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Covid-19 nei racconti degli operatori sanitari contagiati. Medici e infermieri a confronto

21 SET - Gentile direttore,
il 17 settembre 2020 si è celebrata la Seconda Giornata mondiale sulla sicurezza del paziente. In questo anno, a seguito della pandemia da SARS-Cov2, il tema sul quale si è focalizzata l’attenzione è “La sicurezza degli operatori per la sicurezza dei pazienti”. Proprio per questo motivo, l’Ordine dei Medici-Chirurghi e Odontoiatri di Firenze e l’Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) Interprovinciale di Firenze e Pistoia hanno organizzato l’evento dal titolo "L’esperienza professionale e umana degli operatori sanitari durante l'emergenza Covid-19". 
 
In questa occasione sono stati presentati i risultati preliminari di due studi:
- un sondaggio internazionale sulle modalità di gestione della pandemia, realizzato dalla International Society for Quality in Health Care (ISQua), in collaborazione con Italian Network for Safety in Health Care (INSH), Macquaire University di Sidney, Scuola Santanna di Pisa su un campione di oltre 1400 professionisti (prevalentemente medici e infermieri) esperti di qualità e sicurezza delle cure, residenti rappresentativi delle sei regioni della WHO (Europa, Pacifico occidentale, Mediterraneo orientale, America, Sud-Est Asiatico, Africa), illustrato da Riccardo Tartaglia e Vittorio Fineschi, rispettivamente Presidente e Vice-presidente INSH;
 
- una raccolta di racconti di operatori sanitari che si sono ammalati di COVID-19.
 
Quindi è stata interpretata la sintesi di due storie selezionate fra quelle raccolte nel nostro paese e c'è stata la testimonianza della ex senatrice Monica Bettoni, nominata da Mattarella Cavaliere della Repubblica perché tornata in corsia come volontaria durante la pandemia, prestando servizio nell’ospedale di Vaio, nel comune di Fidenza.

Quest’ultimo studio “esperienziale” rappresenta una novità assoluta in quanto inserendosi nel filone degli studi sui Patient Reported Outcome Majors (PROMS)- Misure di esito riportate dai pazienti- arricchisce i dati epidemiologici finora presenti in letteratura dei sentimenti e delle emozioni di chi ha vissuto la malattia ma con la consapevolezza del proprio essere operatore sanitario. Lo studio è tutt’ora in corso, sotto l’egida di Italian Network for Safety in Health Care (INSH) e della Federazione delle Società Scientifiche Mediche Italiane (FISM) e in collaborazione con la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), l’OPI - Ordine Professioni Infermieristiche Interprovinciale Firenze Pistoia, la Fondazione Italia in Salute, l’International Society of Quality in Health Care (ISQua), il Dipartimento di Scienze Sociali Politiche e Cognitive dell'Università di Siena e l’Australian Institute of Health Innovation (AIHI) della Macquarie University di Sidney.

L’obiettivo è quello di raccogliere almeno 100 storie per dare evidenza e tenere traccia delle esperienze di vita - sia personale che professionale - degli operatori sanitari che da professionisti, nello svolgere il loro lavoro di assistenza con impegno, passione e abnegazione, si sono ritrovati essi stessi a essere pazienti.

Allo stato attuale sono state raccolte 50 storie in tutto il mondo di cui 21 in Italia, raccontate da medici (62%), infermieri (24%), altri operatori (9%) e volontari (5%). I rispondenti – per il 62% di sesso femminile e con un’età media di 50 anni –riferiscono una malattia grave che ha richiesto il ricovero nel 48% dei casi e che compromette il benessere psicofisico degli affetti oltre la durata clinica - in media di 37 giorni dai primi sintomi al secondo tampone negativo consecutivo nella nostra casistica.

Il principale punto di forza di questo studio è che consente di raccogliere svariate informazioni insite nel vissuto della malattia, quali risvolti emotivi e psicologici, dati relativi alla storia naturale della malattia, le sue complicanze e i suoi postumi, ma anche aspetti di tipo organizzativo e gestionale, raccontati da una fonte autorevole, quale quella degli “addetti al lavoro”.

Tra le tematiche di tipo organizzativo, emergono, soprattutto nei primi mesi dell’epidemia, le disfunzioni conseguenti alla congestione degli ospedali per acuti, la carenza di personale e presidi, la non semplice integrazione ospedale-territorio, la esiguità dei servizi di sorveglianza attiva e di supporto sociale dopo anni di tagli, l’eccessiva burocratizzazione della sanità. Gli operatori raccontano: “alla dimissione non avevano potuto eseguire ancora il secondo tampone; non c’era una terapia da seguire”; “avevo esami del sangue sballati e non è stato possibile ricontrollarli, né rifare una radiografia ai polmoni”; “mi sono fatto prescrivere l'ossigenoterapia dal medico curante”; “una sola telefonata dall'igiene pubblica per comunicare la quarantena, in teoria dal terzo giorno sarebbero venuti a prendere la spazzatura ma mai visto nessuno. Nessun aiuto per la spesa o i farmaci”; “esausta, innervosita, triste e spossata, ho fatto mille telefonate ai soliti colleghi/amici. Tutti mi rispondevano che gli adempimenti burocratici erano infiniti e che non vi era personale a sufficienza per svolgere il tutto”.

A tali problematiche nei racconti fanno tuttavia da contraltare, la professionalità e la disponibilità dei singoli operatori: “tutti gli operatori sono stati disponili e altamente professionali”; “il personale del reparto è stato gentilissimo, non si fermavano mai, io e le mie compagne di camera eravamo solo con la ventimask, ma nelle stanze accanto c'erano malati più gravi con C-pap o niv, qualcuno è morto”; l’ospedale non si riconosceva, si leggeva nel volto del personale la tensione e la paura, gli operatori indaffaratissimi”; “Il personale è stato sempre gentile e premuroso, dando il massimo nei limiti delle loro possibilità. Infermieri e medici cercavano di essere presenti il più possibile e di questo gliene sono grata…”) nonché la difficoltà di curare una malattia ancora sconosciuta (“mi hanno fatto degli antivirali che non abbassavano la febbre e dopo circa una settimana mi hanno chiesto il consenso per usare antireumatoidi e cortisone e dopo 2 giorni e mezzo la febbre è passata”; “si percepiva perfettamente il delirio, la paura dell’ignoto nell’affrontare una malattia sconosciuta e aggressiva”).

Dal punto di vista emotivo nei racconti predominano l’incertezza e la paura della gravità e dell’evoluzione della malattia: “sono stati lunghi quei 14 giorni in cui ho avuto risvegli continui con sensazione di fame di aria”; “l’esordio della malattia è stato molto amaro. La signora che mi ha infettato è deceduta dopo 5 giorni. Il cognato della signora è stato ospedalizzato e intubato per cui ero molto consapevole della situazione“), la preoccupazione di poter contagiare i familiari (“nel frattempo avevo fatto preparare i nomi e i telefoni dei contatti delle 48 ore prima”; “rivivere in mio figlio quello che mi era successo il mese prima mi sconvolgeva avevo paura che anche lui potesse andare in contro a complicanze e lui mi pregava continuamente di non farlo ricoverare”; “la non conoscenza ti crea una serie di ansie e anche i numeri di pazienti che stavano male determinavano una grande paura”; “al rientro al domicilio non penso assolutamente a reperire i farmaci ma a come organizzarmi. Tre bimbe di 8, 5 e 3 anni e un marito di 48 anni.
 
Agisco da medico e non da mamma”; “emotivamente non ho provato paura per me stessa ma per i miei cari”), il dolore per la perdita dei rapporti con i familiari: “l’incapacità di svolgere le mie responsabilità quotidiane legate alla genitorialità”; “l’isolamento è risultato sicuramente il momento più difficile e anche la lontananza dai miei figli e mia moglie”; “avevo paura per le mie bambine, il fatto di non avere creato degli spazi ben distinti, se non i primi giorni, mi provocava ansia e paura di averle potute contagiare” e la gioia per il pericolo superato e gli affetti recuperati: “anche se...uscita da quella stanza...non è come me lo aspetto...abbraccio con enorme forza le mie figlie”.

Nella Seconda Giornata Mondiale per la Sicurezza dei pazienti il nostro pensiero è andato agli operatori deceduti nell’esercizio della loro professione e alle loro famiglie perché la nostra riconoscenza aiuti a colmare l’assenza lasciata.
 
Michela Tanzini e Micaela La Regina
Soci INSH
 

21 settembre 2020
© Riproduzione riservata

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