Dolore cronico: come migliorare l’applicazione della Legge 38
La legge 38 del 2010, che riconosce il dolore cronico come una patologia in Italia, ha segnato un traguardo, ma anche un punto di partenza. Secondo gli esperti non è però ancora applicata in modo omogeneo nel Paese e l'accesso alle cure per i pazienti con dolore cronico deve migliorare con una maggiore informazione e una gestione dei dati più strutturata
24 FEB - La settimana scorsa è stato presentato il “Manifesto sul dolore. Le proposte per una migliore gestione dei pazienti con dolore cronico”, iniziativa organizzata e promossa da Sandoz con il coinvolgimento delle Società scientifiche e delle Associazioni dei Pazienti. Il Manifesto propone quattro aree di miglioramento per una piena attuazione della legge 38, la quale riconosce il dolore cronico come una patologia che necessita di una propria specifica rete di assistenza e cura, a cui i cittadini hanno diritto di poter accedere.
“La legge 38 del 2010 ha segnato un traguardo, ma anche un punto di partenza”, racconta in un’intervista il Professor William Raffaeli, Presidente della fondazione ISAL Ricerca sul dolore. “Porta a compimento ciò che era cominciato negli anni 80, quindi l’episodica nascita di centri dedicati alla cura del dolore e di centri di cure palliative, che però non avevano ancora un’armonia normativa”. La legge, continua Raffaeli, è stata voluta da tutte le componenti politiche e “viene considerata a livello internazionale una chiave per cominciare a riflettere in maniera profonda sul tema del dolore e sulla capacità di rispondere ai bisogni della popolazione”.
“Il mondo intero ci invidia questa legge che è stato il frutto della buona politica”, gli fa eco il Dottor Francesco Amato, Coordinatore del Tavolo tecnico Terapia del dolore, istituito in seno alla Sezione Cure Palliative e Terapie del dolore presso il Ministero della Salute e Direttore UOC terapia del dolore e cure palliative dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza. “Una legge che ci ha visto ai vertici della civiltà sanitaria europea e forse anche mondiale”.
Entrambi gli specialisti ricordano come il dolore sia la patologia epidemiologicamente più rappresentata: colpisce milioni di persone in Italia e centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.
La legge “è stata uno spartiacque perché ha rimesso in gioco in maniera istituzionale ciò che prima avveniva a livello di singolo medico o di singolo ospedale”, continua Raffaeli. Ma è poco conosciuta (più del 40% delle persone che soffrono di dolore cronico non sa a chi rivolgersi) e viene applicata in modo non omogeneo all’interno delle stesse Regioni.
A luglio dell’anno scorso la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni “ha deliberato i criteri di accreditamento delle reti del dolore e delle cure palliative”, ricorda Amato. Il paziente quindi viene affidato a una rete complessa di diversi professionisti.
In queste reti, precisa Raffaeli, “bisogna creare omogeneità che permetta di dare al paziente un modello di cura simile indipendentemente dall’ospedale”.
Il percorso di cura del paziente che soffre di dolore cronico è complesso, come sottolinea Maria Cristina Pace, presidente dell’AISD (Associazione Italiana per lo studio del dolore). Non si tratta solo di somministrare farmaci, occorre un inquadramento diagnostico, un percorso di riabilitazione. “Dall’inizio del dolore alla diagnosi trascorre parecchio tempo, fino a 5 anni volte”. Anni in cui il paziente deve essere inquadrato “nella sua vita quotidiana e nei suoi problemi di comorbidità rispetto al dolore”. Per queste ragioni occorre un dialogo tra i medici ed equità nell’accesso alle cure.
La raccolta de dati relativi al paziente acquista quindi un ruolo fondamentale. Il fascicolo sanitario elettronico, spiega Pace, “facilita la ricostruzione della storia dei pazienti per i diversi professionisti che prendono in cura il paziente”. E aggiunge: “questa rete elettronica, presente solo in alcune realtà italiane e non ovunque in modo equo, consentirebbe una più agevole collaborazione tra professionisti che si occupano del dolore, dal medico di medicina generale allo specialista del dolore cronico”.
In sintesi, l’accesso alle cure dei pazienti con dolore cronico può migliorare attraverso una maggiore informazione e una gestione dei dati più strutturata.