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Covid-19. Il rischio di una pandemia giudiziaria dopo l’emergenza sanitaria

di Antonio Oliva

Sono i decisori politici che possono e debbono considerare la completezza e la complessità di questa situazione, e quindi preparare il Paese a questa probabile pandemia giudiziaria, per esempio riprendendo il modello degli indennizzi garantiti alle vittime delle trasfusioni infette creato efficacemente nel 1992

09 FEB - Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po' di retorica. Nel primo caso l'abitudine non è ancora perduta, e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio”, così scriveva Albert Camus ne La peste.
 
Il silenzio che la pandemia di Covid-19 ha riportato in Occidente è il fragoroso memento della fragilità e della precarietà della salute e della vita stessa, verità che decenni di turbinoso progresso tecnologico e socio-economico avevano promesso di relegare al passato. La differenza con le altre grandi e imprevedibili catastrofi, come i terremoti, è che l’indomita calamità naturale rappresentata dalla pandemia non dà scampo a nessuna area del pianeta e, in tempi di paura e fragilità, fa di ciò di cui si avrebbe maggiormente bisogno – ovvero il contatto umano – il pericolo più grande.
 
Nella prima fase della pandemia tanto i decisori politici quanto i manager degli ospedali si sono trovati a dover rendere le strutture ospedalieri resilienti, riorganizzando servizi e impostando misure di prevenzione nei confronti di un nemico all’epoca praticamente sconosciuto.
 
Con il persistere della pandemia, le conoscenze scientifiche si sono rapidamente affinate, così come gli strumenti di controllo: una ricerca italiana dal titolo: “A network model of Italy shows that intermittent regional strategies can alleviate the COVID-19 epidemic” pubblicata nel 2020 su Nature Communications (il senior author è il Professor Mario di Bernardo, dell’Università “Federico II” di Napoli, uno dei relatori del webinar dello scorso 29 gennaio dal titolo “Controversie nelle misure di lockdown: tutela del diritto alle cure ed implicazioni medico-legali” promosso dalla Sezione di Medicina legale del Dipartimento di Sicurezza e Bioetica della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica) ha evidenziato l’efficacia dell’adozione di misure preventive regionali dipendenti dalla fascia di rischio.
 
Ugualmente complessa è la questione della gestione del rischio a livello ospedaliero: la sfida più grande è stata ed è garantire una risposta ai bisogni di salute “tradizionali” dei cittadini riuscendo al contempo a prestare un’efficace assistenza ai malati di Covid-19.
 
Accanto a questa, di pone la questione relativa alla tutela della sicurezza dei pazienti e di tutti i lavoratori ospedalieri, messa a rischio soprattutto dal pericolo dei contagi intra-ospedalieri. Una delle categorie maggiormente minacciate è quella dei pazienti oncologici: secondo il Ministero della Salute, ogni anno vengono fatte oltre 370.000 nuove diagnosi di neoplasia in Italia, e questi pazienti hanno bisogno di complessi e regolari percorsi di monitoraggio e terapia. Diverse strutture non sono riuscite a garantire la continuità e la tempestività di questa tipologia di prestazioni che, nel paziente oncologico, possono fare la differenza tra la vita e la morte.
 
Al tempo stesso, questi pazienti spesso affrontano terapie debilitanti e immunodepressive, che li espongono ad un rischio di contagio ancora più alto rispetto al resto della popolazione. In termini medico-legali, da ciascuna di queste problematiche possono derivare migliaia di liti giudiziarie: il paziente contagiato in ospedale potrebbe ritenere responsabile la struttura della mancata adozione di misure preventive (quali la separazione dei percorsi tra infetti e non infetti), allo stesso modo il malato oncologico aggravatosi e non operato in tempo per la chiusura delle sale operatorie potrebbe cercare giudizialmente ristoro del danno subito.
 
Considerando che i soli decessi da Covid-19 in Italia sono ad oggi più di 90.000, può il nostro sistema giudiziario riuscire a metabolizzare decine di migliaia di nuove liti giudiziarie? I filosofi del diritto ben insegnano come un risarcimento rappresenti sempre un trasferimento di ricchezza, e quindi l’impoverimento di un cittadino – o, nel caso della soccombenza di una struttura ospedaliera pubblica, di tutti i cittadini.
 
Può un Paese già travolto dalla crisi economica sopportare questo ulteriore, enorme, pericolo? Se sul piano penale può sembrare giusto ragionare intorno all’impunità per colpa non grave del personale sanitario impegnato a fronteggiare l’emergenza pandemica, in ambito civile non sembra giusto precludere al cittadino la possibilità di trovare ristoro da un danno derivante da una inadeguata organizzazione dei servizi.
 
Di certo il cittadino non avrà problemi a far valere le proprie ragioni, dal momento che il principio della vicinanza della prova farà ricadere sugli ospedali il complessissimo onere di dimostrare compiutamente che i danni non siano a loro imputabili. Il difficile compito di prepararsi a ciò non può essere lasciato ai giudici, che si possono pronunciare solo sulle singole vicende e solo secondo la legge.
 
Sono i decisori politici che possono e debbono considerare la completezza e la complessità di questa situazione, e quindi preparare il Paese a questa probabile pandemia giudiziaria, per esempio riprendendo il modello degli indennizzi garantiti alle vittime delle trasfusioni infette creato efficacemente nel 1992. Vi è poi la necessità che tutte le aziende ospedaliere prendano ad esempio le (non poche, ma troppo poche) strutture virtuose che sono riuscite a garantire la continuità assistenziale e la sicurezza ospedaliera anche in tempo pandemico.
 
Non vi è solo da ridefinire l’edilizia e l’ingegneria gestionale ospedaliera, ma anche la gestione del rischio, che va affidata a professionisti specializzati e deve assicurarsi che l’ospedale sia capace di rispondere dinamicamente ad esigenze in continuo divenire. Ciò va fatto senza ulteriore indugio, prima che l’orrido silenzio della pandemia sfumi, lasciando spazio a ciò che secondo Camus battezza e subentra a ogni pandemia: la retorica.   
 
Antonio Oliva
Professore Associato di Medicina legale
Facoltà di Medicina e chirurgia
Università Cattolica del Sacro Cuore

09 febbraio 2021
© Riproduzione riservata


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