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Venerdì 17 FEBBRAIO 2017
Epatite C. Ultimatum a Gilead, Aifa: “Non pagheremo più di 4mila euro a trattamento. Altrimenti produrremo da soli il farmaco”

In vista dell’avvio delle trattative per il rinnovo della fornitura di Sovaldi e Harvoni, l’Agenzia del farmaco annuncia un cambio netto di strategia per ottenere un prezzo “finalmente equo”. Minacciando, in caso di mancato accordo, di dare mandato allo stabilimento farmaceutico militare di Firenze per la produzione in proprio dei farmaci grazie al ricorso alla clausola dell’emergenza nazionale per motivi di salute pubblica che consentirebbe di bypassare la copertura brevettuale.

Martedì prossimo inizieranno le trattative per il rinnovo delle forniture di Sovaldi e Harvoni, i due farmaci best seller di Gilead, gli unici (ma ancora per poco perché si attende a breve un concorrente anch’esso pangenotipico) ad essere indicati per tutti i genotipi dell’epatite C e quindi ovvia scelta preferenziale per gli acquisti del Ssn.
 
Ma stavolta Aifa non è più disposta a sborsare cifre da capogiro (anche se sempre più basse di quelle pagate da altri Paesi europei) e, con un’intervista rilasciata a Paolo Russo de La Stampa dal Dg Mario Melazzini, mette le mani avanti chiarendo subito che i termini delle trattative sono cambiati.
 
La base di partenza della trattativa per Aifa sarà infatti un costo per terapia di 4mila euro, prezzo dell’ultimo scaglione della fornitura precedente, pattuito in un quadro che ha visto i primi farmaci pagati a oltre 40.000 euro e il prezzo medio intorno ai 14mila euro.
 
Ma ora i prodotti offerti dal mercato sono numerosi e lo scenario è cambiato anche a livello internazionale. “Di più non pagheremo”, ci confermano questa mattina all’Aifa, cui abbiamo chiesto più dettagli su quanto potrebbe accadere con questa trattativa che si prospetta molto dura ma anche “epica”. Perché i suoi esiti potrebbero determinare una svolta nei rapporti tra il nostro Ssn e le aziende, con effetti a cascata che potrebbero riguardare anche altri Paesi europei.
 
Spiegano all’Aifa: “Pensate che se l’Italia non riuscirà ad ottenere un prezzo finalmente equo e dovesse cambiare la strategia per questi salvavita non ci seguiranno anche Paesi europei come la Germania, ad esempio? Che fino ad oggi hanno guardato con meno attenzione al problema anche perché, per fortuna loro, hanno molti meno malati di noi?”.
 
“Nei rapporti con le aziende”, dicono ancora all’Aifa “su un farmaco salvavita deve cominciare a prevalere il senso etico e il valore finale del farmaco è investito dal fatto di essere un bene universale. Chi lo ha inventato non può guardare solo logica economica, soprattutto se gli investimenti gli sono già tornati indietro e il guadagno è stato enorme”.
 
Un approccio, dicono ancora all’Aifa, “che fortunatamente è già oggi patrimonio di moltissime aziende, che iniziano a capire che un farmaco non è un bene di consumo ma una cosa che incide sull’esistenza delle persone”. Ma non sembra esserlo per almeno in queste circostanze, di Gilead.
 
In effetti questa azienda era già entrata nel mirino del Senato degli Stati Uniti nel dicembre 2015 e accusata “di aver anteposto la massimizzazione dei ricavi alla salute delle persone”. E questo avveniva negli Usa, non in uno stato parasocialista.
 
Ma la vera notizia che Melazzini ha dato ieri a La Stampa e che oggi l’Aifa ci conferma è che, in caso di trattative inconcludenti, l’Agenzia è pronta a suggerire al Governo il ricorso alla clausola dell’emergenza nazionale per motivi di salute pubblica che consentirebbe di bypassare la copertura brevettuale e produrre da soli, presso lo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze, i farmaci necessari a contrastare l’emergenza di salute pubblica.
 
Una via, del resto, che l’ex Sottosegretario alla Salute Vito De Filipponell’ottobre scorso, rispondendo a un’interrogazione alla Camera, aveva detto essere “da non escludere e sulla quale il Governo sta facendo le sue valutazioni”.
 
Anche perché è stata la stessa ministra della Salute Lorenzin a tuonare recentemente contro il prezzo dei farmaci per l’epatite C definendoli “inaccettabili” e definendo “intollerabile che un Governo si faccia dettare l'agenda da chi non è a contatto con i pazienti quotidianamente”.
 
E quindi se Gilead non accetterà di far scendere il prezzo, l’Italia potrebbe essere il primo Paese del G7 a prodursi in proprio i farmaci anti epatite C. Una vera rivoluzione che potrebbe davvero aprire le porte a una nuova stagione di rapporti e contrattazione tra aziende del farmaco e autorità sanitarie in nome del bene supremo della salute pubblica.

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