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Ridurre le re-ospedalizzazioni a 30 giorni. Sì può fare, con la “complicità” del paziente

di Nino Cartabellotta

In Italia il 5,4% dei ricoveri è costituito dal ritorno forzato in ospedale di un paziente dimesso meno di 30 giorni prima per una complicazione dovuta in genere a una cattiva gestione delle prime dimissioni. Per evitare il fenomeno essenziale il coinvolgimento del paziente

31 OTT - La re-ospedalizzazione a 30 giorni dalla dimissione è un evento frequente che, oltre a ridurre la qualità dell’assistenza, determina ingente spreco di risorse economiche. La sua rilevanza è stata definitivamente legittimata dal sistema di valutazione della performance dei sistemi sanitari regionali, messo a punto dal ministero della Salute in collaborazione con il Laboratorio management e sanità della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Infatti, uno dei 34 indicatori previsti dal sistema è proprio la “percentuale di ricoveri ripetuti entro 30 giorni per stessa MDC”, corretto per lo scostamento dal tasso nazionale di ospedalizzazione per ricoveri ordinari acuti. Nel report relativo al 2008, rispetto a una media interregionale del 5.4%, la percentuale di ricoveri ripetuti a 30 giorni varia dal 3.32% del Piemonte al 7.60% della Puglia.
Tutte le organizzazioni sanitarie oggi attuano vari interventi organizzativi finalizzati a ridurre il tasso di re-ospedalizzazione a 30 giorni. Ma quali sono quelli di documentata efficacia? 
La risposta è arrivata il 18 ottobre da Hansen LO et coll sugli Annals of Internal Medicine, con una revisione sistematica che ha valutato l’efficacia degli interventi volti a ridurre i ricoveri ripetuti a 30 giorni dalla dimissione, con esplicita esclusione degli studi che arruolavano popolazione pediatrica, ostetrica e psichiatrica. Gli Autori, selezionando 43 studi (16 trial controllati randomizzati, 20 studi di coorte e 7 studi non controllati before-after),  hanno definito una specifica tassonomia che organizza 12 interventi in 3 categorie “temporali”, definite dal timing in cui vengono erogati i singoli interventi.
 
1. INTERVENTI PRE-DIMISSIONE
* Educazione del paziente
* Discharge planning, che in Italia viene identificata con la dimissione protetta. In realtà, se un discharge planning prevede uno specifico documento contenente raccomandazioni cliniche da effettuare al domicilio, spesso le dimissioni protette con motivazioni prevalentemente sociali non prevedono raccomandazioni cliniche per i professionisti sanitari.
* “Riconciliazione” delle terapie farmacologiche: processo che, a partire dal confronto tra la lista dei farmaci assunti dal paziente (ricognizione) e quelli che dovrebbero essere somministrati, permette di definire una prescrizione farmacologica appropriata e sicura.
* Programmazione di un appuntamento di follow-up.
 
2. INTERVENTI POST-DIMISSIONE
* Comunicazione tempestiva alle cure primarie di tutte le informazioni relative al paziente.
* Presa in carico tempestiva e follow-up da parte delle cure primarie.
* Follow-up telefonico.
* Linee dedicate di assistenza telefonica per i pazienti.
* Visite domiciliari eseguite dallo staff infermieristico per verificare la compliance terapeutica e l’appropriatezza del follow-up ambulatoriale, oltre che per monitorare la sintomatologia.
 
3. INTERVENTI NEL CONTINUUM OSPEDALE-TERRITORIO
Definiti bridging, sono erogati sia prima che dopo la dimissione, offrendo un raccordo tra il setting ospedaliero e quello territoriale.
* Transition coaches: letteralmente “istruttori nella fase di transizione”, si identificano con il personale  infermieristico che fornisce specifiche istruzioni al paziente prima della dimissione e che dopo la sua dimissione esegue le visite domiciliari (si veda sopra).
* Continuità assistenziale tra ospedale e territorio.
* Istruzioni di dimissione patient-centered.
Apparentemente questi interventi derivano da quelli inclusi nelle categorie precedenti (educazione dei pazienti, dimissioni protette, visite domiciliari, follow-up telefonico, comunicazione con le cure primarie); in realtà, quando inseriti in questa categoria gli interventi vengono rimodulati enfatizzando sia un approccio longitudinale del processo di cura dall’ospedale al territorio, sia il ruolo dei pazienti e dei professionisti sanitari nel garantire una “transizione” sicura tra i due setting assistenziali.
 
Due i messaggi pratici:
* Nessun intervento, utilizzato da solo, è regolarmente associato a una riduzione delle re-ospedalizzazioni a 30 giorni.
* Alcuni interventi sembrano particolarmente promettenti: in particolare le istruzioni di dimissione patient-centered e il follow-up telefonico,  inclusi in tutti i trial controllati e randomizzati, hanno sempre migliorato l’efficacia del “pacchetto dimissione”. Verosimilmente, l’efficacia di questi interventi è legata alla “caduta di tensione” assistenziale e informativa che i pazienti sperimentano nel passaggio dall’ospedale al territorio.
Una considerazione finale: nonostante i limiti metodologici rilevati dagli stessi Autori, sembra che gli interventi più efficaci siano quelli che prevedono differenti modalità di informazione e coinvolgimento del paziente perché trasformano la dimissione ospedaliera da un processo che il paziente “subisce”, a un processo in cui viene attivamente coinvolto.
 
Nino Cartabellotta
Presidente Fondazione GIMBE
 
Fonte
Hansen LO, Young RS, Hinami K, et al. Interventions to reduce 30-day rehospitalization: a systematic review. Ann Intern Med 2011;155:520-8.

 

31 ottobre 2011
© Riproduzione riservata


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