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Covid. Urgenze addominali “scomparse”, l’allarme dei chirurghi in una survey del Gemelli

di Lorenzo Proia

Negli ospedali italiani infatti le urgenze addominali hanno subito una riduzione del 25-30%, mentre si è verificato un aumento delle forme gravi del 20-30%. Spiegano dalla Fondazione: “Tutte le urgenze chirurgiche hanno subito un upgrading in termini di gravità. I pazienti, impauriti dal pericolo del contagio non si recavano in ospedale. Ma questo timore, umanamente comprensibile, contrasta con l’organizzazione che si sono dati gli ospedali”.

12 FEB - La scorsa primavera in molti hanno rinunciato alle cure per timore di contrarre il Covid. Una conferma viene anche da una survey del Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma, condotta dalla Chirurgia d’Urgenza e del Trauma. La ricerca rivela infatti che le urgenze addominali hanno subito una riduzione del 25-30%, a fronte di un aumento delle forme gravi del 20-30%. E questo anche se avevano sviluppato un’appendicite, una diverticolite, una colecistite o addirittura una perforazione intestinale, tutte urgenze di chirurgia addominale “tempo-dipendenti”.

La survey prende in considerazione tutti gli ospedali italiani. Spiega il professor Gabriele Sganga, Direttore della UOC Chirurgia d’Urgenza e del Trauma: “Nei mesi di marzo e aprile al Gemelli, si è assistito a una riduzione del numero delle urgenze addominali in Pronto soccorso: meno urgenze, ma più gravi clinicamente e radiologicamente. Tali urgenze addominali spesso erano così severe da impedirci di poterle portare subito in sala operatoria, se non dopo averle stabilizzate prima, in terapia intensiva o in reparto”.

“In molte occasioni – prosegue Sganga - abbiamo dovuto adottare delle terapie conservative (antibiotici e drenaggi percutanei), prima della terapia chirurgica definitiva. Molti interventi abitualmente ‘semplici’, come per esempio quelli di ernia inguinale arrivavano talvolta anche dopo una settimana dalla comparsa del problema, quando ormai l’ernia era ‘strozzata’, ovvero quando l’ansa intestinale incarcerata si era ischemizzata e non potevamo far altro che asportarla, anche in pazienti giovani. Analogamente, molte colecistiti e diverticoliti arrivavano circondate da gravi raccolte ascessuali”.

“Insomma – ha proseguito il chirurgo - tutte le urgenze chirurgiche hanno subito un upgrading in termini di gravità. Perché i pazienti, impauriti dal pericolo del contagio non si recavano in ospedale, se non quando la situazione era ormai precipitata. Ma questo timore di contagio, pur umanamente comprensibile e tecnicamente spiegabile, contrasta con l’organizzazione che si sono dati gli ospedali: percorsi-Covid e percorsi-Covid- Free. E il nostro policlinico è stato tra i primi ad attivarli”.

“Arrivare tardi in ospedale con un’urgenza addominale come l’appendicite, la colecistite, la diverticolite – ammonisce il professor Sganga - significa sviluppare una forma complicata, che porta ad interventi chirurgici più complessi, a un allungamento dei tempi di degenza e in generale a rischiare di più. Per questo raccomandiamo di non esitare a venire in ospedale in presenza di un ‘mal di pancia’ che peggiora rapidamente, ancor più se accompagnato da febbre. Quell’addome va subito visitato da un medico o da un chirurgo per verificare la presenza di segni di ‘peritonismo’, cioè di una infezione dentro l’addome che è quasi sempre di competenza chirurgica”.

“Se una parte, o peggio tutto l’addome non è trattabile, è duro come il legno e offre resistenza alla palpazione, se c’è febbre, magari accompagnata da nausea e vomito, non bisogna perdere tempo. Avvertite subito il Medico o correte in pronto soccorso. È fondamentale far valutare la situazione da un esperto. E guai al fai da te: prendere un anti-dolorifico può migliorare temporaneamente il dolore, ma intanto l’infezione addominale, la peritonite, peggiora e può portare a gravi conseguenze”, ha concluso.

Lorenzo Proia

12 febbraio 2021
© Riproduzione riservata


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