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Con il nuovo Patto per la salute, passo avanti sul finanziamento ma sulle diseguaglianze non convince

di Ivan Cavicchi

Lo sforzo del Patto, quello tangibile, lo vedo soprattutto sul terreno della determinazione del fabbisogno e su quello delle risorse professionali, ma sul terreno della lotta alle diseguaglianze per me non è convincente. Le sue logiche sono vecchie e superate

20 DIC - Il “Patto per la salute”, appena sottoscritto dal governo e dalle regioni, è stato accolto, da giudizi molto positivi. Alcuni sottolineano il suo ruolo di difesa del Ssn, altri lo considerano un punto di partenza per un nuovo percorso, altri un ragionevole equilibrio raggiunto.
 
Non vedo grandi discontinuità
A me fanno impressione due cose:
• che alcuni dicano, trionfanti, che il Patto difende l’universalismo della sanità mentre è in campo, come tutti sanno, il regionalismo differenziato, cioè fa impressione la doppia morale politica di chi fa una intesa con il governo sostanzialmente per avere i finanziamenti di cui necessita e nello stesso tempo gli lavora contro per cambiare le regole del gioco,
 
• che nessuno si renda conto, in particolare le regioni del sud, che questo Patto a proposito di universalismo negato, quindi di diseguaglianze e di discriminazioni, non offre in realtà nessuna strategia convincente, ma solo assistenzialismo  alle regioni sfortunate , nella convinzione ridicola che il divario nord sud si risolva per via ammnistrativa e per di più senza toccare gli interessi in gioco.
 
Mi è quindi difficile essere d’accordo con chi parla di questo Patto come di una “discontinuità”.  In realtà quello che cambia non è la struttura strategica del Patto, che resta quella di sempre quindi quella al tempo della Lorenzin, della Grillo, ed ora di Speranza, ma il contesto politico economico in cui esso si inserisce. Prima delle ultime elezioni del 4 marzo 2019 la sanità era de finanziata oggi è rifinanziata. Questo è il vero cambiamento ma null’altro.
 
Universalismo come uniformismo
A mio parere la parte più interessante del Patto è quella che riguarda la partita “universalità contro diseguaglianze”. Essa è interamente espressa nella scheda 2 (Lea) ma anche nella scheda 4 (mobilità sanitaria) che nel loro insieme contengono i postulati di tutta l’operazione politica che il Patto intende mettere in campo.
 
In cosa consistono tali postulati?
 
Il primo quello principale viene da lontano e cioè dalla riforma del 78 e riguarda il principio di uniformità convinto semplicemente di due cose che:
• l’universalismo sia l’erogazione uniforme di prestazioni su tutto il territorio nazionale,
• l’idea di eguaglianza sia semplicemente dare a tutti indistintamente quindi a ciascuno le stesse prestazioni a parità di bisogno.
 
Da questo postulato deriva per intera tutta la scheda 2 del Patto, che, sui Lea in funzione universalistica, si gioca interamente la partita dell’eguaglianza e cioè:
• l’universalismo è essenzialmente un problema di “prestazioni”
• le differenze di erogazione delle “prestazioni” costruiscono le diseguaglianze,
• il recupero delle differenze legate alle prestazioni  garantisce uguaglianza.
 
Ne deriva che per il Patto, tutto il problema delle diseguaglianze è in realtà:
• un problema prima di “erogazione” dei Lea, quindi lo Stato deve garantire le “prestazioni” di legge  dopo gli “adempimenti” tesi a garantire una erogazione uniforme cioè le regioni devono darsi da fare assistite amorevolmente dal ministero per rimuovere ciò che all’erogazione  si oppone,
 
• tanto l’erogazione che gli adempimenti sono un problema di coordinamento amministrativo centrale(comitati, monitoraggi, affiancamenti, strumenti di potenziamento dei Lea, da relazioni sulla criticità,  ecc.) assistiti da un sistema di dati del tipo  NSG (Nuovo Sistema di Garanzia), ecc.
 
In sostanza, per il Patto, le croniche diseguaglianze nel paese si battono assicurando a tutte le regioni gli stessi Lea e assistendo le regioni a mettere in campo i dovuti adempimenti. E’ un ragionamento molto semplificato ma non sbagliato, se tutte le regioni garantissero gli stessi Lea, avremmo un grado importante di universalismo.
 
Il punto è che questo ragionamento lo stiamo facendo da almeno 20 anni e non ha funzionato. Anzi secondo me proprio la riduzione dell’universalismo solo, ripeto solo, a erogazione dei Lea, cioè la sua estrema semplificazione ha creato le diseguaglianze.
 
Due gli equivoci da chiarire: quello che riguarda la definizione di “universalismo” e quello che riguarda la definizione di “prestazione”
 
L’universalismo discreto
Ho già detto a più riprese (la quarta riforma) che l’idea di universalismo uniformista andrebbe riformata a favore di una idea di “universalismo discreto” perché fa acqua da tutte le parti.
 
La scheda 2  del Patto per la salute, si basa interamente su questa vecchia concezione che  per me ha scarse  possibilità di  vincere la battaglia contro le diseguaglianze. E’ tempo perso.
 
Le obiezioni politiche che avanzo contro la scheda 2 sono molto terra terra:
• l’universalismo non è riducibile a prestazioni, la stessa riforma sanitaria  a proposito di uniformità delle condizioni di salute (art. 4)  parla non solo di prestazioni ma anche di “condizioni” e di “garanzie” io aggiungerei in più di organizzazioni, di contesti sociali, di assetti locali, di capacità locali,
 
• l’universalismo banalizzato ad uniformismo  non è equo cioè non è in grado di rendere conto delle differenze che esistono e meno che mai di governarle. Andare al sud con gli standard del nord è un errore, il sud è il sud cioè è una realtà singolare da interpretare in quanto tale,
 
• l’idea di uguaglianza misurata sugli input  cioè  in entrata sui Lea da erogare è una idea di uguaglianza formale e burocratica, quella misurata sugli out put cioè non sui Lea ma sui risultati di salute effettivamente conseguiti  attraverso sistemi organizzati è un’idea vera e reale,
 
• l’idea di universalismo quale sforzo da parte delle regioni di adeguarsi a degli standard attraverso i famosi “adempimenti” lascia il tempo che trova, e se gli standard fossero iniqui e inadeguati?
 
Per cui la scheda 2 che intende battere le diseguaglianze usando come unica leva i Lea in tutti i sensi, adempimenti compresi, non mi convince.
 
Prestazioni capacità e diritti
Oltre l’equivoco dell’universalismo resta da chiarire quello delle prestazioni.
 
In cosa consiste l’equivoco? Quello di aver arbitrariamente tradotto il concetto di prestazione dell’articolo 3/833 con quello di livello prima minimo poi essenziale, quindi definendola come uno standard di erogazione.
Vorrei ricordare che il concetto di “prestazione” non è equivalente a quello di Lea, esso letteralmente significa: il risultato conseguito attraverso le capacità di un sistema di tutele quale obbligazione di un contratto sociale tra Stato e cittadini
 
Le diseguaglianze in sanità in sintesi nascono dalla crisi di questa definizione quindi sempre da una perdita di capacità di alcune regioni causata da tante cose, a garantire un contratto sociale
 
Ora pensare di affrontare tutto questo in modo amministrativo come propone il Patto appena sottoscritto con i Lea è quanto meno risibile.
 
Se non si ricostruiscono le capacità perdute dubito che la sola erogazione dei Lea sia la soluzione.
 
A questo equivoco sulle prestazioni a proposito di diseguaglianze si deve aggiungere quello che riguarda la programmazione. E’ del tutto evidente che le diseguaglianze e le discriminazioni che abbiamo sono figlie di un venir meno del ruolo di governo nazionale che coincide tuttavia con una crisi della programmazione nazionale.
 
Oggi il regionalismo differenziato nasce come giustificazione politica dalle incapacità di governo del governo.
 
Vorrei far notare che:
• a partire dai tagli lineari, dalle politiche di de-finanziamento, si fanno strada i patti per la salute cioè intese finanziarie  in luogo dei meccanismi automatici di rifinanziamento previsti dalla legge,
• di fatto con i patti per la salute la programmazione perde di ruolo e di importanza fino a smettere di essere uno strumento di governo della sanità.
Spero che converrete con me se affermo che la crisi della programmazione e la contestuale nascita dei patti per la salute di certo non ha favorito l’universalismo. A ben vedere i patti, compreso questo appena sottoscritto, sono una sorta di piani di breve periodo in forma sincopata e sintetica strettamente abbinati alla determinazione del fabbisogno finanziario. Ma nulla di più.
 
Ora pensare che con lo strumento del Patto che a sua volta è una concausa di diseguaglianze si possano risolvere le diseguaglianze nel paese, mi fa sorridere mestamente. Una cosa del genere, vuol dire, mi scusi ministro Speranza la franchezza, che come pensiero politico siamo proprio alla frutta.
 
Scheda 4: mobilità sanitaria
 Le mie personali obiezioni al Patto rispetto alla partita “universalismo/diseguaglianze” appena siglato quindi sono sostanzialmente due:
• l’universalismo non è solo un problema di erogazione,
• i Lea  sono standard convenzionali  ma non sono prestazioni reali e non risolvono il problema delle capacità.
 
A queste obiezioni ne devo aggiungere una terza molto più politica e che ricavo dalla scheda 4 sulla mobilità sanitaria con la quale si pensa di risolvere questa tragedia con uno spirito assistenziale e con escamotage amministrativi cioè gruppi di lavoro, programmi vari, sistemi vari di controllo.
 
Trasformo la mia obiezione in una domanda che rivolgo direttamente al ministro Speranza: ma come si fa a parlare di universalismo e di diseguaglianze senza affrontare oltre il terreno della erogazione dei Lea quello che riferito ai criteri di riparto, mi permetto di definire delle opportunità?
 
Fino a quando non saranno riformati i criteri di riparto, a tutt’oggi basati su parametri di allocazioni iniqua in ragione dei quali, a monte, le regioni del sud vengono sotto-finanziate rispetto alle altre, di quale universalismo e di quale uguaglianza   parliamo?
 
Il Patto punta tutte le sue carte sulla logica dell’erogazione cioè su un’idea vecchia di universalismo ma trascura colpevolmente quella delle opportunità e delle capacità cioè quella che attraverso finanziamenti discreti ha la possibilità di organizzare capacità per misurarsi davvero con le diseguaglianze e le differenze.
 
Con la scheda 4 si pensa di risolvere il problema della mobilità sanitaria senza mai tentare di creare nelle regioni la necessaria autonomia finanziaria, attraverso una ridefinizione radicale del fabbisogno di salute ma soprattutto tentando di creare minime condizione per l’autosufficienza del sistema di tutela.
 
La mobilità sanitaria non sarà mai sconfitta se prima a monte alle regioni del sud non saranno garantite eque opportunità finanziarie senza le quale sarebbe difficile per chiunque organizzare delle capacità e garantire in un contratto sociale delle prestazioni cioè dei risultati di salute.
 
Conclusioni
Lo sforzo del Patto, quello tangibile, lo vedo soprattutto sul terreno della determinazione del fabbisogno e su quello delle risorse professionali, ma sul terreno della lotta alle diseguaglianze per me non è convincente. Le sue logiche sono vecchie e superate.
 
In questo Patto la mia impressione è che alle regioni del sud si offrono Lea, si chiedono “adempimenti”, si propongono affiancamenti, ma a discriminazioni finanziarie invarianti.
Il tentativo è quello di convincere il sud a stare dentro tali discriminazioni, quindi dentro le assegnazioni finanziarie decise dalle regioni più forti, promettendo loro di assisterle in qualche modo fino alla carità. Credo che a questo punto nel discorso politico sia difficile scorporare le regioni del sud dal problema del sud.
 
Con questo Patto le diseguaglianze saranno semplicemente rifinanziate. Questo è per me il vero paradosso.
 
Ivan Cavicchi

20 dicembre 2019
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