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Quando il ricovero in ospedale è un rischio. Infezioni ospedaliere al galoppo: 22mila casi nel 2015, quasi 4mila in più rispetto al 2007. Va meglio per il rischio di embolia, ma anche i traumi ostetrici nel parto naturale crescono


Prosegue la nostra analisi sulle Sdo 2015. Dopo quella sull'appropriatezza dei ricoveri, ci occupiamo oggi de rischi per la salute durante un ricovero in ospedale. Purtroppo gli indicatori di rischio in ambiente ospedaliero sono praticamente tutti elevati e/o al rialzo. In particolare le infezioni ospedaliere, sia mediche che post chirurgiche sono in costante crescita, ma aumentano anche i traumi ostetrici nel parto naturale sia con che senza strumenti. 

14 APR - Oltre 22mila infezioni ospedaliere per cure mediche o post operatorie nel 2015, quasi 4mila in più del 2007, primo anno dei piani di rientro. E più di 11.600 traumi da parto nei parti naturali (con o senza strumenti), anche in questo caso 832 in più del 2007. Va meglio per il controllo delle embolie che sono nel 2015 oltre 14.600, ma si riducono rispetto al 2007 DI -8537 casi.
 
Gli indicatori di rischio in ospedale che forniscono le Sdo 2015 non danno un’immagine in progress dell’attenzione che i ricoveri prestano agli indici considerati pericolosi. Le infezioni ospedaliere non solo non calano, ma sono in aumento (in quasi tutte le Regioni) sia in caso di intervento di natura medica, sia chirurgica. E così gli altri indicatori, tranne, appunto, le embolie. (Nelle tabelle i valori ogni 100mila abitanti sono considerati sul totale delle dimissioni, tranne i traumi da parto che si riferiscono ovviamente ai parti).
 



 

 


 
Sempre restando al confronto 2007/2015  e passando ad analizzare l'indicatore dell'incidenza delle infezioni su 100mila ricoveri si rileva che la media nazionale per le infezioni dovute a cure mediche è aumentata di 5,46 casi per 100mila dimessi, passando da un indice di 6,9 casi ogni 100mila ricoveri a 12,36 casi, mentre quella per infezioni post-chirurgiche sempre per 100mila dimessi è cresciuta di 85,14 casi in nemmeno dieci anni: rispettivamente un aumento del 79% e 59% con aumento medio quindi di circa il 69 per cento.
 
Considerato poi l’effetto sui pazienti, sui ricoveri e sull’organizzazione delle strutture che queste situazioni generano, i risultati delle Sdo 2015 sembra lancino un vero e proprio allarme.
 
Il capitolo che analizza questi dati è proprio quello degli indicatori di rischio clinico in ambito ospedaliero e, accanto alle infezioni, ci sono altre tre situazioni di rischio a fare da indicatori: embolia polmonare o DVT (Deep Vein Thrombosis, la trombosi venosa profonda) post chirurgiche per 100mila dimessi; i traumi ostetrici nel parto naturale con ausilio di strumenti per 100mila dimessi e i traumi ostetrici nel parto naturale senza ausilio di strumenti.
 


 


In questi altri tre indicatori la situazione è sicuramente migliore per uno: l’embolia polmonare - che ha un calo medio nazionale in dieci anni di -30,57 casi ogni 100mila abitanti - ma sicuramente ancora pessima negli altri due, rispettivamente con un incremento nello stesso periodo del 12,58% (332,91 casi ogni 100mila abitanti) e del 10% (71,92 casi ogni 100mia abitanti) circa. Valori non altissimi, è vero, ma pur sempre in aumento e che se letti in concomitanza col largo uso dei cesarei che si fa nel nostro Paese, non rappresentano davvero un deterrente valido per rinunciare al parto chirurgico.
 
La situazione d’altra parte è assolutamente instabile negli anni. Ma se le embolie nonostante alti e bassi a seconda dell’anno di riferimento possono considerarsi sempre in calo, le infezioni (sommando nei grafici quelle mediche e quelle post chirurgiche) sono una variabile impazzita, praticamente quasi sempre comunque in aumento anche se con qualche eccezione negli anni e rappresentano un indice che non rende davvero l’idea di un rischio gestibile.

Vediamo dove le cose vanno meglio e peggio per ciascun indicatore, usando per il confronto gli anni 2007 e 2015.
 
Per le infezioni dovute a cure mediche al top dell’aumento percentuale dal 2007 al 2015 ci sono Piemonte e Valle d’Aosta con, rispettivamente, +26,67 casi ogni 100mila abitanti e  +29,41. Le altre Regioni con incrementi sensibili son Bolzano (+8,53), Emilia Romagna (+6,97 sempre ogni 100mila abitanti) e Veneto (+6,85). Sul versante opposto, sono in calo rispetto al 2007 le infezioni in Abruzzo (-2,41 ogni 100mila abitanti), Sardegna (-1,77), Umbria (-1,38) e Campania (-0,19). Il che lascia pensare – ma nulla impedisce si siano applicate politiche di contenimento – che il dato è in aumento dove si ricovera sicuramente di più, anche in base ai risultati della mobilitò sanitaria (in Lombardia si registrano +5,61 casi ogni 100mila abitanti), mentre calano dove i ricoveri sono molto meno e gran parte dei pazienti “emigra” in cerca di cure quasi sempre nelle Regioni che alla fine presentano valori più alti.
 
Un discorso analogo potrebbe valere anche per i risultati delle infezioni post chirurgiche, dove dal 2007 sono aumentate di 241,55 casi per 100mila dimessi in Valle d’Aosta, 201,59 in Umbria, 201,40 in Basilicata, 187,95 in Emilia Romagna e 159,89 in Veneto. Al contrario, anche in questo caso, sono calate in Molise (-79.79 casi per 100mila abitanti) e in Abruzzo (-24,74), ma poi anche in Toscana (-49,57), Trento e Bolzano rispettivamente con – 24,25 e – 28, 21. La media nazionale tuttavia è in aumento di 85,14 casi per 100mila abitanti che a distanza di quasi dieci anni non va bene.
 
Per quanto riguarda le embolie, la situazione, come, detto è in miglioramento e ci sono nel 2015 in media 30,57 casi ogni 100mila abitanti in meno. In quasi tutte le Regioni si registra una riduzione che va dal minimo di 0,38 casi per 100mila abitanti in Calabria (valore quasi nullo quindi, come quello della Campania di -0,72) al massimo di -263,39 casi in Valle d’Aosta, 210,12 in Basilicata, 125,44 in Toscana. Anche qui però ci sono le eccezioni e nelle Marche i casi aumentano di 465,31 ogni 100mila abitanti così come a Trento (+30,03) e in Molise (+12,28).
Gli ultimi due indicatori della serie, quelli dei traumi da parto con o senza strumenti, non vanno invece bene del tutto.
 
Per i traumi ostetrici nel parto naturale con ausilio di strumenti si rilevano 332,91 casi in più ogni 100mila dimessi, ma in alcune Regioni i numeri sono ben maggiori. Si arriva infatti a +2439,92 nel Molise, +2119,52 a Trento, +2078,43 in Sardegna ogni 100mila abitanti, mentre sul versante opposto crollano i rischi nelle Marche con -3317,33 traumi ogni 100mila abitanti con l’utilizzo di strumentazioni, -2848,72 in Umbria e -2119,73 in Sicilia. A testimoniare questo risultati che un controllo sui fattori di rischio è possibile.
 
Per i traumi ostetrici nel parto naturale senza ausilio di strumenti, la media nazionale è di 71,92 in più ogni 100mila abitanti nel 2015 rispetto al 2007, ma anche qui le variabili regionali sono fortissime. Si hanno infatti diminuzioni nelle stesso periodo in Molise di -1386,65 e in Valle d’Aosta di 221,89, contro aumenti di 1360,81 nelle Marche e 404,58 a Trento. Tuttavia, confrontando questi dati con quelli delle Regioni leader nei cesarei, viene da pensare che la riduzione dei traumi (anche la Campania che di cesarei ne ha ben di più del 60%) sia legata, appunto, a un utilizzo massivo del parto chirurgico, Una ipotesi, solo una ipotesi, che trova però un ulteriore appoggio nel fatto che le Regioni dove i traumi sono maggiori sono quelle con le percentuali relativamente più basse rispetto alla media nazionale di cesarei.
 



 

 


14 aprile 2017
© Riproduzione riservata


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