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I Forum di QS. Quale ospedale per l’Italia? Santoro: “Ospedale e territorio vanno riformati insieme”

di Eugenio Santoro

Se oggi si vuole affrontare seriamente il problema del territorio, con altrettanta serietà va affrontato quello degli Ospedali. È tempo di chiarire che tra territorio e Ospedali serve una collaborazione seria e continua con piena dignità reciproca. Ed è tempo di eliminare l’equivoco degli ospedali delle ASL, restituendo anche a questi piena dignità all’interno di aziende multi-ospedale, vasi comunicanti della stessa filiera, liberando al contempo il territorio dal loro peso

13 LUG - L’incipit proposto da Ivan Cavicchi per questo Forum sugli Ospedali promosso da Quotidiano Sanità è come tutti i suoi scritti, lucido e condivisibile. Da anni le sue analisi e le sue proposte contenute in tanti articoli e molti libri incontrano vasto consenso, ma non trovano applicazione. Il consenso proviene dai lettori utenti del SSN, la mancata applicazione dipende da chi il SSN lo gestisce.
 
Una politica sanitaria forte, dalla Anselmi 1978 alla Bindi 1999,ha realizzato uno dei Servizi Sanitari Nazionali più efficienti ed olistici di tutto l’Occidente. Da allora però in questo XXI secolo non ci sono stati provvedimenti incisivi ed innovativi ed ha prevalso l’invecchiamento del sistema. Per gli Ospedali sono perciò comparse le rughe, ossia le liste d’attesa, l’intasamento dei pronti soccorso, il mancato adeguamento specialistico ad una epidemiologia in movimento, ecc, ecc, ed infine la catastrofe del COVID.
 
In questo secolo, contrariamente al secolo precedente, la politica non ha fatto la sua parte, non ha inseguito l’ammodernamento e la qualità, ma tout court ha contrastato la quantità per inseguire burocratici scoperti di bilancio, non curanti dei risultati assistenziali per la popolazione.
 
A questo Forum va il merito di avere riaperto la questione Ospedaliera, mentre l’intera gestione del sistema corre dietro al Covid, occasione preziosa per occultare le altre falle del SSN e soprattutto della rete ospedaliera.
 
Il PNRR nella Mission sei, cioè il capitolo dedicato alla sanità, ha quanto meno un pregio ed un difetto: il pregio è il riconoscimento al settore una discreta quota di finanziamento seppure inferiore a quanto avrebbe previsto il MES; il difetto è la distribuzione a pioggia del denaro, rinunziando per gli Ospedali ad ogni tentativo di innovazione, ossia dimenticando che il settore ospedaliero è ancora organizzato con leggi del 1968, del 1978, del 1992, e del 1999.
 
La Mission 6, per il territorio cerca di fare tesoro della lezione Covid’ tentando di dare una strutturazione più efficace , colmando il vuoto tra medicina di base ed Ospedali. Non viene però affrontato il difficile nodo proprio della medicina di base, del suo sofferto rapporto convenzionale, della sua scarsa incisività specie nelle grandi città, del tipo di gestione che si vorrà dare alle Strutture di prossimità che se affidata alle diverse Regioni finirà col consolidare e forse amplificare le storture derivanti dalla modifica del Titolo quinto.
 
Il problema del personale necessario e della sua formazione è affidata a successivi Decreti la cui tempistica rischia di portare oltre le necessità reali, mettendo a dura prova il sistema, specie se la pandemia dovesse ripresentarsi col prossimo autunno o con il nuovo anno o comunque se qualche malaugurato evento dovesse mettere alla prova il Paese prima della scadenza del 2026 prevista dal PNRR per l’acquisizione dei fondi europei. Si tratta comunque di una soluzione attesa da molti anni un innegabile difetto della legislazione nazionale e regionale esistente.
 
Non si può dire altrettanto per gli Ospedali o meglio per la medicina ospedaliera che nella circostanza Covid ha anch’essa marcato difficoltà e disfunzioni oltre che clamorose difformità regionali. Gli 8,6 miliardi di euro sarebbero destinati a coprire quattro settori: l’edilizia ospedaliera, il parco tecnologico, l’attività di ricerca degli IRCCS, l’informatizzazione delle procedure.
 
La prima voce è quella che da decenni è oggetto di finanziamento annuale nelle leggi di bilancio dello Stato, ultimi i 900 milioni del 2019 per la riqualificazione su progetto degli Ospedali pubblici e che ha finito per allargare la forbice tra Nord e Sud del Paese, tenuto conto che specie al Sud oltre la metà delle strutture è stata costruita prima della seconda guerra mondiale e dove il rinnovo delle attrezzature, per procedure burocratiche, avviene talora con esasperante lentezza giungendo a termine quando la stessa strumentazione acquisita è già superata.
 
L’innovazione contenuta nella Mission 6 riguarderebbe una maggiore attenzione finanziaria agli IRCCS per favorire la ricerca sempre che non avvenga come con la citata legge di bilancio del 2019 dove dei 900 miliardi destinati agli Ospedali solo 10 sono stati assegnati alla promozione della ricerca.
 
Tutto ciò premesso rimane la considerazione della occasione perduta. Di fronte alla spinta riformatrice che investe più settori come la giustizia, il lavoro, la pubblica amministrazione, la istruzione, per la sanità, capitolo ospedali, la vocazione riformatrice è rimasta nel cassetto mentre come il Covid ha dimostrato l’impostazione vigente della 833/ 1978 è in gran parte superata.
 
A cavallo della fine del 20º secolo la Sanità e’ via via diventata sempre più Ospedale centrica. Il cittadino è stato spinto a cercare la soluzione dei propri problemi grandi e piccoli nella struttura ospedaliera. I pronti soccorso hanno finito con l’essere soffocati da un impropria attività ambulatoriale. I pubblici amministratori hanno creduto di utilizzare la sanità come motivo di credibilità politica. I sindaci hanno preteso e difeso strutture ospedaliere nei propri territori incuranti non solo del rapporto costi benefici, ma anche della qualità assistenziale erogabile in strutture carenti di organizzazione, attrezzature, professionalità, eccetera.
 
Gli amministratori regionali si sono soprattutto preoccupati di finanziare e organizzare nuovi reparti e nuove attrezzature, con poca attenzione all’effetto negativo che avrebbero prodotto inducendo la corsa dei malati, reali o immaginari, verso quelle strutture, saltando ogni possibile valutazione pre ospedaliera.
 
Alla fine del primo decennio di questo secolo è arrivata la resa dei conti, ossia i conti in rosso, e la necessità di rientrare dai debiti. La cura economica è stata drastica e soprattutto per le sanità regionali più indebitate: taglio dei posti letto, blocco delle assunzioni, niente o quasi i concorsi per la copertura dei posti vacanti, anche apicali, revisione al ribasso delle retribuzioni previste dai DRG, allungamento delle liste d’attesa, applicazione dei cosiddetti indicatori di qualità, eccetera, e parallelamente il numero chiuso per l’accesso alle facoltà mediche, e numero di ammissioni annuali alle scuole di specializzazione ben inferiore al numero dei laureati dello stesso anno.
 
In queste condizioni il coronavirus, almeno all’inizio, l’ha fatta da padrone, soprattutto al Nord dove il modello lombardo in più di 10 anni di applicazione, nel segno di una malintesa libertà di scelta del cittadino e di una presunta salutare concorrenza pubblico-privato, aveva spinto la sanità pubblica verso l’emergenza con risorse limitate e quella privata verso l’elezione meno costosa e più remunerativa.
 
Gli ospedali pubblici dunque in Italia sono stati trasformati in lazzaretti, le loro Rianimazioni con straordinari sacrifici ed impegni personali ed organizzativi, sono andate oltre ogni limite. Il privato ha collaborato per la parte meno impegnativa a fronte di interessanti retribuzioni e comunque il Paese è miracolosamente uscito dalla tempesta una prima volta con i Lock Down ed una seconda volta con la vaccinazione di massa..
 
E gli ospedali? Per loro quale ritorno alla vita cioè alle attività istituzionali ci sarà dopo la pandemia? Come faranno fronte alla nuova richiesta di cure? L’epidemia ha mostrato che le specialità ospedaliere non sono più quelle del secolo scorso, che la strutturazione degli organici non può essere più quella gerarchica tradizionale, ma legata alle nuove competenze spesso individuali e non di squadra, che le modalità di ricovero ordinario rischiano di soccombere nel confronto con quelle del day- hospital, che il personale di assistenza infermieristico e tecnico necessita di un nuovo mansionario, che la retribuzione dei medici non può essere quella dell’uno vale uno.
 
Per quanto riguarda il DM 70/2015 ed i suoi rigidi schemi sostanzialmente quantitativi, il Covid ha provveduto a smentirne la presunta giustezza ed efficacia, valga per tutti il caso delle Rianimazioni con i nuovi necessari posti letto allestiti in fretta e furia, ben al di là delle previsioni del suddetto decreto. Infine anche sul lavoro stabile e a tempo indeterminato occorrerà fare una riflessione.
 
Così come sulla dirigenza gestionale, sul relativo stato giuridico, sul conseguente auto-cratismo, sulla competenza degli eletti, sullo scarso potere degli organismi collegiali professionali, sul sistema di arruolamento delle apicalità, sui rapporti con gli enti locali, sulla nomina politica e la conseguente dipendenza dei nominati, sul conflitto tra questa dirigenza a rapporto di lavoro privato e temporaneo e l’azienda pubblica il cui personale operante è per lo più rapporto indeterminato ed esclusivo perchè pubblici dipendenti.
 
Se oggi si vuole affrontare seriamente il problema del territorio, con altrettanta serietà va affrontato quello degli Ospedali.
È tempo di chiarire che tra territorio e Ospedali serve una collaborazione seria e continua con piena dignità reciproca. Ed è tempo di eliminare l’equivoco degli ospedali delle ASL, restituendo anche a questi piena dignità all’interno di aziende multi-ospedale, vasi comunicanti della stessa filiera, liberando al contempo il territorio dal loro peso.
 
Ed una riflessione più generale sembra necessaria sui diversi stati giuridici del personale operante nel servizio sanitario nazionale: ospedalieri a rapporto pubblico di dipendenza , dirigenza ospedaliera a rapporto privato, universitari a rapporto pubblico di dipendenza, medicina di base a rapporto convenzionale, strutture private in convenzione regionale, ospedali religiosi a rapporto convenzionale eccetera. Che senso ha questa babele? Sembra capace solo di indurre conflitti e rivendicazioni, talora con danno dell’assistenza.
 
Perché dunque nel post-covid non affrontare dopo quarant’anni il problema di una completa riforma del servizio sanitario soprattutto nel settore degli ospedali, nucleo centrale e vitale del sistema? Ed è inutile e dannoso fare finta che i tempi non siano mutati che l’epidemiologia non sia diversa, che i costi sono in espansione, che il progresso della scienza è inarrestabile, che stiamo vivendo tempi di diversa stratificazione sociale in movimento verso un futuro migliore, capace di una considerevole autogestione, sempre più giustamente esigente e meritevole di risposte adeguate.
 
Infine chi gestirà il tesoretto destinato agli Ospedali ? Forse la Conferenza Stato Regioni in prima istanza e poi le singole Regioni? Se non si terrà conto di bisogni diversi, se lo Stato sarà emarginato o esautorato, la forbice tra ricchi e poveri si allargherà ulteriormente e gli effetti negativi del finanziamento europeo potrebbero essere ben maggiori di quelli positivi.
 
Eugenio Santoro
Presidente Fondazione San Camillo-Forlanini

 
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13 luglio 2021
© Riproduzione riservata


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