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Violenza contro gli operatori: radici culturali e cattiva organizzazione del lavoro

23 MAR -

Gentile Direttore,
le aggressioni al personale sanitario sono eventi classificabili come prevedibili e solo una nuova alleanza tra management, operatori sanitari e cittadini può dare risposta a questo grave fenomeno. La sentenza della Corte Penale del Tribunale di Bari del 26 ottobre 2021 lo indica con chiarezza.

In tale occasione il Tribunale ha condannato per omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale di una Asl, nel cui ambito operava un Centro di salute mentale nel quale, nel 2013, una psichiatra era stata assassinata da un frequentatore del Centro. La sentenza ha definito quell’omicidio “un crimine tristemente annunciato”, in quanto il centro era frequentato da soggetti con gravi turbe psichiche che potevano dar luogo ad esplosioni di rabbia incontrollata nei confronti di chiunque, specialmente nei confronti di operatori sanitari, senza che sia mai stato previsto, dagli organi preposti, alcun presidio di sicurezza a tutela del personale operante.

La questione ha radici anche culturali, ma la cattiva organizzazione del lavoro, in termini di assetto e di funzionamento, anche legata al modo in cui si è trascurato il problema della carenza di personale, ha fatto emergere rischi psico-sociali, compresi gli atteggiamenti violenti nei confronti degli operatori sanitari da parte degli utenti.

Certamente la legge 113 del 14 agosto 2020 vede lo Stato intervenire in modo importante sul tema della sicurezza degli operatori delle professioni sanitarie e sulla prevenzione in materia di aggressioni.

La norma, infatti, prevede la costituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza con funzioni di monitoraggio di episodi di violenza subiti dai professionisti sanitari e socio-sanitari, di monitoraggio dei relativi eventi sentinella, di monitoraggio dell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione a garanzia dei livelli di sicurezza sui luoghi di lavoro anche promuovendo l’utilizzo di strumenti di videosorveglianza, di promozione delle buone prassi anche nella forma del lavoro in equipe, di promozione di corsi di formazione per il personale medico e sanitario, finalizzati alla prevenzione e alla gestione delle situazioni di conflitto.

La legge prevede anche un importante inasprimento delle condanne penali e il reato specifico di aggressione nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari come perseguibile d’ufficio, nonché l’aumento delle forze dell’ordine nelle sedi sanitarie e sanzioni amministrative da 500 a 5000 euro per gli aggressori.

I dati dell’Inail evidenziano un fenomeno di vaste proporzioni. Ogni anno si contano 2.000 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità, che è come dire che il 50% dei 4000 casi totali di violenza registrati nei luoghi di lavoro riguarda medici infermieri ostetriche, farmacisti ed operatori socio-sanitari. Un infortunio su dieci è dovuto ad aggressioni.

Nel 72% dei casi le vittime delle aggressioni sono donne. La classifica dei luoghi maggiormente colpiti dalla violenza, in ambito medico, vede al primo posto i pronto soccorso, seguono i reparti di degenza, gli ambulatori, i reparti psichiatrici. La violenza è commessa per il 49% da pazienti, 30% dai familiari, 11% dai parenti.

Le fasce orarie più a rischio, nemmeno a dirlo, sono quelle della sera e della notte. Rilevanti sono i danni economici che ne derivano e che ammontano per il Sistema sanitario nazionale a svariate decine di milioni di euro.

Prof. Massimo Martelloni

Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni
Consigliere Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze
Presidente Emerito della Comlas



23 marzo 2023
© Riproduzione riservata

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