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Regione che vai, ticket che trovi. Ecco la mappa della più evidente disuguaglianza in sanità

di Tonino Aceti

Farmaceutica, specialistica e superticket a macchia di leopardo tra le Regioni. E i cittadini pagano cifre diverse in base alla loro residenza, spesso rinunciando alle cure o preferendo il privato che a volte costa meno. La proposta del ministro della Salute di abrogare il superticket va nella giusta direzione e anche l'idea della rimodulazione degli altri risponde a quanto scritto nel Patto per la salute 2014-2016, ma finora mai applicato. Ecco la situazione Regione per Regione

23 OTT - La proposta del Ministro della Salute Roberto Speranza di abrogare a livello nazionale il Superticket va nella giusta direzione, per almeno tre buoni motivi.

Il primo. Secondo l’Istat sono 4 milioni le persone che rinunciano alle cure per motivi economici (circa 2 milioni quelle che vi rinunciano a causa delle liste di attesa). Ciò nonostante analizzando il “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” della Corte dei Conti il contributo complessivo in termini di ticket richiesto ai cittadini cresce complessivamente nel 2018 in media del 2,6 per cento, con un aumento pari a 74 mln di euro. L’abrogazione del Superticket, e più in generale una riduzione della pressione dei ticket sui redditi delle famiglie, rappresentano quindi misure che possono concretamente facilitare l’accesso alle cure da parte dei cittadini salvaguardandone al tempo stessi i relativi redditi.

Il secondo. Regione che vai ticket che trovi. Troppe differenze che alimentano e rafforzano le disuguaglianze in sanità. Infatti, le scelte regionali sull’applicazione della quota fissa sulle prestazioni della specialistica (il cosiddetto superticket) sono davvero molto diversificate.
 
Ecco alcuni esempi. L’Emilia Romagna lo ha eliminato a partire dal 1 gennaio 2019 per le fasce di reddito sino a 100 mila euro; nelle Marche non lo si paga per i redditi Isee sotto i 10 mila euro; in Veneto dal 1 gennaio 2020 non lo pagheranno più tutte le persone economicamente vulnerabili, con un reddito inferiore a 29 mila euro annui; in Liguria invece è prevista l’applicazione secca dei 10 euro; nessuna quota fissa da pagare in Sardegna, Basilicata, P.A. Bolzano….

Ancora più accentuate le differenze in materia di ticket farmaceutici. Guardando ai non esenti, ecco alcuni esempi: zero ticket in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna; 1 euro a ricetta per la P.A. Trento; 2 euro a confezione (max 4 euro a ricetta) in Liguria; 4 euro a confezione (max 8 euro a ricetta) in Toscana; 2 euro a confezione (max 4 euro a ricetta) + 1 euro a ricetta in Calabria. Altrettante differenze anche per la compartecipazione a carico degli assistiti esenti in funzione dei codici esenzione e fascia di reddito.

Anche la spesa pro capite 2018 rispetto al totale delle compartecipazioni (farmaci, specialistica, PS, altre prestazioni) è caratterizzata da profonde differenze: 33,7 euro la Sardegna, 41,1 euro la Calabria, 53,8 euro l’Abruzzo, 61 euro l’Umbria, 90 euro la Valle D’Aosta.

In questo contesto la proposta del Ministro della Salute di abrogare a livello nazionale la quota fissa di 10 euro sulla ricetta (il cosiddetto superticket) potrebbe sicuramente ridurre una parte di queste disuguaglianze, con particolare riguardo alla specialistica. Sarebbe inoltre opportuno mettere subito mano anche all’ambito dei ticket farmaceutici per una maggiore armonizzazione dei relativi sistemi regionali, oggi caratterizzati da troppe differenze.

Il terzo. Alcune prestazioni ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), soprattutto quelle rientranti nella cosiddetta “specialistica”, proprio a causa dell’effetto Superticket sono persino più costose della stessa prestazione effettuata nel canale privato. Un fenomeno che contribuisce ad aumentare quella spesa “out of pocket” delle famiglie che nel 2017 si attesta complessivamente a circa 39 miliardi di euro.
 
E’ proprio su questa tipologia di spesa che interviene ancora una volta la Corte dei Conti attraverso il “Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali esercizio 2017” e precisando: “l’incremento della spesa diretta delle famiglie può essere spiegato come una conseguenza dei relativi ticket nel settore pubblico, che hanno reso le tariffe dei servizi privati più “competitive” e meno onerose rispetto a quelle del SSN”.Eliminare il Superticket vuol dire cancellare questa contraddizione inaccettabile nel Servizio Sanitario Pubblico.

Ciò che serve è una riforma complessiva del sistema dei ticket sanitari che garantisca il giusto greep del Servizio Sanitario nazionale nei confronti dei cittadini attraverso livelli di ticket accettabili e sempre più convenienti rispetto al canale privato, che riduca le eccessive differenze che oggi caratterizzano le normative regionali e che riaffermi l’equità nel sistema.

Proprio quest’ultimo punto è stato oggetto in queste settimane di specifiche proposte del Ministro della salute e di dichiarazioni di molteplici rappresentanti della politica. Ma vale la pena ricordare che su questo punto già dava chiare indicazioni il Patto per la Salute 2014-2016 che all’art. 8 prevedeva: “è necessaria una revisione del sistema della partecipazione alla spesa sanitaria e delle esenzioni che eviti che la partecipazione rappresenti una barriera per l'accesso ai servizi ed alle prestazioni così da caratterizzarsi per equità ed universalismo. Il sistema, in fase di prima applicazione, dovrà considerare la condizione reddituale e la composizione del nucleo familiare e dovrà connotarsi per chiarezza e semplicità applicativa. Successivamente, compatibilmente con le informazioni disponibili, potrà essere presa in considerazione la condizione "economica" del nucleo familiare”.

Da allora sono trascorsi oltre cinque anni ed è ancora tutto immutato.
 
Tonino Aceti
Portavoce Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche 

 

 

 


23 ottobre 2019
© Riproduzione riservata


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