorire il superamento della frammentazione (a silos) della risposta sanitaria e socio – sanitaria, a garantire piani di cura personalizzati e, integrati (PCPI) e, insieme, la concentrazione dei saperi specialistici negli ospedali e team multidisciplinari per la presa in carico, la continuità delle cure in prossimità, sul territorio.
 
Centrale in tal senso è il ruolo delle cure primarie (MMG e PLS) oggi resa maggiormente operativa ed efficace attraverso i nuovi modelli organizzativi previsti (e resi obbligatori) dalla L.189/2012 (AFT – UCCP/Case della Salute) e da un approccio multiprofessionale, cardine della risposta alla complessità, che assicura il supporto essenziale dell'infermiere di comunità e dei servizi sociali integrati (ASL – Comuni).
 
Per la continuità delle cure e, in particolare, per favorire l'aderenza terapeutica e il corretto uso dei Devices rilevante è, inoltre, il ruolo delle farmacie territoriali pubbliche e private veri e propri presidi attivamente e capillarmente presenti anche nelle aree più disagiate!
 
L'approccio sopra descritto trova un valido supporto  nelle scienze sociali attraverso quelle che sono definite, all’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti, come Comunità di Pratica, ovvero gruppi di persone che, pur avendo ruoli e competenze diverse, tendono ad un obiettivo comune, con un impegno reciproco, un repertorio condiviso, in cui l’apprendimento, dunque, da fatto esclusivamente individuale e mentale, diviene un fenomeno sociale, continuo e collettivo. Questa nuova visione implica una forte correlazione tra apprendimento e identità: infatti, apprendere all’interno di una comunità, significa imparare ad essere e ad agire come membro della comunità, nel nostro caso intra ed interprofessionale. In tal modo, si costruiscono nuove identità e competenze professionali, che trasformano la capacità del professionista di operare da solo o per ruolo funzionale, ad un’identità versatile capace di visioni olistiche ed in grado di confrontarsi, prendere in carico i problemi, nel rispetto delle singole specializzazioni, in modo sinergico.                                  
 
Fra i vari modelli concettuali disponibili, abbiamo scelto il Population Health Management le cui quattro direzioni strategiche sono:
 
- Coinvolgere e responsabilizzare gli assistiti (self management);
 
- Rafforzare la governance distrettuale, ove il distretto è concepito (cosi come sin dalla prima riforma sanitaria!) come sede del rapporto forte e dinamico con le Istituzioni, sede di riferimento e di interlocuzione con i professionisti, i cittadini, la comunità e, più in generale,  con le Società Civili; motore, infine, della Programmazione integrata (ASL – Comuni) e della gestione multiprofessionale e multidisciplinare  dei percorsi assistenziali (previsti anche dal D.lgs 229/99 e – in  Toscana  - della L. R. 84/2015);
 
- Riorientare il modello di cura attraverso la pro – attività delle cure: la scelta irrinunciabile dell'equità delle cure per un Sistema pubblico ed universalistico (la medicina d'iniziativa, il Chronic Care Model);
 
- Creare un ambiente professionale favorevole allo sviluppo di una cultura organizzativa improntata alla condivisione (Knoledge Management).
 
 
In sintesi, quindi, occorre ripensare il sistema secondo tre essenziali direttrici:
 
1) Creare un raccordo di reti integrate e ben strutturate fra i medici di ogni AFT (aggregazione funzionale territoriale delle cure primarie) e gli specialisti ospedalieri, per i percorsi assistenziali delle principali malattie croniche:
- diabete
- malattie neurologiche (Parkinson, Alzheimer, Sclerosi multipla)
- malattie cardiologiche (soprattutto scompenso cardiaco)
- malattie respiratorie (asma grave e BPCO)
- malattie Oncologiche (follow – up)
- malattie renali (insufficienza renale cronica)
- malattie osteo – articolari (artrite reumatoide, in primis)
 
Occorre, inoltre, che si costruiscano opportune forme di raccordo fra professionisti anche per le malattie a bassa ospedalizzazione ed in particolare nell'ambito:
- salute mentale
- dipendenze
- cure palliative
 
La interazione fra specialisti e medici delle cure primarie sarà resa più facile da una organizzazione (tutta interna ad ogni AFT!!) che individui, fra i medici di famiglia, quelli che hanno uno speciale interesse per alcune delle patologie sopra menzionate (non “mini -  specialisti”, dunque, semmai “consulenti interni”),  i cosiddetti  “ medici esperti”,  che – progressivamente – svilupperanno una prassi di confronto e una crescita di competenze professionali necessaria per lo specifico percorso assistenziale.
 
La popolazione target (individuata attraverso gli archivi dei MMG e le banche dati aziendali) viene stratificata in funzione della gravità/complessità identificando così sotto-popolazioni “iso – gravità” e verrà presa in carico per intensità di cure, tenendo conto, ad es, delle problematiche sociali associate alla non autosufficienza.
 
Il sistema di accesso agli accertamenti strumentali, e alle eventuali visite specialistiche, avviene in prossimità della presa in carico (dove si prescrive, si prenota) e secondo classi di priorità che diversificano la prima visita (da fare in tempi brevi perché necessaria alla decisione diagnostico–terapeutica) dalla visita di controllo che necessita di una piattaforma dedicata: oggi le due – ben diverse – necessità di prescrizioni “finiscono” nello stesso contenitore così che la 2° (il controllo) che, rappresenta dal 50% al 60% della domanda, ostacola la 1° che – evidentemente – esprime un diritto che non può essere sottovalutato o messo in forse da lunghi tempi di attesa!
 
 2) Il secondo pilastro della “rifondazione” e della Population Health Management è una migliore mobilità – programmata – degli specialisti nella rete degli Ospedali!
 
Attraverso una proiezione specialistica, anche i Presidi  Ospedalieri di riferimento territoriale o zonale (i cosi detti “ Piccoli Ospedali”, termine da superare..) potranno avvalersi di un continuo aggiornamento di branca e, contemporaneamente,  il riferimento specialistico verrà consolidato nella intera rete ospedaliera, che diviene – quindi – sempre più orizzontale (conplanare), superando modelli che, inevitabilmente tendono a creare ospedali di serie A-B-C...
 
Al contrario, negli ospedali in rete devono essere svolte attività appropriate, garantendovi – altresì – un'adeguata saturazione dei fattori produttivi (SS.OO., PP.LL. tecnologie, costi fissi), cui consegue una (dimostrata) riduzione dei costi! In tale logica si colloca, in primis, il Sistema di Emergenza Urgenza che può garantire, oltre la tempestività dell'intervento, la individuazione del presidio ospedaliero più sicuro (e preparato) cui far arrivare il paziente (ad es. nel caso dell'infartuato: non l'ospedale perché più vicino!)
 
 3) Infine, è determinante che i setting assistenziali si raccordino fra loro attraverso Sistemi Informativi capaci di assicurare (con il consenso, dell'assistito ovviamente) sia la trasmissione di dossier clinici dei referti, delle immagini, dei dati di laboratorio, sia il teleconsulto, la televisita fra medici ospedalieri e fra medici del territorio con gli specialisti dell'ospedale di riferimento.
 
I sistemi informativi devono, inoltre, permettere una corretta identificazione e stratificazione della popolazione target e, parimenti, aiutare il Sistema ad identificare l'andamento delle attività di assistenza rispetto agli obiettivi di esito e di processo adottati, evidenziando anche fenomeni di “Overtreatment”,  così come  di “Underuse” che costituiscono segnali di allentamento o ritardo dei processi di presa in cura,  che la comunità dei professionisti si erano dati!
 
Il progetto di cambiamento, certo ambizioso, vede la volontà, e l'entusiasmo, di tanti professionisti che operano prevalentemente nell'Ospedale o nel Territorio.
 
La sfida è lanciata: il banco di prova sarà la attività quotidiana, sapendo, ricorda Confucio, che dovremmo superare la resistenza di molti al cambiamento e soprattutto i timori che ogni modifica all'organizzazione ingenera nei cittadini (e non solo...).
 
Dr. Enrico Desideri  
Direttore Generale Azienda USL Toscana sud est
 
Dr.ssa Marzia Sandroni 
Responsabile Comunicazione, Relazioni Interistituzionali e Marketing
 
Dr.ssa Branca Vujovic 
Responsabile Governo dei Processi Decisionali e della Programmazione Pianificazione Strategica
 
Dr.ssa Simona Dei 
Direttore Sanitario Azienda USL Toscana sud est
 
Dr.ssa Daniela Matarrese 
Direttore Rete Ospedaliera

17 novembre 2016
© Riproduzione riservata


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