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Il crollo costante delle nascite. Rapporto Cedap 2017: 14 mila bimbi in meno in un anno. Ricorso al taglio cesareo in calo ma sempre sopra il 30%. Salgono le gravidanze con Pma


Pubblicato l’annuale report del Ministero della Salute. Anche nel 2017 prosegue il calo delle nascite in tutte le aree del Paese: sono nati 461.284 bambini (nel 2016 erano 474.925).” Il fenomeno è in larga misura l’effetto della modificazione della struttura per età della popolazione femminile ed in parte dipende dalla diminuzione della propensione ad avere figli”. IL RAPPORTO

22 SET - Anche nel 2017 prosegue il calo delle nascite in tutte le aree del Paese: sono nati 461.284 bambini (nel 2016 erano 474.925). In calo ovviamente anche il numero di parti (452 mila contro i 466 mila dell’anno precedente). È quanto emerge dal Rapporto annuale sull’evento nascita in Italia - CeDAP 2017, che illustra le analisi dei dati rilevati per l’anno 2017 dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP)
 
“Nel corso del 2017 – commenta il Ministero della Salute - prosegue il calo delle nascite, in tutte le aree del Paese. Il fenomeno è in larga misura l’effetto della modificazione della struttura per età della popolazione femminile ed in parte dipende dalla diminuzione della propensione ad avere figli. Le cittadine straniere hanno finora compensato questo squilibrio strutturale; negli ultimi anni si nota, tuttavia, una diminuzione della fecondità delle donne straniere. Il tasso di natalità varia da 6,1 nati per mille in Liguria e Sardegna a 10,2 nella Provincia Autonoma di Bolzano rispetto ad una media nazionale del 7,6 per mille. Le Regioni del Centro presentano tutte, tranne il Lazio, un tasso di natalità con valori inferiori alla media nazionale. Nelle Regioni del Sud, i tassi di natalità più elevati sono quelli di Campania, Calabria e Sicilia che presentano valori superiori alla media nazionale”.
 
Anche la fecondità mantiene l’andamento decrescente degli anni precedenti: nel 2017 il numero medio di figli per donna scende a 1,34 (rispetto a 1,46 del 2010). I dati per il 2017 danno livelli più elevati di fecondità al Nord nelle Province Autonome di Trento e Bolzano, in Friuli Venezia Giulia e nel Mezzogiorno in Campania e Sicilia. Le regioni in assoluto meno prolifiche sono invece Sardegna, Basilicata e Molise.
 
Il tasso di mortalità infantile, che misura la mortalità nel primo anno di vita, è pari nel 2017 a 2,81 bambini ogni mille nati vivi. Negli ultimi 10 anni tale tasso ha continuato a diminuire su tutto il territorio italiano, anche se negli anni più recenti si assiste ad un rallentamento di questo trend.
 
Permangono, inoltre, notevoli differenze territoriali. Il tasso di mortalità neonatale rappresenta la mortalità entro il primo mese di vita e contribuisce per oltre il 70% alla mortalità infantile. I decessi nel primo mese di vita sono dovuti principalmente a cause cosiddette endogene, legate alle condizioni della gravidanza e del parto o a malformazioni congenite del bambino. La mortalità nel periodo post neonatale è invece generalmente dovuta a fattori di tipo esogeno legati alla qualità dell’ambiente igienico, sociale ed economico in cui vivono la madre e il bambino.
 
La sintesi
 
L’ 89,5% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,4% nelle case di cura e solo lo 0,1% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc). Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 63,1% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 165 rappresentano il 36% dei punti nascita totali. Il 5,8% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.
 
Nel 2017, il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso nelle aree del Paese con maggiore presenza straniera, ovvero al Centro-Nord, dove più del 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 31% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentate, sono quella dell’Africa (27,7%) e dell’Unione Europea (24,4%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana costituiscono rispettivamente il 18,1 % ed il 7,5% delle madri straniere.
 
L’età media della madre è di 32,9 anni per le italiane mentre scende a 30,4 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 33 anni per le italiane e 30 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane, quasi in tutte le Regioni, superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 28,5 anni.
 
Delle donne che hanno partorito nell’anno 2017 il 43,7% ha una scolarità medio alta, il 27,8 % medio bassa ed il 28,4% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (45,6%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 54,7% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29% sono casalinghe ed il 14,3% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2017 è per il 51,5% quella di casalinga a fronte del 619% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa.
 
Nell’86,5% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 74,5% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,5% mentre tale percentuale sale al 11,8% per le donne straniere. Le donne con scolarità medio-bassa effettuano la prima visita più tardivamente: la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita dopo l’11° settimana di gestazione è pari al 12,9% mentre per le donne con 6 scolarità alta, la percentuale è del 2,5%. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (3,2%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 14,9% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 6,2 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 19,36% dei casi.
 
La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 91,85% dei casi il padre del bambino, nel 6,7% un familiare e nell’1,4% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica.
 
Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, nel 2017 il 32,8% dei parti è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate, in cui si registra tale procedura in circa il 49,6% dei parti contro il 30,9% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere: si ricorre al taglio cesareo nel 27,6% dei parti di madri straniere e nel 34,3% dei parti di madri italiane.
 
L’1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,4% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,3% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10.
 
Sono stati rilevati 1.317 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,86 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 5.226 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. L’indicazione della diagnosi è presente rispettivamente solo nel 36,3% dei casi di natimortalità e nel 89% di nati con malformazioni.
 
Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 2,12 gravidanze ogni 100 (9.641). La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).

22 settembre 2020
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