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Si può ricorrere alla “frazione eziologica” per una patologia oncologica in un pubblico dipendente ai fini dell’indennizzo?

di Domenico Della Porta

Se ne è discusso al Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale di Medicina Legale per la Pubblica Amministrazione. Un'ipotesi interessante è stata avanzata dal direttore della Direzione Sanità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno Cipriani: "L’importo dell’indennizzo, a partenza di una quota massima potrebbe essere moltiplicato per la percentuale di probabilità causale (da 0 a 1), con criteri analoghi a quelli che si stanno consolidando in materia di resposabilità medica, come ad esempio nella perdita di chance da ritardata diagnosi di neoplasia".

17 GIU - Ricorrere o meno alla “frazione eziologica” per ricondurre ad una determinata esposizione lavorativa per una patologia oncologica riscontrata ad un pubblico dipendente da utilizzare anche per fini dell’indennizzo o del risarcimento? Questo coraggioso quesito è stato sottoposto da Fabrizio Ciprani, direttore della Direzione Sanità del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, cui è stata affidata una delle tre Lectio Magistralis del Secondo Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale di Medicina Legale per la Pubblica Amministrazione, svoltosi a Paestum, alla qualificatissima platea composta, tra l’altro, dai presidenti delle Commissioni Mediche di Verifica e superiore del Ministero Economia e Finanza.
 
L’evento presieduto dal Generale Medico della Difesa Luigi Lista, alla presenza di Alberto Avoli, Procuratore Generale della Corte dei Conti di Roma, dal titolo molto stimolante “La Medicina Legale della Pubblica Amministrazione tra diritto e nuove esigenze delle tutele sociali”, ha puntato l’attenzione a 360 gradi sugli aspetti valutativi dell’idoneità al servizio e della inabilità nel pubblico impiego e nelle forze armate e di polizia del paziente oncologico, senza tralasciare questioni legate alle idoneità al lavoro difficili, alle prestazioni assistenziali/revidenziali, alle vittime del dovere, all’aggravamento e all’interdipendenza delle infermità.
 
Per calcolare la frazione eziologica o rischio attribuibile in medicina, si ricorre alla differenza tra l’incidenza negli esposti e l’incidenza dei non esposti, dividendo questa differenza per l’incidenza negli esposti. In epidemiologia è utile per studiare le cause delle malattie. Si è trattato, indubbiamente, di un importante argomento posto all’attenzione da Ciprani, in considerazione di una recente pubblicazione del Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro e Ambientale dell’INAIL sulla dimensione dei tumori professionali dal titolo "Il sistema di monitoraggio per l’identificazione delle neoplasie a bassa frazione eziologica".
 
In esso si evidenzia come la popolazione generale è esposta ad un ampio spettro di inquinanti ambientali, provenienti da diverse fonti (abitazione, luogo di lavoro, ambiente in generale), esposizioni che normalmente non possono essere direttamente controllate a livello individuale. Alcune sostanze chimiche, metalli, polveri e circostanze occupazionali sono state causalmente associate ad un aumentato rischio di specifici tumori (polmone, cute, vescica, mesotelioma), tanto che la IARC ha classificato 44 esposizioni professionali come cancerogeni per l’uomo:
• 32 agenti chimici o fisici e gruppi di agenti o miscele per le quali l’esposizione è prettamente occupazionale 
 
• 12 processi industriali o professioni. In Italia circa 4,2 milioni di soggetti sono stati riconosciuti esposti ad agenti cancerogeni (25% della forza lavoro) mentre nei paesi EU si sono registrati più di 100.000 decessi per tumori professionali nel 2014 (53% di tutti i decessi lavoro-correlati).
 
“Una ipotesi di tenere presente nel percorso valutativo la frazione eziologica - ha detto Ciprani - solleverebbe il medico legale da una decisione, su criteri probabilistici, che oggi, inevitabilmente confluisce in un giudizio di tipo binario, spesso di difficile e sofferta adozione. L’importo dell’indennizzo, a partenza di una quota massima - continua il direttore Sanità della Polizia di Stato - potrebbe, in tal senso, essere moltiplicato per la percentuale di probabilità causale (da 0 a 1), con criteri analoghi a quelli che si stanno consolidando in materia di resposabilità medica, come ad esempio nella perdita di chance da ritardata diagnosi di neoplasia. Questo approccio diverso, in termini di riparazione del danno, potrebbe essere eteso a tutte le malattie lavoro-correlate, a genesi multifattoriale ed a bassa/media frazione eziologica, magari rivedendo l’importo dell’equo indennizzo ed armonizzandoli con quelli previsti per coloro che possono beneficiare delle speciali elargizioni (vittime del terrorismo e del dovere), ambiti nei quali la valutazione medico-legale si incentra sul danno biologico e non sulla capacità lavorativa generica.
 
Ad oggi, tuttavia, la differenza sul riconoscimento del nesso di causalità tra una patologia tumorale e l’attività lavorativa, che prevede soltanto un giudizio netto, continua a giocarsi esclusivamente sul quantum, nonostante fossero stati introdotti da Angelo Fiori, in maniera convincente, i concetti di causalità forte (in sede penale), di causalità debole (in sede civilistica) e di causalità ultradebole in sede previdenziale (INAIL e pensionistica di privilegio). Questo condivisibile orientamento - conclude Cipranic- che può armonizzare la prova scientifica con quella giuridica, spiega anche il diverso destino della valutazione del nesso di causalità in ambito pensionistica di privilegio, rispetto all’ambito della responsabilità civile che si osserva anche nei contenziosi della pubblica amministrazione”.

Domenico Della Porta
Docente Medicina del Lavoro Uninettuno Roma

17 giugno 2019
© Riproduzione riservata


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