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Coronavirus. Fase 2, sindacati chiedono un tavolo con la Ulss 6 Euganea

La richiesta di confronto in vista della ripresa dell’attività assistenziale che era stata ridotta o sospesa durante la prima fase di emergenza Covid. Chieste garanzie sulle misure di sicurezza e Dpi. La Cgil evidenzia la necessità di una pausa tra una visita e l’altra per avere il tempo di areare i locali. E se la Cimo Padova sollecita l'avvio in tempi brevi della contrattazione integrativa decentrata, l’Anaao evidenzia come “certe inerzie amministrative cominciano oramai a vessare i dirigenti medici e sanitari”

di Endrius Salvalaggio
05 MAG - Con l’inizio della “fase due” negli ospedali si riprenderanno le attività fino ad ora ridotte o sospese. I rappresentati sindacali della dirigenza medica, proprio in vista dell’apertura di tutte le prestazioni (ambulatoriali e programmate), stanno chiedendo da giorni un tavolo di confronto con la Ulss 6 Euganea.

“Stiamo entrando nella fase due e quello che chiediamo, è che ci sia massima allerta. Fino ad ora l’attività ordinaria è stata sospesa o ridotta al minimo, ma d’ora in avanti con l’apertura delle attività ambulatoriali e delle attività programmate, che dovranno far fronte all’arretrato oltre all’ordinario – fanno sapere Alessandra Stivali della FP CGIL e Giovanni Migliorini e Giovanni Campolieti della FP CGIL Medici – chiediamo che siano applicate in modo rigoroso tutte le norme sulla sicurezza e che le prestazioni specialistiche vengano fatte non ogni dieci minuti, ma ogni quaranta minuti per dare la possibilità di areare i locali, che vengano forniti i dati numerici e logistici sulla disponibilità e collocazione dei DPI, in coordinamento con gli RLS Aziendali”.

I sindacati chiedono altresì un impegno maggiore dalla regia. Mancano, alle porte della fase due, risposte sul quantum del personale contagiato, il consumo giornaliero dei DPI, il personale medico in quarantena o tutta quella parte relativa al nuovo contratto non ancora interamente discusso.

“Prima di tutto va ribadito che non si può più procrastinare il confronto locale - denuncia Mirko Schipilliti, Segretario Aziendale AULSS 6 Euganea e Coordinatore provinciale Anaao Assomed Padova - previsto dal nuovo contratto in vigore dal 20 dicembre scorso. Non è stata ancora fornita la rendicontazione delle quote dei fondi contrattuali scorporate col trasferimento dell'Ospedale Sant'Antonio e ciò non rende possibile la contrattazione sui fondi nemmeno nell'Azienda Ospedale – Università, che in base all'accordo quadro tra le due aziende doveva essere completata entro il 31 marzo. Certe inerzie amministrative cominciano oramai a vessare i dirigenti medici e sanitari, come la maggiore retribuzione dei turni notturni e festivi prevista dal nuovo contratto è ancora in parte inapplicata, i ritardi nel pagamento dell’attività libero-professionale, le certificazioni INAIL non pagate dal 2017, i ritardi consolidati nel pagamento della retribuzione di risultato che andrebbe erogata entro giugno, numeri di turni notturni per medico superiori ai limiti previsti dal contratto, ad esempio nei Pronto Soccorsi”.

"I lavoratori – continua Schipilliti - non hanno pregiudizi così come non pretendono incoraggiamenti di rito con lettere di encomio, ma efficienza ed efficacia su tutele e garanzie contrattuali giuridicamente previste. Non possiamo nemmeno permettere che l'emergenza possa favorire rigidità di tipo autoritario né ipocrisie, anzi deve consentire la condivisione massima di ogni difficoltà per il loro superamento con ogni forma di accoglienza, e senza manifestare reazioni risentite verso le preoccupazioni dei lavoratori, che continuano tutti a operare in uno scenario dal rischio biologico e dal disagio e stress lavorativo comunque aumentati, persino fra congedi ordinari bloccati dai DPCM”.

Se l’inizio della pandemia ha colto tutti impreparati, con la nuova fase che in questi giorni andremo ad affrontare, quello che chiedono i medici è che le rispettive Aziende dovranno lavorare, su un modello organizzativo in coordinamento con i rappresentanti sindacali.

“Lo dimostrano le migliaia di operatori sanitari contagiati in tutta Italia. La discussione maggiore che dovremo riuscire ad affrontare con l’Azienda Ospedaliera riguarda la protezione delle vie respiratorie con i DPI. Basta la mascherina chirurgica? Oppure è necessario invece il filtrante facciale FFP2? – si chiede Benito Ferraro, coordinatore provinciale Padova Cimo Veneto - Le mascherine chirurgiche sono sempre state classificate come dispositivi medici fino all'entrata in vigore del DL n. 18 del 17/3/20”. Tuttavia le prove sperimentali hanno ampiamente documentato e confermato che sia la capacità filtrante sia la tenuta alla penetrazione lungo i bordi, sono di gran lunga maggiori negli FFP2. Anche se il filtrante facciale ha un costo maggiore nella valutazione complessiva, bisogna tener conto della gravità della patologia da prevenire”.

“La ripresa delle attività – prosegue Ferraro - non potrà prescindere prima di tutto dalla dotazione adeguata di DPI. In particolare le mascherine FFP2/FFP3 dovranno essere immediatamente disponibili per tutti i casi di positivi confermati, probabili o sospetti COVID-19. Dopo questo chiediamo l’avvio della contrattazione integrativa decentrata, con particolare riguardo all'applicazione dell'articolo 6 del nuovo CCNL con la nomina dei componenti dell'organismo paritetico che, tra le altre cose, si dovrà occupare di sicurezza sul lavoro e di riduzione del rischio clinico (legge 24/2017)”. Alle porte, seppur in maniera graduale, di una riapertura generalizzata sia degli ospedali ma anche del mondo del lavoro, con il Coronavirus che ancora oggi circola, negli ambienti sanitari permane l’incertezza e la paura di essere ancora contagiati”.
 
 Endrius Salvalaggio

05 maggio 2020
© Riproduzione riservata

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