La necessaria, difficile e incompresa prevenzione
di Franco Cosmi
05 MAG -
Gentile Direttore,su
Quotidiano Sanità.it del 8/4/2025 viene riportato lo
studio del Global Cardiovascular Risk Consortium pubblicato sul New England Journal of Medicine, sul controllo degli stili di vita e dei fattori di rischio riguardo l’aspettativa di vita. Non fumare, mantenere la pressione arteriosa sotto controllo, avere livelli di colesterolo nella norma, non sviluppare il diabete e conservare un peso corporeo adeguato sono cinque condizioni che, se presenti a 50 anni, possono tradursi in molti anni di vita in più e, soprattutto, vissuti senza malattie cardiovascolari. Secondo lo studio, le donne cinquantenni senza i cinque principali fattori di rischio vivono in media 13,3 anni in più senza malattie cardiovascolari e muoiono 11,8 anni più tardi rispetto a coetanee con tutti i fattori presenti. Negli uomini, la differenza è ancora più marcata: 10,6 anni in più senza malattie e 14,5 anni di vita guadagnati.
Sono poche le cure che garantiscono questi risultati una volta che la malattia si sia instaurata. Per ottenere questi risultati il cittadino non dovrebbe spendere niente o molto poco visto che gli interventi sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Gran parte di questi risultati sono dovuti a un controllo ottimale della pressione arteriosa e dallo smettere di fumare. Il controllo ottimale della pressione arteriosa costa in media al massimo 100-200 euro all’anno per ciascun paziente, totalmente a carico del SSN. Senza fumare ogni fumatore ne risparmia dai 1.000 ai 2.000 all’anno. Senza contare tutti i soldi risparmiati per le cure delle invalidità da stili di vita scorretti e fattori di rischio non controllati. Al contrario, secondo il Report dell’osservatorio Gimbe del 2023, ogni anno 16 miliardi di euro di spesa privata vengono impiegati per prestazioni e cure inutili.
È desolante analizzare i dati della realtà. Preferiamo spendere più soldi per il gioco d’azzardo (169 miliardi, pari al 7% del PIL, nel 2023) che per la salute (128 miliardi, pari al 6.4% del PIL). Rincorriamo il diritto alla salute previsto dalla Costituzione ma dimentichiamo il dovere di mantenerla. Prevenire è meglio che curare rischia di essere un semplice slogan, se consideriamo che 12.4 milioni di italiani sono fumatori e il 7% forti fumatori (> 20 sigarette/die), 3 milioni sono bevitori a rischio e 1 milione gli alcolisti, il 7% degli automobilisti è positivo all’alcol-test, 25 milioni sono in sovrappeso e 6 milioni francamente obesi, 16 milioni sono sedentari e solo 12 milioni assumono almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, mezzo milione usa abitualmente cocaina, 4 milioni fanno uso costante o saltuario di cannabis, 750.000 riferiscono il consumo almeno una volta di eroina-oppiacei, un milione ha una ludopatia di diverso grado di gravità, più di 700.000 sono state le multe per eccesso di velocità e quasi 35.000 le patenti ritirate, più del 20% non utilizza le cinture di sicurezza, quasi il 10% non utilizza il casco, circa il 10% usa sostanze psicoattive mentre guida, l’80% degli infortuni sul lavoro dipende da scarsa consapevolezza e cattiva organizzazione, circa il 20% dei bambini non è vaccinato o incompletamente vaccinato, solo la metà dei 15 milioni di ipertesi, 3.5 milioni di diabetici e 15 milioni di dislipidemici hanno una buona aderenza alla terapia. In pratica solo 3 italiani su 10 hanno stili di vita perfettamente sani. La maggior parte dice di essere consapevole dei propri errori, ma redimersi è difficile. Il solo fumo di sigaretta riduce l’aspettativa di vita in media di dieci anni. A questi dati bisogna aggiungere gli anni di disabilità e di ridotta capacità produttiva che pesano sull’individuo, sulle famiglie e sulla collettività.
La prevenzione è difficile perché bisogna tener conto oltre che del corpo e della mente, anche dell’anima. “Che ne sanno i dottori dei bisogni dell’anima di una persona?” dice Don Pedro Aragon nel film “Il profumo del mosto selvatico”. Al medico e alla scienza si può chiedere di curare il corpo e la mente, non l’anima. Emma Bonino, già da nove anni affetta da tumore polmonare, dopo dieci giorni di ricovero in terapia intensiva per grave insufficienza respiratoria, viene intervistata mentre fuma una sigaretta. Dice subito “Niente prediche”. Le prediche per la salute si possono fare alla mente, non all’anima. Purtroppo, bisogna prendere atto che il controllo degli stili di vita e dei fattori di rischio migliora la salute ma può peggiorare il benessere individuale percepito attuale.
Il benessere è soggettivo, la salute oggettiva. Questa evidenza può essere migliorata da una migliore cultura individuale, da una alfabetizzazione elementare scientifica, da un miglior senso di appartenenza sociale. Per migliorare la salute futura bisogna accettare un possibile transitorio peggioramento della sensazione di benessere legato alla modifica degli stili dita e al trattamento dei fattori di rischio. Il paziente ha la grande opportunità e responsabilità di poter scegliere il proprio progetto di salute e la propria probabilità di rischio. Pensare a incentivi e disincentivi fiscali sugli stili di vita potrebbe essere una soluzione per migliorare la sostenibilità del sistema, ma è difficile da mettere in pratica. È vero che la malattia, qualunque sia la causa, ha bisogno di solidarietà sociale ma bisognerebbe anche stabilire dove finisce il diritto dell’individuo e dove inizia l’interesse della collettività, e viceversa. Anche il Vangelo dice “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma non più di te stesso.
La malattia non è certamente una colpa ma non deve essere nemmeno una aspirazione. Una passione quasi erotica per stili di vita sbagliati, prestazioni inutili e cure futili può rendere insostenibile un Servizio Sanitario Nazionale che ha bisogno della responsabilità di tutti.
Franco CosmiMedico Cardiologo Perugia
05 maggio 2025
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