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Il fiscal drag e le tasse dei medici dipendenti del Ssn

di Sandro Venanzi

17 GIU - Gentile Direttore,
il problema dell’eccesso di tassazione delle retribuzioni dei medici dipendenti del SSN esposto su Quotidiano Sanità dal Dr. Manlio Protano merita di essere ripreso alla luce dell’attuale dibattito pubblico sulla tassazione dei ceti medi che consegue ai più recenti dati sull’andamento e distribuzione del carico di imposizione diretta nel nostro paese. Fino a qualche anno fa il carico dell’imposizione diretta era in maniera evidente appannaggio prevalente di lavoratori dipendenti e pensionati.

Ora però le statistiche ci dicono che è in atto una forte polarizzazione del carico fiscale sui redditi medio-alti delle stesse categorie con una minoranza di contribuenti che fa fronte alla maggior parte dell’introito complessivo. Sta ora emergendo nel dibattito pubblico la presenza di un meccanismo ignorato per lungo tempo che, unito a politiche di riequilibrio fiscale che lo ignorano, agisce come fattore fondamentale nel generare la concentrazione del carico fiscale sui redditi medio-alti.

Il meccanismo è quello del fiscal drag. In sintesi nei sistemi fiscali ad imposizione progressiva come il nostro si produce un incremento del livello di imposizione fiscale alla semplice crescita nominale dei redditi che si verifica in particolare nei periodi di inflazione elevata. Al reddito incrementale che compensa l’aumento del costo della vita si applica il livello più alto di tassazione (aliquota marginale) e la tassazione media viene incrementata a parità di remunerazioni reali. Le statistiche più recenti ci dicono che l’IRPEF negli ultimi 4 anni è aumentata di circa 37 miliardi e il recente rapporto 2025 dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio che dedica una sezione agli effetti del fiscal drag stima che tale meccanismo abbia inciso per 21 dei 37 miliardi di crescita dell’IRPEF nel quadriennio.

Esiste quindi un meccanismo automatico che senza intervento legislativo consente allo stato di ricevere dai cittadini un maggior esborso fiscale anche se i loro redditi reali sono immutati. Per sterilizzare questo meccanismo di improprio incremento del livello di tassazione lo stato dovrebbe intervenire ad innalzare periodicamente i limiti degli scaglioni di imposizione IRPEF in proporzione al tasso inflattivo. Un tale tipo di aggiustamento è stato costantemente ignorato e i vari governi di diverso orientamento politico che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno utilizzato il fiscal drag con provvedimenti di aggiustamento di aliquote e scaglioni propagandandole come riduzione delle tasse quando si trattava di parziale restituzione del maggior introito legato all’inflazione.

Inoltre per compensare la scarsa crescita delle retribuzioni lorde nelle categorie a reddito medio basso gli alleggerimenti di aliquote si sono concentrati sui redditi medio bassi aumentando la progressività nella fascia intermedia delle retribuzioni.

Il concentrarsi della pressione fiscale su una platea sempre più stretta di contribuenti espone il sistema al rischio di insostenibilità nel lungo periodo. Lo stesso articolo della Costituzione che stabilisce che il sistema tributario è informato a criteri di progressività afferma anche, nella parte iniziale, che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. I redditi più bassi andrebbero sostenuti prevalentemente con remunerazioni più adeguate in modo da consentire a tutti di contribuire alla spesa pubblica e rendere più solide e diffuse le fonti del suo finanziamento.

I medici dipendenti del SSN hanno una retribuzione annuale iniziale per un imponibile Irpef superiore a 50000 euro, quindi nella loro totalità sono sottoposti alla aliquota marginale del 43% cui va aggiunto un 3-4% complessivo di imposizione regionale e comunale (per le quali è sempre più diffusa l’applicazione dell’aliquota massima consentita). Ogni compenso aggiuntivo per prestazioni straordinarie, attività usuranti, retribuzione di risultato viene quindi sottoposta ad un prelievo fiscale del 46-47% dopo essere stato ridotto di più del 10% di contributi vari. Alla stessa imposizione sono sottoposti gli aumenti da rinnovi contrattuali. Gli stanziamenti governativi disposti per i rinnovi contrattuali tenendo conto anche degli oneri riflessi che ridimensionano tali finanziamenti all’origine di circa un 30% ritornano per oltre il 70% nelle casse dello stato lasciando le briciole nelle tasche dei professionisti.

I rinnovi contrattuali dal punto di vista economico risultano ormai di un certo interesse per l’erogazione dei cospicui arretrati che si accumulano per gli enormi ritardi della loro stipula piuttosto che per gli impercettibili incrementi netti mensili che producono. Allo stato attuale il modo migliore per i medici dipendenti di avere compensi netti adeguati è quello di ottenere imposizioni fiscali agevolate su alcune voci stipendiali. L’introduzione nella legge 107 del 2024 per le liste di attesa di una imposta sostitutiva del 15% sugli introiti per prestazioni aggiuntive consente ad un medico che presti 3-4 ore settimanali in tale regime per circa 15 ore al mese di poter contare su oltre 400 euro netti in più rispetto all’eventuale applicazione della tassazione ordinaria, un incremento corrispondente al livello complessivo degli incrementi mensili netti di 3 tornate contrattuali considerando le 2 già concluse e quanto si può ipotizzare per il triennio 22-24 ancora in alto mare. Analogamente l’eventuale applicazione della tassazione del 15% alla indennità di specificità medica, che sembrava quasi conseguibile nell’ultima manovra finanziaria, porterebbe un benefico mensile netto di oltre 200 euro, cioè circa lo stesso beneficio economico netto prodotto dagli ultimi due CCNL siglati.

Tornando all’attuale dibattito politico sul tema più generale della tassazione dei redditi medio-alti, i sempre più frequenti interventi ufficiali che ne evidenziano le pesanti penalizzazioni hanno riportato in auge l’ipotesi (peraltro ormai da troppo tempo rinviata per mancanza di coperture) di un intervento di alleggerimento dell’aliquota nella fascia 28000-50000 euro dal 35% al 33% con una riduzione massima di 440 euro annui (34 euro a mensilità) per redditi di 50000 euro che dovrebbe estendersi ai redditi superiori.

L’ipotesi più generosa di estendere il limite superiore di tale fascia a 60000 euro porterebbe un alleggerimento di altri 1000 euro l’anno per imponibili da 60000 euro in su. Un alleggerimento del carico fiscale complessivo superiore a 100 euro al mese potrebbe sembrare una generosa elargizione del governo ma in realtà si tratterebbe sempre di una parziale restituzione dell’aggravio fiscale prodotto dal fiscal drag negli ultimi anni caratterizzati da alta inflazione.

Dr. Sandro Venanzi
Ex Direttore Struttura complessa USL Umbria 2 attualmente in pensione
Membro Segreteria Aziendale Anaao-Assomed USL Umbria 2

17 giugno 2025
© Riproduzione riservata

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