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I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Marini: “Cosa si aspettano i chirurghi”

di Pierluigi Marini

Un chirurgo non si improvvisa, ha bisogno di spazi, luoghi, tecnologie e maestri dedicati da cui formarsi per recuperare la voglia e la serenità di fare e garantire ad ogni cittadino una adeguata assistenza

25 GIU - Ci hanno definito eroi ma alla fine gli operatori sanitari hanno pagato un prezzo altissimo nell'epidemia del Coronavirus. Non solo sovraccarico di lavoro e stress, o l'alto numero di contagi (più di 350 i medici deceduti e 87 gli infermieri per il Covid-19 in Italia con oltre 150.000 operatori sanitari contagiati), ma anche terribili costi psicologici.
 
La maggior parte dei medici e degli operatori sanitari ha dovuto affrontare l'emergenza senza alcun tipo di assistenza, dovendo gestire in solitudine la responsabilità dei trattamenti e il dolore per la perdita dei pazienti con la paura costante di essere contagiati e contagiare anche i propri familiari.
 
L’attuale pandemia ha lasciato una pesantissima impronta sulla attività chirurgica nel nostro Paese: interi reparti sono stati accorpati o riconvertiti per assistere il maggior numero di pazienti affetti da coronarovirus; sale operatorie, recovery room e terapie intensive post operatorie sono state convertite per garantire il trattamento intensivo dei pazienti Covid-19.
 
In modo simile moltissimi operatori (anestesisti, chirurghi ed infermieri) sono stati precettati e destinati, chi più, chi meno opportunamente, alla cura dei pazienti Covid-19 ed è stato assunto temporaneamente personale medico ed infermieristico non adeguatamente formato.
 
ACOI, dall’inizio della pandemia, ha monitorato la situazione, anche attraverso sondaggi tra i suoi associati, per comprendere e misurare l’impatto di questi cambiamenti sul territorio, con risultati sconcertanti: le conseguenze delle misure prese contro la pandemia hanno determinato una riduzione di circa l’80% dell’attività chirurgica elettiva ed in alcune realtà fino al 35% di quella in urgenza, salvaguardando solo quelli improcrastinabili sia in regime di urgenza che per patologie oncologiche.
 
Ma ritardare un intervento chirurgico, per certe patologie la cui evoluzione è strettamente legata al trascorrere del tempo, è fonte di gravi rischi: progressione della malattia oncologica, peggioramento della sintomatologia clinica, cioè aumento della “sofferenza” del paziente, incremento della complessità dell’intervento, maggiore incidenza di complicanze, possibile compromissione del risultato chirurgico ed oncologico con allungamento delle degenze.
 
Tutti i chirurghi oggi raccontano di dover fronteggiare patologie in stato molto avanzato, come non si vedevano da tempo, e che se fossero state affrontate per tempo si sarebbero risolte con più facilità (o, peggio, si sarebbero potute risolvere!)
 
L’emergenza in realtà non ha fatto che accentuare criticità già esistenti nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, prima vittima, in tempi non sospetti, di sprechi e disorganizzazioni, spesso legate ad una programmazione parcellare senza una visione lunga, d’insieme, finito poi sotto i duri colpi delle “spending review” portate dalla crisi economica degli ultimi anni.
 
Dai dati pubblicati a settembre 2019 sull’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale, con i dati del 2017 si evidenzia chiaramente la progressiva riduzione del numero di istituti di cura passati da:
1998: 1381 istituti – 61,3% pubblici – 38,7% privati
2007: 1197 istituti – 55% pubblici – 45 % privati
2017: 1000 istituti – 51.8% pubblici – 48.2% privati
 
Con una chiara tendenza all’inversione pubblico privato.
 
I posti letto erano nel 1998, 311 mila; nel 2007, 225 mila; nel 2017, 191 mila. Passando dai 5,8 posti letto ogni mille abitanti del 1998, ai 4,3 nel 2007 e ai 3,6 nel 2017.
 
La necessità di ricorrere a questi drastici cambiamenti era legata alla esigenza di ridurre le ospedalizzazioni, in particolare di persone anziane ma non solo, di incrementare l’assistenza domiciliare (sempre a carico del Sistema Sanitario Nazionale) rafforzando le reti territoriali (laboratori, centri specializzati in prestazioni in day hospital, case di cura per anziani etc.)
 
Tali decisioni tuttavia non hanno portato alla riduzione della spesa pubblica per la sanità in Italia, anzi. In diversi anni in cui i posti letto e gli ospedali sono diminuiti sensibilmente (dalla metà degli anni ‘90 al 2010), le risorse per il SSN sono cresciute costantemente.
 
Eppure abbiamo il minor numero di ospedali e la loro maggiore obsolescenza se rapportati alla media europea; meno infermieri, medici con età media superiore ai 55 anni, un numero più basso di strutture territoriali intermedie in grado di intercettare la domanda di sanità senza scaricarla sui Pronto soccorsi degli ospedali.
 
Ma nonostante la minore spesa e le contraddizioni il nostro SSN è risultato finora uno dei migliori in Europa quanto ai risultati in corso di pandemia. Infatti la spesa sanitaria italiana e in genere la dotazione infrastrutturale e per la gestione del nostro sistema rispetto alla media europea è assai inferiore.
 
Nel 2017 abbiamo destinato alla sanità soltanto l’8,8 % del Pil, ben al di sotto della media Ue che si attesta intorno al 9,8 %. Per non parlare della spesa sanitaria pro capite che si attesta a 2.483 euro, quasi il 15% in meno rispetto alla media della Ue, pari a 2.884 euro.
 
Considerando poi globalmente la parte pubblica e quella privata, l’Italia ha una spesa pro capite di 3.400 euro molto al di sotto di paesi come Usa, Canada, Francia, Uk, Giappone o Germania, dove ad esempio, è di circa 6.000 euro.
 
Fondamentale indicatore meritevole di mensione ed attenzione adeguata è il il gap fra Italia e altri Paesi sul numero di posti letto negli ospedali su 1000 abitanti: In Italia sono 3,2 contro gli 8 della Germania, i 6 della Francia, i 13 del Giappone. Per non parlare dei posti letto nelle residenze per anziani che in Italia sono 18,6 contro i 54 della Germania.
 
Sicuramente le infrastrutture sanitarie italiane sono le più vetuste, ed il 63 per cento di quelle ospedaliere hanno oltre 40 anni di età. Questo comporterebbe inevitabilmente ingenti investimenti per adeguamenti e messe a norma con costi di gestione che rischiano spesso di superare quelli di una nuova costruzione.
 
Se il diritto alla salute è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione il Servizio Sanitario Nazionale ne rappresenta la degna espressione garantendo assistenza di elevata qualità a tutti i cittadini. Tuttavia esistono e si sono acuite nel tempo gravi differenze tra regioni con livelli assistenziali differenti tra regione e regione.
 
Siamo tutti convinti che questa pandemia ha messo a dura prova il nostro sistema e probabilmente questo potrebbe essere solo l’inizio. Per questo non possiamo permetterci di farci trovare impreparati di fronte ad una nuova possibile pandemia.
 
Mai come in questo momento non possiamo sbagliare ed è necessario predisporre strutture e tecnologie più moderne. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede per la Sanità 20,23 miliardi di euro: è necessario da un lato il potenziamento dell’assistenza territoriale tramite la creazione di nuove strutture (come Ospedali di Comunità e Case della Comunità), rafforzamento dell’assistenza domiciliare e lo sviluppo della telemedicina; dall’altro la digitalizzazione e il rafforzamento del capitale umano del Sistema Sanitario Nazionale attraverso il potenziamento della ricerca e della formazione.
 
Tutto questo non può prescindere dal rafforzamento strutturale e tecnologico delle strutture ospedaliere esistenti, specie quelle ad alti volumi di attività. ACOI ha effettuato una serie di incontri regionali per analizzare questa situazione e aprire un dibattito con le istituzioni ed i protagonisti locali del mondo ospedaliero e del governo della sanità per avviare un progetto di riorganizzazione condiviso che permetta alla Chirurgia di ripartire, per il bene dei Pazienti.
 
Ovunque abbiamo registrato la volontà di ripartire ma serve una maggiore attenzione nei confronti delle risorse da destinare a strutture, tecnologie e formazione.
 
Per svolgere questa professione servono impegno, passione e dedizione: restituiamo dignità e rispetto a questa professione bistrattata e demotivata oggetto di continui attacchi gratuiti, che al momento opportuno è stata capace di far fronte alla pandemia, talora senza una adeguata protezione, ma con l’entusiasmo che consente a qualunque chirurgo di fare il medico…. Ma un chirurgo non si improvvisa, ha bisogno di spazi, luoghi, tecnologie e maestri dedicati da cui formarsi per recuperare la voglia e la serenità di fare e garantire ad ogni cittadino una adeguata assistenza.
 
Pierluigi Marini
Presidente Nazionale ACOI
 
Vedi gli altri articoli del Forum Ospedali: Fassari, CavicchiCognettiPalermo e TroisePalumboMurianaQuiciFnopiPizza, Maceroni.

25 giugno 2021
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