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Immigrati. Caritas: 7 su 10 vivono in condizioni di disagio


Oltre il 10% soffre inoltre di disturbi post traumatici da stress. Lo rilevano i dati dell’Area sanitaria Caritas presentati ieri all'Istituto superiore di Sanità. Garaci (Iss): "Non bisogna mai dimenticare che lo sradicamento e la solitudine possono far ammalare il corpo".

17 FEB - "I dati ci dicono che oltre 7 stranieri su 10 nel nostro Paese vivono in condizioni di grave disagio. Questo, unitamente al fatto che più del 10% soffre di un disturbo post traumatico da stress, conferma che il concetto di cura è un concetto globale e va oltre il singolo intervento terapeutico”. Sono le parole con cui Enrico Garaci, presidente dell’Iss, ha scelto di lanciare l’11° Convegno dell’Italian National Focal Point - Infectious Diseases and Migrant, che si è svolto il 16 Febbraio 2012 nell’Aula Pocchiari dell’Istituto Superiore di Sanità. Argomento dell’incontro è stato proprio l’intervento socio-sanitario per le persone migranti.
 
Un meeting che voleva porre al centro del dibattito non solo le malattie infettive(infezione da HIV, AIDS, malattie sessualmente trasmesse e tubercolosi), che da anni sono argomento di numerosi studi dell’ISS, ma anche il disagio e la sofferenza psicopatologica che i e le migranti subiscono ogni giorno nel nostro paese. “Nella popolazione immigrata è fondamentale un’attenzione altissima alla sofferenza psichica che può riflettere forti disagi materiali”, aveva affermato Garaci. “Senza dimenticare mai che anche lo sradicamento e la solitudine possono far ammalare altrettanto il corpo in quell’unità indivisibile che è la persona”.
 
Il riferimento è ai più recenti dati dell’Area sanitaria Caritas,presentati all’ISS durante il convegno. Su un campione di 391 migranti visitati nel servizio di medicina generale del poliambulatorio Caritas di Roma per persone in condizione di fragilità sociale (immigrati non inseriti e richiedenti asilo), il 73,65% riporta gravi difficoltà di vita in Italia e più del 10% soffre di un disturbo post traumatico da stress (PTSD). Inoltre, per ogni difficoltà post-migratoria in più, il rischio relativo di avere un PTSD aumenta di 1,19 volte. 
"Il Disturbo Post Traumatico da Stress porta l'individuo a vivere in uno stato emotivo di forte allarme, con pensieri intrusivi e ricorrenti delle esperienze traumatiche vissute, difficoltà a concentrarsi, insonnia, incubi, tendenza a isolarsi per paura di subire nuove violenze, dolori e altri sintomi somatici su base psicologica”, ha spiegato Massimiliano Aragona, psichiatra del progetto Caritas Ferite Invisibili. “Le persone in questo stato hanno grandi difficoltà nella vita quotidiana; non riuscendo a concentrarsi non riescono ad apprendere e possono avere difficoltà sul lavoro, nei casi più gravi sono così spaventati che possono addirittura non andare in questura a presentare la domanda per il riconoscimento del loro status di rifugiato (ad es. perché la vista di una persona in divisa gli ricorda violenze subite in patria da uomini in divisa)”.
 
Su questa condizione si inseriscono le difficoltà di vita post-migratorieche sono un fattore ritraumatizzante che fa insorgere o peggiorare i sintomi del disagio psicologico. Riguardano difficoltà sociali, lavorative, abitative, di accesso alla salute, di discriminazione, ma anche la preoccupazione per le famiglie lasciate nel paese d’origine. “Si comprende come queste persone siano persone vulnerabili da proteggere e curare, altrimenti possono avere serissime difficoltà a integrarsi nel tessuto della nostra società", ha aggiunto Aragona.
Il Convegno è stato organizzato dall’Unità Operativa Ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione del Dipartimento di Malattie Infettive dell’ISS, per promuovere il confronto tra i professionisti, i rappresentanti delle istituzioni e quanti operano nel settore della tutela della salute del paziente immigrato. Nella speranza di riuscire a giungere ad una linea d’azione condivisa, per prevenire e contrastare la diffusione di malattie infettive, ma alla quale si aggiunge anche l’ulteriore prospettiva che tiene conto della condizione di fragilità anche psicologica del migrante, dovuta in primo luogo al vissuto di sradicamento dal contesto di vita originario.
 
Un approccio di questo tipo potrebbe infatti tradursi, secondo gli organizzatori, in interventi e strategie finalizzati a consentire l’adattamento e l’integrazione della persona straniera nella società ospite.

17 febbraio 2012
© Riproduzione riservata


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