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Perché impedire l’intramoenia ai medici che svolgono le consulenze tecniche in tribunale?

di M.Russo, A.Aprile, D.Rodriguez

Il divieto è contemplato nell'ultimo contratto dell'Area Sanità. I giudici, a fronte del prospettabile maggior numero di rinunce ad assumere incarichi di CTU da parte dei dirigenti medici dipendenti del Ssn, disorientati “sul da farsi”, potrebbero così scegliere di attingere prevalentemente alla categoria dei liberi professionisti creando discriminazione tra le categorie e anche il restringimento del ventaglio di competenze tecniche fruibili ai fini di giustizia

02 FEB - Il 19 Dicembre 2019 l’ARAN e le maggiori organizzazioni e confederazioni sindacali del settore sanitario pubblico hanno sottoscritto il CCNL dell’Area Sanità relativo al triennio 2016-2018, successivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 22 del 28 gennaio 2020.
 
Gli aspetti del testo maggiormente commentati all’indomani della sua approvazione sono stati quelli relativi ai benefici economici come l’incremento del salario mensile e dell’indennità di guardia notturna e/o festiva e l’introduzione della clausola di garanzia che assicura una retribuzione di posizione certa in base all’effettiva anzianità di servizio.
 
Si è dato inoltre risalto alle nuove tutele previste per i dirigenti neoassunti, ai quali, non appena superato il periodo di prova, è riconosciuta la retribuzione di posizione, nonché per il personale con più di 62 anni, adesso esonerabile dai servizi di pronta disponibilità e guardia, e per le donne lavoratrici in gravidanza, per le quali non è più prevista la decurtazione della retribuzione di risultato.
Si tratta indubbiamente di adeguamenti economici e normativi da interpretarsi come il prodotto dei numerosi interventi legislativi effettuati nel lungo periodo – quasi decennale – di vacanza contrattuale e da accogliersi nel complesso favorevolmente.
 
Non si può, tuttavia, tralasciare una riflessione critica su quanto disposto dal Titolo VIII di tale CCNL che regolamenta la libera professione intramuraria.
Il riferimento è all’articolo 119, che, al punto h), inserisce nelle “Attività non rientranti nella libera professione intramuraria”, oltre a quelle già previste dall’art. 60 del CCNL Area sanità 1998-2001, anche l’“attività professionale resa in qualità di ctu presso i tribunali”.
 
L’acronimo “ctu”(il carattere minuscolo figura nell’art. 119), che sta per consulente tecnico di ufficio, non è di semplice interpretazione. L’espressione come tale non compare in alcun passo dei codici di procedura penale e civile e nelle relative norme di attuazione. In queste norme sono adottati due termini diversi per esprimere la medesima funzione: perizia e consulenza tecnica.
 
La consulenza tecnica non è mai denominata “d’ufficio”. Per consolidata prassi è denominato CTU l’esperto nominato dal giudice in ambito civile. Taluno adotta l’acronimo CTU anche per il consulente tecnico del pubblico ministero; la qual cosa è quanto meno ambigua, posto che il pubblico ministero è una parte del processo, alla stregua dell’avvocato che difende il proprio cliente.
 
In definitiva, non è chiaro se l’art. 119 si riferisca, con il termine “ctu”, solo a chi è incaricato di consulenza tecnica in ambito civile o anche a chi svolge la consulenza tecnica per il pubblico ministero e, inoltre, se comprenda anche la perizia (il cui incarico è conferito dal giudice in ambito penale).
 
La prima ipotesi appare più confacente sia al dettato normativo sia all’interpretazione che più comunemente viene attribuita alla locuzione “d’Ufficio”; non si comprenderebbe, tuttavia, con quale criterio incarichi analoghi (accertamenti e valutazioni tecnico-scientifiche da parte di esperti) siano stati distinti ai fini della loro inclusione o meno nelle attività espletabili in libera professione intramuraria solo perché conferiti da magistrati svolgenti funzioni diverse.
 
In ogni caso, al di là della specifica valenza semantica assunta dal termine “ctu” nell’ultimo CCNL, il contenuto dell’articolo 119 mal si coniuga con altre consolidate disposizioni di legge.
 
Il riferimento è al dovere di collaborare con l’autorità giudiziaria, ribadito più volte dal nostro ordinamento giuridico.
 
L’articolo 63 del codice di procedura civile (cpc) dispone infatti che “il consulente scelto tra gli iscritti in un albo ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il giudice riconosca che ricorre un giusto motivo di astensione”. In ambito penale, l’obbligo di assumere l’incarico di consulente tecnico e di perito è sancito dagli articoli 359 e, rispettivamente, 221 del codice di procedura penale (cpp).
 
Il primo dispone che “il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti tecnici, che non possono rifiutare la loro opera”; il secondo prevede che “il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall'articolo 36”.
 
Si tratta quindi di un’attività che riveste notevole importanza e che costituisce un dovere per il professionista nominato dall’autorità giudiziaria; in tale contesto, è poco intelligibile che essa sia stata conglobata in un elenco –  quello di cui all’articolo 119 dell’ultimo CCNL – che identifica attività in genere non soggette  ad obbligatorietà:
- come quelle di docenza [lettera a), “partecipazione ai corsi di formazione, corsi di laurea, master e scuole di specializzazione e diploma, in qualità di docente”],
 
- di tipo scientifico [lettera b), “collaborazioni a riviste e periodici scientifici e professionali; lettera d), relazioni a convegni e pubblicazione dei relativi interventi;
 
- lettera e), “partecipazione ai comitati scientifici”],
 
- di commissione [lettera c), “partecipazioni a commissioni di concorso o altre commissioni presso Enti e Ministeri” (ad es., commissione medica di verifica dello stato di invalidità civile e di handicap)],
 
- di partecipazione ad associazioni di categoria o sindacati [lettera f), “partecipazioni ad organismi istituzionali della propria categoria professionale o sindacale non in veste di dirigenti sindacali”],
 
- di tipo sociale o di volontariato [lettera g), “attività professionale sanitaria, resa a titolo gratuito o con rimborso delle spese sostenute, a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, organizzazioni e associazioni di volontariato o altre organizzazioni senza fine di lucro, previa comunicazione all’azienda della dichiarazione da parte dell’organizzazione interessata della totale gratuità delle prestazioni”].
 
Quanto appena rilevato non costituisce soltanto una dissonanza di classificazione.  Si ritiene, infatti, che l’inquadramento extra-istituzionale dell’attività di CTU postulato dall’art. 119:
1. Ostacola di fatto il rapporto tra la giustizia e il dirigente medico che opera in regime di intra-moenia ed è chiamato svolgere detta attività, sottraendo quest’ultimo al sistema di tutela previsto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli) ed esponendolo in particolare ai rischi connessi ad un’attività non coperta dalla gestione assicurativa aziendale;
 
2. Assoggetta l’attività del CTU al regime fiscale della prestazione occasionale, difficilmente gestibile in particolare in relazione alle previsioni connesse al tetto dell’importo concesso nel corso dell’anno solare (€ 5000) ed alla imprevedibilità dei tempi di liquidazione degli onorari da parte dell’amministrazione giudiziaria.
 
Ci si chiede, per di più, se queste criticità possano costituire una valida giustificazione per astenersi dal prestare il proprio ufficio, ai sensi degli articoli sopra menzionati.
 
Ciò potrebbe tradursi in una fonte di discriminazione, nel momento in cui i giudici, a fronte del prospettabile maggior numero di rinunce ad assumere incarichi di CTU da parte dei dirigenti medici dipendenti del servizio sanitario pubblico, disorientati “sul da farsi”, si trovino ad attingere prevalentemente alla categoria dei liberi professionisti; si determinerebbe, quindi, un restringimento del ventaglio di competenze tecniche fruibili ai fini di giustizia.
 
Si ricorda che, proprio la già citata legge Gelli, con l’articolo 15, ha disciplinato la “Nomina dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria”, prevedendo che in questa materia l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia sia affidato a “un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento” e che i soggetti da nominare siano “scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3”.
 
Con il disposto dell’articolo 15, il legislatore mira quindi ad una selezione estremamente accurata degli specialisti da incaricare per questa tipologia di contenzioso, indicando gli strumenti di azione: la collegialità della valutazione (un componente medico legale e componenti non medici legali), la specializzazione dei componenti non medici legali nella disciplina oggetto del procedimento e la fonte di scelta degli esperti, chiaramente identificata in specifici albi normati dai due codici di procedura.
 
Che l’obiettivo sia quello di garantire la massima competenza tecnica ai fini della valutazione, lo si deduce anche dal comma 2 dell’articolo 15, in accordo al quale negli albi dei consulenti tecnici e dei periti “devono essere indicate e documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina” e, in sede di revisione degli albi stessi, deve essere specificata, relativamente a ciascuno degli esperti, “l’esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati”.
 
In questa nuova cornice legislativa, l’esclusione dell’attività di CTU dalla libera professione intramuraria, come prevista dal nuovo CCNL, con tutte le conseguenze che essa comporta sul piano assicurativo e fiscale, presumibilmente priverebbe il sistema giudiziario delle competenze specialistiche della cospicua proporzione di dirigenti medici che, iscritti negli albi dei consulenti tecnici e dei periti, hanno scelto di operare in regime di intra-moenia.
 
Ci si chiede se tale eventualità possa stridere rispetto alla finalità, riportata nel comma 3 del medesimo articolo, di “garantire, oltre a quella medicolegale, un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata dal procedimento”.
 
Si rileva inoltre che l’attività di consulente tecnico di parte non è menzionata nell’elenco previsto dall’art. 119: le ragioni della discriminazione, relativamente alla libera professione intramuraria, tra l’attività resa d’ufficio e quella di parte, a vantaggio di quest’ultima, sono imperscrutabili.
 
Per tutti i motivi sopra esposti, è auspicabile che il contenuto della lettera h) dell’art. 119 sia abrogato o ampiamente rivisto per evitare discriminazioni nelle scelte degli esperti ai quali affidare il ruolo di consulenti tecnici nominati dall’autorità giudiziaria.
 
Dott.ssa Marianna Russo
Dirigente Medico AULSS 6 Euganea, specialista in Medicina legale
 
Prof.ssa Anna Aprile
Professore associato di Medicina legale, Università degli Studi di Padova
 
Prof. Daniele Rodriguez
Professore ordinario i.q. di Medicina legale, Università degli Studi di Padova

02 febbraio 2021
© Riproduzione riservata


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