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Fondi sanitari e fisco. L’Agenzia delle Entrate rifà i conti e i 4 mld di agevolazioni fiscali stimati da Gimbe si riducono a 6/700 milioni

di Mario Del Vecchio

L’Agenzia delle Entrate ha rettificato i dati relativi ai contributi degli iscritti ai fondi sanitari resi noti nell'Audizione parlamentare del febbraio scorso. In realtà, secondo una nuova memoria inviata in Parlamento il 15 maggio scorso (evidentemente sfuggita ai più), il valore dei contributi su cui calcolare lo sconto fiscale si riduce dagli iniziali 11 a poco più di 2 miliardi. Quindi l’entità dei mancati versamenti al fisco scenderebbero conseguentemente dai 4 miliardi stimati da Gimbe a non più di 6/700 milioni

04 LUG - Il 26 di giugno su questo giornale il direttore spiegava come i “famosi 4 miliardi” di tax expenditure calcolati da GIMBE, ma anche dalla Corte dei Conti nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica del 29 maggio, difficilmente potessero essere considerati una risorsa potenzialmente disponibile per contribuire a mantenere, a perimetro invariato, il SSN sulla linea di galleggiamento.
 
Ora sarebbe bene che tutti i soggetti che partecipano al dibattito prendano atto che i 4 miliardi non esistono, non solo sul piano logico, ma soprattutto su quello dei fatti, in questo caso dei numeri di partenza.
 
Come è noto l’intero ragionamento muove dai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate nell’audizione alla Camera del 6 febbraio 2019 nella quale si affermava che “…riguardo all'anno d'imposta 2017, invece, il numero di contribuenti presenti nelle certificazioni uniche per i quali risultano questi contributi [relativi ai fondi] sono 6.696.640 e l'importo dei contributi indicati è di 11.052.024.920 euro”. Per stimare la spesa fiscale, agli 11 miliardi in questione veniva applicata una aliquota del 30% che, integrata da alcune altre considerazioni, dava i circa 4 miliardi che hanno iniziato a circolare nel dibattito.
 
Se il rapporto della Corte dei Conti è del 29 maggio e quello GIMBE è stato presentato alla Camera l’11 giugno, nella relazione aggiornata al 15 maggio l’Agenzia delle Entrate ha rettificato i dati relativi ai contributi dedotti portandoli da 11 a 2 miliardi circa (2.053.220.946 per l’esattezza).
 
Utilizzando gli stessi criteri i 4 miliardi diventerebbero così 6/700 milioni (senza per il momento entrare nelle altre voci considerate da Gimbe per arrivare alla stima di 4 miliardi). Da rapporto “contributi medi per contribuente” di circa 1.600 euro (irrealistico) si passa, quindi, a un contributo medio di 298 euro. Si tratterà adesso di vedere quanto tempo dovremmo attendere perché l’errore venga corretto nel dibattito corrente, il che dipenderà anche dall’impegno che i diversi soggetti augurabilmente profonderanno nel promuovere una riflessione sul SSN e i fondi integrativi “evidence based”.
 
In una riconsiderazione delle argomentazioni su un eventuale taglio delle agevolazioni promossa dal cambiamento dei dati di partenza potrebbe essere utile aggiungere alcune riflessioni a quelle, totalmente condivisibili, offerte dal direttore nel suo contributo del 26 giugno.
 
Sul piano strettamente tecnico del calcolo degli impatti sulla finanza pubblica di una decisione nel senso indicato bisognerebbe almeno considerare che:
1. se i consumi attualmente “agevolati” rimangono totalmente o parzialmente in ambito sanitario, tali consumi godono comunque di un beneficio fiscale del 19% e, quindi, la percentuale del 30% assunta per il calcolo andrebbe corretta;
 
2. in un paese cronicamente affetto da infedeltà fiscale, la compliance assicurata del circuito intermediato è decisamente superiore a quella offerta dalla spesa out of pocket.
 
Sul piano dei principi e della scelta politica non bisognerebbe dimenticare che:
1. il taglio delle agevolazioni rappresenterebbe, sostanzialmente, un aumento della tassazione sui soggetti che attualmente ne beneficiano e che il taglio si tradurrebbe o in una diminuzione del reddito reale dei lavoratori e pensionati o in un aumento del costo del lavoro (nel caso in cui i lavoratori decidessero di difendere i livelli di salario reale che hanno fin qui contrattato e accettato);
 
2. a partire dalla considerazione che si tratta di risorse dei lavoratori (salario o altri benefici ai quali hanno rinunciato), i consumi sanitari sono da ritenersi comunque meritori (una prestazione sanitaria potrebbe non essere sufficientemente costo-efficace dal punto di vista delle scelte collettive e, pur sempre, rimanere utile per la salute del soggetto che ne beneficia) e come tali andrebbero trattati.
 
Detto questo sull’entità del conto e sull’idea che qualche pasto sia gratis, ovvero che possano essere reperite risorse senza analizzare chi ne pagherebbe i prezzi, rimane l’esigenza di aprire una seria riflessione oltre che sul futuro del SSN, anche sul funzionamento della sanità integrativa.
 
Per rimanere su quest’ultima, dopo almeno un quinquennio di crescita accelerata (quasi un raddoppio della popolazione coperta, che secondo le stime più recenti supera i 12 milioni di soggetti), sarebbe utile promuovere la riflessione intorno ad almeno tre temi.
 
Il primo è quello del ruolo della sanità integrativa in un contesto di servizio sanitario nazionale. In questo caso, oltre alla necessità di rivedere categorie logiche sempre più inadeguate rispetto ai fenomeni reali come quella di “spesa duplicativa”, rimane una difficoltà specifica rispetto ai sistemi pubblici di tipo mutualistico, i quali hanno minori difficoltà a integrare logicamente e operativamente una componente privata.
 
Il secondo è quello della effettività delle promesse che la sanità integrativa offre ai soggetti che ad essa affidano parte delle proprie risorse. La crescita del settore è anche frutto di coperture offerte che talvolta fanno fatica a trovare una coerenza economica con i premi richiesti.
 
Il terzo è quello dell’efficienza del settore. La sanità integrativa è, infatti, un circuito di consumo particolarmente complesso, popolato da una pluralità di soggetti diversi (i fondi, le assicurazioni, i TPA, gli erogatori) e, come tale, a rischio di dispersione delle risorse nel lungo percorso che porta dalle risorse messe a disposizione al reale consumo delle prestazioni.
Di fronte all’entità e alla complessità dei problemi di tutto abbiamo bisogno meno che di un dibatto ideologico basato su dati sbagliati.
 
Mario Del Vecchio
Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità – SDA Bocconi

04 luglio 2019
© Riproduzione riservata


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