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“Tutela la salute”. Ecco perché tutti dovrebbero leggere il libro di Benci

di Ivan Cavicchi

Attualità, lucidità, professionalità. Attualità perché questo libro è stato scritto quasi come un diario di bordo nella tempesta, cioè in tempo reale. Lucidità perché la lettura dei problemi è disincantata, oggettiva. Professionalità, perché tutti i problemi affrontati dal libro, (dalla privatizzazione alla appropriatezza prescrittiva) sono trattati con gli strumenti del mestiere quindi leggendo i fenomeni prima di tutto come una violazione delle norme.

27 APR - Vorrei che tutti leggessero il libro appena pubblicato di Luca Benci “Tutela la salute” (imprimatur Reggio Emilia 2017) perché l’analisi che ci propone ha tre pregi:
• l’attualità con le questioni che sono sul tappeto
• la lucidità sovra-ideologica di chi guarda alla sanità con laicità e disincanto
• la competenza professionale

Luca Benci è un giurista molto bravo cioè uno che certamente legge il mondo attraverso le sue leggi, ma in particolare che legge la sanità come “uno studioso e lavoratore di diritto” (definizione di giurista). 
 
Il suo libro, per certi versi spietato, proprio come una sentenza di tribunale, nel descrivere la situazione di decadenza della sanità pubblica, assume come postulato di partenza lo ius il "diritto" ma che a ben guardare è null’altro che la base del suo lavoro e di quello che egli è professionalmente, un “jurista” per l’appunto.

Il titolo del libro, da questo punto di vista, è davvero significativo: "tutela la salute”, non “tutela della salute”. Egli sceglie l’imperativo non l’indicativo, perché per lui (ma anche per me) il diritto alla salute, quindi l’art. 32 della Costituzione dovrebbe esprimere un comando che, per sua natura imporrebbe un obbligo preciso e inderogabile alla politica che si occupa di sanità, di rispettare il comando del diritto, comandandone la sua applicazione.
 
Il diritto alla salute per Luca Benci è, per dirla con Kant, un “imperativo categorico” cioè un valore di base per la razionalità sociale economica culturale organizzativa da cui ricavare tutte le esigenze morali che ruotano intorno al tema della salute e della malattia, della vita e della morte, del dolore e del benessere.

Il diritto alla salute quindi, con Luca Benci, è spiegato come valore sommo sia con ragioni dottrinali che per convinzioni personali. Del resto come potrebbe un jurista essere in disaccordo con lo jus?

Dicevo attualità, lucidità, professionalità. Attualità perché il libro è stato scritto quasi come un diario di bordo nella tempesta, cioè in tempo reale, descrivendo i marosi che si abbattono sul ponte della nave sanità, basti pensare al capitolo sui vaccini, sulle mutue, sulla medicina difensiva, ma anche alla libera professione sulla privatizzazione, e a tante altre questioni. Lucidità perché la lettura dei problemi è disincantata, oggettiva, cioè pane al pane e vino al vino, basta leggere tra gli altri il capitolo 6 sulla “violenza istituzionale e sul diritto alla salute” dove sono trattati i casi più spinosi e imbarazzanti di violazione violenta al diritto alla salute (l’uso distorsivo dei trattamenti sanitari obbligatori, l’abuso della contenzione, e i casi più clamorosi Aldrovandi, Cucchi, Margherini, Uva ecc).

Professionalità, perché tutti i problemi affrontati dal libro, (dalla privatizzazione alla appropriatezza prescrittiva) sono trattati con gli strumenti del mestiere quindi leggendo i fenomeni prima di tutto come una violazione delle norme.

Tra i diversi capitoli tutti molto interessanti ve ne è uno che mi ha colpito in ragione soprattutto dei miei interessi culturali mi riferisco alla questione della “medicina amministrata”, che è il 4 (la scienza e la salute a furor di popolo) dove Luca Benci affronta il nodo delle evidenze scientifiche come obbligo deontologico quindi come prassi professionali tenute al loro rispetto. Le evidenze scientifiche dice lui, per la legge sono doveri. Una questione molto delicata che chiama in causa l’uso delle linee guida, le decisioni cliniche subordinate al procedimento, gli algoritmi terapeutici cioè percorsi decisionali definiti sulla base di a priori. Il giurista ci descrive le norme che a tutela prima di tutto dei malati impongono agli operatori, il rispetto delle evidenze scientifiche, l’epistemologo suggerisce che oggi il dovere di attenersi alle evidenze scientifiche è sempre più problematico.

Le nostre "evidenze scientifiche", preziose quanto insostituibili, spesso per una serie di ragioni, compresa la complessità individuale del "caso", sono falsificabili dall'esperienza. Questo implica che esse alla stregua delle linee guida, delle procedure, degli algoritmi, debbano essere viste come delle verità scientifiche convenzionali mediamente valide ma da interpretare caso per caso. Cioè verità relative a…
 
Se il libro di Luca Benci non fosse stato già pubblicato esso sicuramente avrebbe contenuto un paragrafo sul caso Gava il medico radiato dall’ordine di Treviso reo di sostenere idee poco ortodosse sui vaccini. Premesso che per me i vaccini restano importanti, questo caso è emblematico rispetto proprio ad alcune aporie relative alle evidenze scientifiche. La profilassi, quindi i vaccini, non può essere de-clinicizzata per cui la somministrazione di un vaccino resta sempre un atto clinico che deve correlare le evidenze scientifiche con la singolarità del caso. L'ortodossia scientifica tende al contrario a considerare le evidenze scientifiche dei vaccini come delle verità "a priori" quindi dogmatiche da usare con la logica del tso (su questo vi consiglio di leggere il capitolo 5 del libro di Benci davvero molto illuminante). Con questa logica si sono avuti casi clamorosi come il vaccino H1N1 le cui evidenze scientifiche sono state addirittura contraddette da una epidemia di narcolessia (Risk of narcolepsy after A03 adjuvanded pandemic A/H1N1 2009 influenza vaccine in adults. A case-coverage study in england. 2016 May).

Ma c’è un altro aspetto legato al caso Gava e alle evidenze scientifiche che nessuno ha rilevato. Il dottor Gava come si legge dal suo curriculum professionale è un medico allopatico che integra le sue conoscenze con quelle che nel libro di Benci sono definite le “medicine non convenzionali” (capitolo 4 paragrafo 4.3).

La Fnomceo con un famoso convegno promosso dall’ordine di Terni (marzo 2010) legittimò per ragioni del tutto opportunistiche le medicine non convenzionali ammettendone la loro integrabilità. Molte delle idee del dottor Gava, da quello che ho capito, derivano proprio dalla sua cultura extra-allopatica, per cui è grottesco che un ordine ammetta evidenze diverse da quelle convenzionalmente scientifiche e nello stesso tempo in base a delle evidenze scientifiche tratti i suoi iscritti come degli eretici fino a bruciarli in piazza.

Tornando a bomba, cioè al libro di Luca Benci. A me pare che l’operazione che lui ha voluto fare sia pienamente riuscita, vale a dire assumere da jurista lo jus per verificare lo stato della sanità intesa come struttura e sovrastruttura quindi come sistema.

Rispetto allo jus cioè all’imperativo “tutela la salute” la sua analisi è impeccabile quindi in massimo grado condivisibile e coincide con quello che da un po vado dicendo “a condizioni non impedite perderemo la sanità pubblica” cioè cancelleremo l’art. 32 della Costituzione.

Resta da capire come riusciremo a contrappore a questa ingloriosa e infausta prospettiva una contro-prospettiva efficace e vincente.
 
Ivan Cavicchi 

27 aprile 2017
© Riproduzione riservata


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