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Cosa stiamo curando?

di Enzo Bozza
20 DIC - Gentile Direttore,
due episodi della mia vita professionale che identificano un aspetto poco frequentato ma non certo marginale. Turno di guardia medica domenicale a Ginosa, il mio paese di origine in provincia di Taranto. Anno 1989, estate, ore 11. Lasciavo la mia macchina in centro e proseguivo a piedi tra le viuzze del borgo antico del paese, destinazione: via Belledonne al civico 24. Una donna colta da malore. Non mi era mai capitato prima di percorrere le vie secondarie del mio paese da medico. Lo facevo da bambino, con il mio pallone alla ricerca dei miei amici, per giocare. Ma quella volta, le percorrevo con la mia borsa da medico, venti anni dopo.

Notai un fatto per me inconsueto, procedendo per le stradine e salutando le persone che incontravo e conoscevo dall’infanzia, mi rispondevano con cortesia e deferenza. Per rispetto verso la figura professionale, ma soprattutto, perché non riconoscevano quel bambino di tanti anni prima che ora portava la barba e una borsa da medico e non più il pallone. Ancora più strano il gesto di fare il segno della croce, non appena passavo oltre. Gesto che coglievo con la coda dell’occhio. Il significato me lo spiegò mia nonna: figlio mio, quando si incontra un medico per strada vuol dire che in qualche casa c’è una disgrazia. Abbiamo avuto tante miserie, e tra queste, anche tante malattie che hanno decimato il paese.

Secondo episodio: chiacchierata, qualche anno fa, con vecchi colleghi ex medici condotti. Mi raccontavano dei loro oltre duemila assistiti, lavoro per sette giorni a settimana, ventiquattro ore al giorno. Dieci-quindici visite al giorno in ambulatorio e una decina di visite domiciliari a settimana. Nessun computer, nessun certificato, ricette come unica comunicazione tra medico e farmacista. Tanta piccola chirurgia, e odontoiatria, qualche parto a domicilio e visite dei bambini a scuola. Dopo il mio resoconto, con i numeri del mio ambulatorio, i due vecchi medici scuotevano la testa commentando: ma voi siete pazzi. Come si fa a vedere settanta persone al giorno e dedicare dodici ore di cui almeno quattro al computer? E poi, cinque domiciliari al giorno, ma che, siete in guerra?

L’aspetto da rimarcare è quello della ipermedicalizzazione dei nostri tempi, rispetto al passato. Sarà pur vero che la Scienza Medica è molto più complessa e ricca di risorse e richiede sicuramente una dedizione tecnologica maggiore rispetto al passato, ma è altrettanto vero che ripassando gli atti della mia giornata lavorativa in ambulatorio e fuori, gli atti veramente medici e necessari saranno non più di tre-quattro nella giornata. Il resto è volume inutile, per il quale giustamente il medico condotto scuote la testa inneggiando alla pazzia.

E’ sicuramente vero che siamo rimasti in pochi a cercare di arginare l’ondata di prestazioni richieste. Ma non è altrettanto vero che stiamo facendo tanta medicina inutile, faticosa, dispendiosa e di facciata? Non è altrettanto vero che dovremmo restituire al mittente tutto quel tempo che ci viene richiesto per una modulistica imbecille che niente ha a che fare con la nostra vera professione? In realtà, cosa stiamo curando?

Enzo Bozza
Medico di base a Vodo e Borca di Cadore (BL)

20 dicembre 2022
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