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Per gestire il Recovery Fund serve un po’ di sano centralismo

di Fulvio Moirano e Roberto Vaccani

La rivisitazione organizzativa della sanità italiana, possibile anche attraverso gli attesi fondi europei, dovrebbe evitare di allocare le risorse sulla base di richieste frantumate e settoriali, bensì partire da una analisi complessiva dei bisogni del Ssn, al fine di ripensare una configurazione organizzativa coerente col fare, col rispondere ai bisogni dei cittadini, senza disperdersi nei labirinti burocratici dei bisogni e delle difensività interne al sistema

15 APR - In termini generali la disponibilità del recovery fund rappresenta una ghiotta risorsa per razionalizzare il sistema sanitario.
Potrebbe proporsi come occasione unica per snellire strutture organizzative appesantite da ruoli ridondanti e povere di ruoli necessari, frutto di evoluzioni di carriere non formalmente tutelate e perciò non funzionali al lavoro ma abbandonate alla micronegoziazione informale di interessi soggettivi.
 
La necessità di utilizzo oculato del recovery fund potrebbe rappresentare una spinta epocale tesa a sostituire con protocolli di lavoro trasparenti la selva di adempimenti che rallentano ed ingessano l’attività organizzativa. Procedure che inducono recite burocratiche in obbedienza a copioni formali, spesso indipendenti dal loro senso. e disabituano gli individui a ragionare efficacemente per obiettivi e per soluzione dei problemi.
 
Questo momento storico di possibile rifondazione efficace del sistema sanitario pubblico suggerisce di non perdere l’attuale occasione di razionalizzazione.
 
La rivisitazione organizzativa dovrebbe evitare di allocare le risorse sulla base di richieste frantumate e settoriali, bensì partire da una analisi complessiva dei bisogni del Servizio Sanitario Nazionale, al fine di ripensare una configurazione organizzativa coerente col fare, col rispondere ai bisogni dei cittadini, senza disperdersi nei labirinti burocratici dei bisogni e delle difensività interne al sistema.
 
Senza una revisione organizzativa d’efficienza (costi) e di efficacia (appropriatezza), delle prestazioni sanitarie, molte delle risorse finanziarie del recovery fund finirebbero divorate dalle diseconomie del sistema, dagli stalli e dalle entropie attivate da soggetti pronti a riempire d’interessi personali, a volte illeciti, gli spazi non organizzati in termini di trasparenza e controllo organizzativo. Le notevoli risorse finanziarie in gioco sono un’occasione unica di investimento positivo ma sollecitano anche appetiti per nulla etici.
 
Con uno sguardo rivolto al sistema sanitario nazionale nel suo insieme si può affermare che la pandemia ha messo in risalto alcune ambiguità di attribuzioni gestionali esistenti tra stato e regioni, ma soprattutto alcuni ruoli a volte non agiti da parte dello Stato, a cui compete il governo unitario della logica sanitaria, per dettato della Costituzione.
 
Una normativa lasca ha previsto in alcuni casi una sovrapposizione non chiarita di responsabilità decisionali da condividere tra centro e periferia. Come era prevedibile, l’area normativa comune di ideale condivisione negoziale tra regioni e governo centrale è stata interpretata da molte regioni, alle quali compete la gestione operativa della Sanità, come area di conquista territoriale.
 
Sta di fatto che, questa pilatesca non distinzione puntuale di aree ritenute di decisioni strategiche o sovraterritoriali (nazionali), rispetto alle aree di decisioni gestionali adattate ai territori (regionali), nel tempo, è stata invasa, spesso in assenza di un’autorevole presenza statale, da una regionalizzazione non sempre competente e talvolta anarchica.
 
In momenti storici di ordinaria amministrazione il livello apicale nazionale ha mantenuto una strategia di lontananza, di “ventre molle”,
accettando configurazioni e valori di riferimento della sanità pubblica specifici di ogni regione, in assenza o in palese dissenso rispetto alle poche ed episodiche indicazioni del livello nazionale (vedasi ad esempio alcune riforme regionali incoerenti con le leggi nazionali e non impugnate dallo stato).
 
A fronte di imprevisti globali come il Covid, che richiedono strumenti centrali, nazionali o sovranazionali di gestione generale di un fenomeno pandemico, si scopre che poche regioni possiedono, seppur da perfezionare, un’anagrafe vaccinale altre non la hanno per nulla. A livello nazionale non ci si è posti nel tempo e con forza il problema. Soprattutto là dove esiste una banca dati, sembra mancare la capacità operativa di usarla organizzativamente.
 
Questo è solo un piccolo esempio dello stretto rapporto esistente tra informatizzazione ed organizzazione. Si tenga presente che un’anagrafe vaccinale che classifichi la popolazione per età, per esistenza di patologie gravi, per distanza chilometrica e temporale dei cittadini dai siti vaccinali semplificherebbe enormemente l’organizzazione delle campagne vaccinali di massa.
 
Il risultato è che in assenza di un riferimento centrale e ideale comune, si sono consolidate nelle regioni configurazioni di organizzazione sanitaria diverse, spesso non solo per legittime esigenze di adattamento ai bisogni del territorio, ma anche per scelte autonome e politiche regionali, spostando, di fatto, il baricentro istituente dallo Stato alle Regioni. Poiché alle diverse logiche di configurazione organizzativa della sanità corrispondono prestazioni sanitarie diverse, nel nostro paese, più che di sanità nazionale si può parlare di una sommatoria non sempre coordinata di sanità regionali.
 
Nelle organizzazioni complesse e diffuse territorialmente tutti i dati di monitoraggio e controllo sono gestiti direttamente dalla sede centrale, per il fatto che le sedi periferiche sono implicate nel conflitto d’interesse che nasce dall’essere spesso coinvolte sia nel ruolo del soggetto valutato sia in quello del valutatore. Conflitto che a volte spinge i valutati, per convenienza, ad esercitare forzature sui dati di valutazione, al fine di apparire, per convenienza, diversi dalla realtà fattuale, da quello che realmente sono (come è avvenuto a volte in merito con la produzione dei dati epidemiologici regionali del Covid).
 
Un governo centrale coraggioso potrebbe sfruttare la spinta alla digitalizzazione richiesta dal recovery fund per accentrare maggiormente a livello nazionale, monitoraggio, coordinamento e controllo delle prestazioni erogate dal sistema. Il fenomeno di diffusione della digitalizzazione non rappresenta solo un processo di aggiornamento tecnologico. La digitalizzazione è un potente strumento di sviluppo organizzativo e di governo generale, se è sensatamente progettata ai fini di ottenere maggiore trasparenza, visibilità e consapevolezza di fenomeni complessi.
 
Si possono gestire i fenomeni dei quali si ha consapevolezza, in assenza di consapevolezza, sono i fenomeni che implicitamente ci gestiscono.
 
Ecco alcuni esempi di programmi digitalizzabili:
· anagrafe nazionale assistiti;
· rafforzamento del FSE in termini di digitalizzazione della documentazione clinica e concreto utilizzo della stessa nei processi di cura clinico-sanitari;
· banca dati nazionale della digitalizzazione delle cartelle cliniche aziendali (CCEI) a supporto dei percorsi clinici;
· semplificazione all’accesso agli strumenti digitali;
· interoperabilità dei dati sanitari strutturati da diverse fonti, a livello centrale e locale, a supporto dei processi di prevenzione, sorveglianza e cura (a titolo esemplificativo per la presa in carico dei pazienti cronici e fragili);
· integrazione nazionale di strumenti per la costruzione di scenari di programmazione e prevenzione sanitaria (a titolo esemplificativo misurazione dei tempi d’attesa effettivi delle prestazioni o monitoraggio dei dati qualitativi sul livello di appropriatezza e quantitativi sui volumi di prestazioni sanitarie standard);
· servizi generalizzati di telemedicina accessibili ai pazienti e alle aziende sanitarie pubbliche e private;
· dati generali delle attività dei MMG e dei dirigenti medici convenzionati per attività;
· format strutturato di analisi sistemica nazionale, utile alla formulazione tramite un modello comune degli “atti aziendali”.
 
La digitalizzazione dei modelli organizzativi favorirebbe il possesso centrale di una banca dati che renderebbe agevole le comparabilità di dimensionamento organizzativo dei diversi modi di erogare prestazioni simili sul territorio. Una tale banca dati permetterebbe l’apertura di una discussione manageriale ed una ricerca empirica che aiuti a descrivere e condividere i modelli organizzativi più efficaci. Monitorando le formule organizzative nel loro concreto divenire non si cancella, come avviene oggi, la storia alle spalle senza memoria, ma si fa della memoria una pedagogia continua di riprogettazione organizzativa;
 
Appare evidente la necessità di istituire strutture funzionali interne al sistema sanitario pubblico, dedicate alla costruzione e gestione dei sistemi informativi. Di conseguenza va curata la selezione di figure specialistiche e gestionali dedicate ai fenomeni di digitalizzazione. Contemporaneamente vanno progettati percorsi formativi universitari e post-universitari strutturati, per il top management ma anche per il middle management da proporre non solo alle aziende sanitarie ma soprattutto alle direzioni regionali e nazionali .
 
Una digitalizzazione sensata è alleata della trasparenza, figlia dei dati reali che, a sua volta, è alleata delle negoziazioni che fanno appello alla “testa” più che alla “pancia”. La digitalizzazione funzionale evoca l’intelligenza della ragione e mette in ombra le passioni legate agli interessi emotivi di parte o di natura pregiudizialmente ideologica. La digitalizzazione di fenomeni organizzativi generali costituirebbe la rappresentazione metaforica delle redini informative e di monitoraggio che permetterebbero al centro nazionale di vedere, guidare, controllare e sviluppare piani strategici di gestione legittima del sovrasistema della sanità nazionale.
 
Chiarite le responsabilità gestionali strategiche nazionali, apparirebbero più chiare le deleghe gestionali operative e di adattamento ai bisogni dei territori, da affidare al decentramento regionale. In tal modo sarebbe più facile proporre aggiustamenti normativi sensati.
 
È chiaro che per tutelarsi dalla pratica levantina di manipolazione dei dati digitalizzati appare utile affiancare i processi defisicizzati col deterrente di significativi controlli fisici a campione, magari istruiti da apparati terzi.
 
La digitalizzazione oltre alla tecnologia richiede stanziamento di organico per il controllo di veridicità dei dati, il che sollecita la nascita di apposite funzioni aziendali e maggiori assunzioni in organi di controllo (controllo di gestione effettivo, controllo finanziario, agenzie di certificazione ed affini).
 
I presenti spunti di cambiamento potrebbero, con pochi adattamenti, essere estensibili a tutte le amministrazioni pubbliche e quindi rappresentare un forte strumento di sburocratizzazione del nostro sistema.
 
Fulvio Moirano
Amministratore Fucina Sanità
Esperto di organizzazione sanitaria

Roberto Vaccani
Consulente e docente di organizzazione aziendale e di comportamento organizzativo


15 aprile 2021
© Riproduzione riservata


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