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Le mutue sono semplicemente il passato e per questa ragione è assurdo pensarle come futuro

di Ivan Cavicchi

Si sta sempre più delineando uno scontro storico, tra privato e pubblico, che è sostanzialmente quello tra interessi e diritti, quindi tra due concezioni diverse di società. L’esito di questo scontro deciderà le caratteristiche, perfino morali, del nostro futuro sistema sanitario

08 LUG - Coup de teatre: l’agenzia delle entrate dice che quasi non esistono agevolazioni fiscali per i fondi, (cioè poca roba) spiazzando le stime di Gimbe calcolate, per altro, sui numeri della stessa agenzia delle entrate. Stime quindi contro stime, ma anche relazioni contro relazioni, della stessa agenzia delle entrate, semplicemente con uno scarto di tempo di pochi mesi (6 febbraio 2019/15 maggio 2019).
 
Quindi discrepanze sui dati, ma non di millesimi ma di miliardi di euro, (dai € 11.052.024.920 del 6 febbraio a € 2.053.220.946 il 15 maggio riferiti all’ammontare dei contributi versati nel 2017 sui quali stimare l’ammontare delle agevolazioni).
 
Evitando, per ragioni di decenza intellettuale, di pensare al complotto, cioè alle assicurazioni che si sono comprate anche l’agenzia delle entrate, ma anche, nello stesso tempo, chiarendo che nessuno di noi ha l’anello al naso, si pone un problema di trasparenza, la stessa trasparenza per la quale il M5S ci ha regalato, sunshine act”. Un’importante legge.
 
In attesa che “la luce del sole” fughi le ombre dei numeri vorrei dire tre cose:
- certamente a me interesserebbe sapere il dato complessivo sulle detrazioni fiscali cioè sapere quanto ci costa, come erario, aiutare tutte le forme di sanità integrativa compreso il welfare aziendale
 
- che le detrazioni fiscali siano tante o siano poche, comunque non cambia di una virgola il problema politico, e non vorrei che per litigare sui numeri si perdesse di vista l’enorme questione politica di fondo
 
- ammesso che le detrazioni siano poche o financo inesistenti gli oneri che in futuro saranno, a causa dei fondi, scaricati sullo Stato saranno di gran lunga superiori a qualsiasi incentivo fiscale, essendo essi correlati a sistemi, che, per loro natura fondamentalmente speculativa, sono destinati a incrementare ingiustificati consumi sanitari.
 
Lo scontro storico
Si sta sempre più delineando uno scontro storico, tra privato e pubblico, che è sostanzialmente quello tra interessi e diritti, quindi tra due concezioni diverse di società, favorito sostanzialmente da tre cose:
- dal quadro politico che abbiamo e che nonostante i proclami fideistici sulla sanità pubblica del M5S sta aprendo varchi normativi importanti alla sua controriforma (art 11 patto per la salute)
 
- da un manifesto cedimento, se non tradimento, dei soggetti storici della solidarietà, come il sindacato, ormai impegnato a vincolare la tutela della salute al lavoro e non ai diritti, quindi a preferire le logiche contrattuali e corporative rispetto a quelle sociali
 
- da una pressione di mercato gigantesca da parte dell’intermediazione finanziaria che praticamente sta comprando il consenso che gli serve per ribaltare il sistema attuale e affermare con i crismi della legalità il proprio progetto di sanità a più gambe.
 
L’esito di questo scontro deciderà le caratteristiche, perfino morali, del nostro futuro sistema sanitario. Siamo in una situazione dove tutto può accadere, rispetto alla quale a mio avviso la difesa e il rilancio della sanità pubblica per i suoi valori, meriterebbe, se fosse necessario, anche una crisi di governo.
 
La domanda che pongo non è se il M5S che a parole si dichiara difensore della sanità pubblica, è disposto per la sanità pubblica a prendersi la responsabilità di una crisi di governo, ma è se ha veramente capito la posta in gioco, per prendersi la responsabilità eventualmente di una crisi di governo.
 
Convenienze e non convenienze
Nerina Dirindin, in un interessante articolo “Fondi sanitari e nuovi Lea: un intreccio potenzialmente pericoloso” ci dice che:
- sostituire il Servizio sanitario nazionale con i fondi è vero che permette a chi lavora di avere una maggiore copertura sanitaria, anzi dico io una doppia copertura, ma con meno remunerazione in busta paga, meno pensione e meno Tfr, per non parlare del fatto che questi lavoratori per avere la doppia copertura pagano due volte quando potrebbero pagare una sola volta e avere di più, ma secondo diritto,
 
- i fondi in realtà producono effetti redistributivi e allocativi che non migliorano il benessere della collettività, in particolare non migliorano la condizione dei meno abbienti destinati a fruire di prestazioni sanitarie non uniformi rispetto al resto della popolazione, aggiungo io non migliorano le condizioni del sud che non è in condizione di produrre reddito per comprarsi dei fondi,
 
- i fondi concorrono a indebolire il Ssn, offrendo soluzioni solo apparentemente poco costose e contribuiscono a legittimare le equivoche decisioni di chi depotenzia la sanità pubblica,
 
- i fondi sino ad ora hanno beneficiato di un impianto normativo disorganico e compiacente, e aggiungo io, l’assistenza così detta integrativa è il pretesto per affermare una assistenza sostitutiva del pubblico, in una situazione nella quale lo Stato deliberatamente finanzia il privato con gli incentivi fiscali e de-finanzia la sanità pubblica con ogni sorta di limitazione finanziaria.
 
Economia contro civiltà
Sostanzialmente Nerina Dirindin ci dice che fare il ribaltone, cioè cambiare la natura del sistema pubblico, sarebbe un pessimo affare per il paese, anche se, come è ovvio, non sarebbe tale per gli speculatori.
 
In effetti a ben vedere anche se è vero che pecunia non olet , la speculazione finanziaria legata alla salute della gente ,è una produzione di ricchezza, che puzza, perché fare ricchezza contro i diritti, sulle diseguaglianze, sui privilegi, sulla vita delle persone, non è ricchezza ma è sfruttamento sociale. E lo sfruttamento puzza di sfruttamento.
 
Fondare una ricchezza sullo sfruttamento dei bisogni e della povertà significa fondare una ricchezza sull’ingiustizia, sull’uso delle persone, sulla discriminazione cioè significa contrapporre l’economia alla civiltà.
 
Vorrei ricordare soprattutto al sindacato ,che non ha detto nulla sia sull’art 14 del decreto crescita (quello che considera i fondi attività non commerciali), che sull’art. 11 del patto per la salute, (si punta  a istituire una sanità complementare a scapito di quella pubblica), che,  sfruttamento, vuol dire ottenimento del massimo utile ricavabile,  acquisito con l'utilizzazione fraudolenta delle altrui iniziative o capacità o con l'approfittarsi senza scrupoli dello stato di bisogno o d'inferiorità di chi presta la propria opera.
 
Che il sindacato:
- non combatta questo particolare tipo di sfruttamento, ma addirittura lo assecondi contrattualmente, lo trovo per lo meno imbarazzante,
- non si renda conto che comprare con il salario delle persone tutele speciali a scapito dei diritti degli altri, è inaccettabile,
- non comprenda che questo è povertà non ricchezza, mi fa pensare.
 
“Non progredi regredi est”
Che il sindacato sia, insieme alla sinistra di governo, (quella del job act tanto per intenderci, e quella che ancora prima ha aperto le porte al welfare aziendale e per un altro verso agli incentivi fiscali) un esempio di regressione, è fuori di dubbio. Oggi tutte le più importanti gatte da pelare che, come sanità, abbiamo in questo momento (regionalismo differenziato, art 14 decreto crescita, art. 11 fondi sanitari e patto per la salute, Dm 70 il regolamento per gli ospedali, ecc.) sono tutte espressioni di una regressione senza dubbio con un forte  carattere contro riformatore.
 
Questa regressione non è dovuta ad un tradimento premeditato o a un cedimento improvviso dei valori, ma è dovuta:
- all’incapacità di chi si definisce “riformatore di” andare avanti con un pensiero di riforma, quindi con un pensiero evolutivo,
- dall’essere messo alle strette dai problemi della realtà, quindi in mancanza di una prospettiva,dal ripiegare su vecchie soluzioni, perché sono le uniche che si conoscono.
 
Il sindacato esattamente come il job act non fa niente altro che tornare allo spirito delle casse mutue aziendali dell’inizio del 900.Ma anche:
- l’art. 14 e l’art. 11 non fanno null’altro che tornare indietro allo spirito delle vecchie mutue,
- il regionalismo differenziato è un tornare indietro rispetto all’istituzione del servizio nazionale,
- il decreto Calabria ha i tratti della regressività nel senso che ritorna ai tempi d’oro della vecchia idea del centralismo statale.
 
Non progredi regredi est” cioè non progredire vale come regredire (not to progress is to regress).
 
Siamo vulnerabili per colpa nostra
Ormai bisogna dirlo da molti anni:
- si è interrotto un processo riformatore degno di questo nome, e da questa interruzione nascono solo mostri, cioè solo controriforme,
- pensiamo che le riforme siano delle frecce che una volta scoccate vanno indefettibilmente a segno.
 
Quando così non è. Tutti i processi riformatori per loro natura sono defettibili e per questo vanno corretti, aggiustati, cambiati in corso d’opera, se è il caso. Se questo non avviene il rischio di tornare indietro è forte.
 
E’ vero lo ribadisco oggi il privato per tante ragioni si sta prendendo la sua rivincita storica su 40 anni di marginalità e di predominio pubblico. Ma questo oggi succede non perché il privato è più forte ma solo perché il sistema pubblico, per un sacco di ragioni, è più debole, cioè anziché progredire, perfezionandosi, ricontestualizzandosi, ridefinendosi è rimasto fermo a contabilizzare le sue magagne ma soprattutto a gestire  le sue invarianze e per giunta attaccato da tutte le parti. Il sistema è ingrippato e indebolito ormai vistosamente regrediente.
 
Oggi il privato specula sulle debolezze del sistema pubblico sui suoi problemi di sostenibilità, sui suoi problemi di efficienza, sui suoi problemi di credibilità, sulla crescita costante della spesa privata, ponendosi rispetto ad esso come un’alternativa:
- il sindacato anziché battersi per esigere un altro genere di pubblico gli va dietro e rompe con la solidarietà,
- il ministro della salute 5 stelle quindi il “governo del cambiamento” anziché garantirci una sanità pubblica adeguata e ripensata, apre le porte alla sanità complementare,
- le regioni anziché pretendere un diverso governo centrale ma soprattutto un diverso modo di governare la sanità, sono in secessione e il governo gli va dietro incurante di spaccare ogni cosa.
 
Quindi  ”non progredi regredi est”. La stessa cosa vale per la questione medica, per l’ospedale, e per tutti i topos che abbiamo inseguito in questi anni: la prevenzione, l’integrazione territorio ospedale, l’umanizzazione, l’appropriatezza, la presa in carico, le cure primarie, la legge 180, la legge 194 e tante altre cose ecc, ecc.
 
La truffa storica
Ma regredire alle mutue con le implicazioni dette da Nerina Dirindin non è un semplice problema di diseconomia ma è, per il nostro paese e per la nostra gente, dal punto di vista storico-politico una vera truffa, nel senso che è una operazione solo a perdere e con esiti di medio lungo periodo inimmaginabili. Per quanto gli speculatori ci dicono di stare tranquilli che niente si romperà, (la stessa cosa ci dicono chi vuole il regionalismo differenziato) come dimostra proprio il percorso fatto dai loro interessi, sino ad ora, abbiamo a che fare con processi di self reinforcing di difficile previsione. Io so solo che l’appetito vien mangiando e nulla impedisce che al momento giusto chi ha avuto chieda al quadro politico compiacente ancora di più.
 
Una truffa si può definire tale solo quando:
- quello che si fa è ai danni del bene comune,
- quello che si ottiene è per mezzo di falsificazioni, inganni e raggiri, con lo scopo di trarne profitto.
 
Perché con i fondi integrativi e tutto il resto siamo alla truffa storica?
 
Perché si dimentica che il sistema mutualistico è crollato sotto il peso dei debiti, cioè è morto perché la sua natura finanziaria è insostenibile cioè ha una natura tanto incrementale che per assicurare una certa offerta richiederebbe continui rifinanziamenti o continue aggiornamenti dei contributi o continui adeguamenti dei premi assicurativi. Il che è impossibile. Tutti i sistemi mutualistici in Europa, vedi in particolare la Germania, sono assistiti dallo Stato che, ogni tanto, deve ripianare i loro disavanzi, perché le mutue in quanto tali, cioè come mutue, tendono al disavanzo.
 
Per non andare in disavanzo devono fare quello che fanno tutti:
- ridurre le prestazioni, bloccare gli accessi, selezionare le richieste e introdurre il copayment cioè funzionare come un sistema basato sull’assistenza indiretta   rimborsata solo in parte,
- mungere lo Stato.
 
Il nostro vecchio sistema mutualistico è morto per problemi di sostenibilità problemi che ci ha lasciato in eredità, per cui pensare di risolvere i problemi di sostenibilità del sistema pubblico tornando alle mutue è solo follia e irresponsabilità. La strada per fare sostenibilità è solo quella pubblica ma a condizione che il pubblico diventi ancora più pubblico costando di meno funzionando meglio e soprattutto garantendo adeguatezza. Questo significa fare sostenibilità.
 
Tutto fuorché tornare alle mutue
Oggi, se proprio volessimo occuparci di sostenibilità, dovremmo davvero progredire per non regredire, cioè dovremmo mettere in atto ben altre strategie, quelle che:
- io riassumo nell’espressione “quarta riforma”,
- altri come allineare sanità e salute chiama “retribuire la salute”,
- altri ancora richiamando il ruolo strategico della prevenzione,
- altri  che come slow medicine chiama less is more, ecc.
 
Tutto fuorché tornare alle mutue. Oggi la sostenibilità è una questione che si risolve solo spingendo in avanti il carro del pensiero riformatore non privatizzando il carro perché si è impantanato.
 
Voglio anche ricordare che abbiamo superato, mezzo secolo fa le mutue, non solo per ragioni economiche finanziarie ma anche per ragioni sociali, culturali, morali, politiche, cioè per rispondere meglio al cambiamento sociale enorme che era in atto, oggi con la società che abbiamo, con l’esigente, con le nuove domande sociali, con le sfide della complessità, ritornare alle mutue è un’altra truffa. Cioè le mutue erano e sono fuori tempo.
 
Le mutue:
- nelle loro varie forme, sono sistemi prestazionali standardizzati che se ne fregano delle complessità sociali, individuali, contestuali,
- praticano una medicina che è lontana mille miglia dalle 100 tesi che la Fnomceo sta discutendo nella propria comunità,
- non vogliono un nuovo medico ma un medico che sia una trivial machine cioè che obbedisca alla procedura, allo standard e non rompa le scatole con i suoi problemi di autonomia e di identità.
 
Le mutue sono semplicemente il passato e per questa ragione è assurdo pensarle come futuro.
 
Conclusioni
Io, come Nerina Dirindin, credo sia necessario:
- un riordino complessivo della normativa sui fondi sanitari,
- chiarire una volta per tutte che integrativo non può essere sostitutivo,
- che si debba risolvere il problema degli incentivi fiscali,
- evitare di scaricare i costi delle mutue sulla collettività.
 
Nello stesso tempo credo che sia arrivato il momento di tirare fuori una proposta di sistema, cioè un’idea più avanzata, più moderna, più attuale di servizio sanitario pubblico. Quella purtroppo che il ministro Grillo non sa  neanche concepire.
 
Cioè credo che dovremmo progredire con il processo di riforma iniziato 40 anni fa per non essere costretti a tornare in dietro a 40 anni fa.
 
Ivan Cavicchi

08 luglio 2019
© Riproduzione riservata


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