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Martedì 12 DICEMBRE 2017
Assemblea isitituti di cura religiosi. Don Angelelli (Cei): “La salute non può essere profit. Preservare gli ospedali cattolici da aziendalismo”

Così il nuovo Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Cei è intervenuto all'Assemblea Generale dell’Aris svoltasi recentemente a Roma. "Solo l’unione profonda dello spirito caritatevole agli strumenti aziendali può portare a risultati concreti, in grado di rispettare sempre la dignità e la centralità del malato”. Presenti anche Gelli che ha presentato il suo libro sulle 10 sfide per il diritto alla salute, ed il segretario generale del Garante per la Privacy, Busia.

“Una presenza che diventa testimonianza, concreta e tangibile”. E’ questo il ruolo delle istituzioni della Chiesa che operano in sanità, disegnato da Don Massimo Angelelli, il nuovo Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Cei, durante il suo interventi inaugurale per l'Assemblea Generale dell’Aris svoltasi recentemente a Roma. 
 
"Una presenza - ha aggiunto - che diventa testimonianza, concreta e tangibile. Perché non basta esserci, bisogna testimoniare una partecipazione che non deve diventare mai pietra di inciampo. Dobbiamo conservare quello stile evangelico che ci permette di operare nella trasparenza, nell’efficienza e nell’efficacia per prenderci realmente cura di coloro che sono nella sofferenza e che a noi si affidano”.
 
Riprendendo il messaggio di Papa Francesco per la XXVI Giornata Mondiale del Malato 2018, in programma il prossimo 11 febbraio, il religioso ha ribadito la necessità di continuare ad operare con “rinnovato vigore”, come invita il Papa, perché è peculiarità delle opere di vita religiosa, come quelle a cui fanno capo le strutture sanitarie aderenti all’Aris, essere capaci di ricominciare sempre. Rispondere con rinnovato entusiasmo e riconfermata passione al bisogno di mettere la persona al centro di un processo terapeutico e di un’organizzazione sanitaria che non vuole nutrirsi di efficientismo, ma, riprendendo papa Francesco, “curando anche quando non si è in grado di guarire”, modulando su questo concetto basilare il nostro modo di curare. “Questo – ha sottolineato ancora – deve diventare il nostro modo di prendersi cura del malato, un modo discriminante nei confronti del metodo adottato nel pubblico. Un nostro contributo originale che si avvale di un concetto più ampio di salute, che tenga conto anche di chi appare “ferito dalla vita”, aprendosi ad uno sguardo di integralità nei confronti della persona, sguardo ricco di tenerezza e compassione, di accoglienza nei confronti del sofferente che è prima di tutto persona e figlio di Dio”.

Appare necessario guardare al passato, al carisma fondazionale delle congregazioni a cui afferiscono le strutture sanitarie della Chiesa, ma questo deve rappresentare un bagaglio ricco che permetta la realizzazione del presente, con uno sguardo sempre aperto al futuro. 

“Il nostro impegno – ha chiarito Angelelli – deve scongiurarci dal pericolo, come dice Papa Francesco, 'di far entrare la cura della salute nell’ambito del mercato', dobbiamo preservare gli ospedali cattolici dal rischio di aziendalismo. Non dobbiamo proporre modelli efficientistici, considerando però che esistono degli strumenti organizzativi che consentono di operare con trasparenza, appropriatezza e professionalità”.
 
La salute delle persone non può essere profit – ha ribadito – ma bisogna anche non scadere in una malagestione dettata dalla superficialità. E’ necessario, come ci suggerisce il Santo Padre, unire all’intelligenza organizzativa la carità. Solo l’unione profonda dello spirito caritatevole agli strumenti aziendali può portare a risultati concreti, in grado di rispettare sempre la dignità e la centralità del malato”.

Una sanità quindi che pone ancora molte sfide da affrontare perché il diritto alla salute possa concretizzarsi in modo appropriato, aspetti ancora da sviluppare per poter far sì che la sanità sia come dovrebbe essere, senza ammantarsi di una sfiducia che nei cittadini assume sempre di più i contorni della cronicità.

Di queste sfide si è occupato Federico Gelli, medico e politico, che ha scelto l’occasione dell’Assemblea Generale d’autunno dell’Aris per presentare il suo nuovo libro: “Curare tutti. 10 sfide per il diritto alla salute”.

Partendo da un’analisi dettagliata del mondo sanitario italiano, nel quale opera da diversi anni da entrambe le parti della barricata, Gelli ha evidenziato come il rapporto medico-paziente, imprescindibile alleanza terapeutica, sia fortemente in crisi per motivi che vanno dall’esigere un diritto non esigibile, che è quello della certezza della guarigione, diritto che nessun medico è in grado di assicurare, al ricorso al motore di ricerca di Google per ottenere informazioni, non sempre corrette e appropriate, sui diversi disturbi di salute, al problema della responsabilità professionale, ambito in cui una certa giurisprudenza non sempre ha portato chiarezza, anzi troppo spesso contrasti.

“In particolare – ha spiegato Gelli – si è diffusa la tendenza a spostare il rapporto medico-paziente verso le aule dei tribunali. Si è instaurata la tendenza, da parte dei pazienti, a chiamare in causa il medico per danni subiti, ponendo sullo spesso piano la responsabilità del sanitario e quella della struttura nella quale si sarebbe verificato il danno. Con conseguente aumento esponenziale delle azioni legali contro i medici”.

Queste problematiche hanno sensibilmente minato il rapporto tra il malato e il proprio medico, tanto che la sfiducia serpeggia in modo sempre più consistente, e sempre meno italiani si affidano con serenità nelle mani dei sanitari.
“Altra sfida è quella dell’edilizia sanitaria – ha continuato l’onorevole Gelli – Oltre 500 nostri ospedali sono a rischio sismico. Da molti anni infatti non vengono più stanziate risorse in tal senso, nonostante si sappia bene come le strutture sanitarie necessitino di continua innovazione per poter rispondere al meglio alle esigenze dei pazienti. Le strutture costruite 50 anni fa, ad esempio, non risultano più idonee e conformi ai parametri attuali”.

“Per risolvere questo tipo di problematiche – ha sottolineato – occorrono risorse. Sappiamo bene quanto sia difficile riuscire a reperirle, la mia proposta è quella di utilizzare le strutture sanitarie ormai dismesse, distribuite sul territorio nazionale, e affidarle alla Cassa depositi e prestiti. Si tratta di valorizzare queste strutture non più in uso, affidandole a dei privati, in modo che diventino volano per investimenti riutilizzabili in ambito sanitario, in modo particolare nell’edilizia, sia a livello pubblico che per strutture convenzionate”.

“In ultimo – conclude – vorrei fare un cenno sul rapporto tra pubblico e privato. Spesso dimentichiamo che il 40% delle prestazioni sanitarie vengono erogate dal privato convenzionato. In questo ambito risulta opportuno considerare con maggiore attenzione il privato non profit, la cui valorizzazione deve trovare strade nuove a livello istituzionale, coscienti che la missione del non profit non è legata al profitto, quindi non percorre strade come quelle del profit, dirette in modo più sensibile al business economico”.

Di grande attualità l’intervento dell’avvocato Giuseppe Busia, segretario generale del Garante per la Privacy. Nel maggio del prossimo anno, come è noto, entrerà in vigore la nuova normativa europea proprio sulla questione della protezione dei dati acquisiti sulla persona malata, la cui trasgressione comporterà tra l’altro multe salatissime. Busia ha spiegato l’iter seguito nella formulazione della normativa, soffermandosi sulla delicatezza dell’intera materia. Il trattamento dei dati personali, ha messo in guardia Busia, è “fortemente influenzato dalle possibilità offerte della tecnologia e se è vero che la sua evoluzione offre continuamente nuove opportunità, è altrettanto vero che amplifica anche l’impatto potenziale sui diritti dell’interessato”.
 
E per far meglio comprendere il senso della legge ha fatto riferimento a quel principio “che proprio voi, istituzioni religiose – ha detto – mettete al centro della vostra missione: la centralità dell’uomo in ogni processo che lo riguardi, tanto più se in gioco è la sua salute. Oltre alla cura alle persone voi avete molto a cuore di provvedere all’essere, di tutelarlo da ogni punto di vista, dunque anche nel rispetto del suo diritto alla privacy”.

Il sistema organizzativo moderno delle strutture sanitarie, ha notato Busia, porta con sè la “datizzazione” dell’esistenza umana, la trasformazione cioè di ogni aspetto della nostra vita quotidiana in dati e informazioni che consentono non solo di avere a disposizione enormi quantità di informazioni dettagliate e costantemente aggiornate su quasi ogni aspetto della vita delle persone ma anche di provare a “indovinarne” i comportamenti, le scelte e le decisioni future, anche grazie all’uso dell’intelligenza artificiale. Ed ha fatto il caso di quello che avviene nell’ormai arcinoto “Studio del dottor Google” dove generalmente finiscono dati e informazioni su percorsi di malattie, con tanto di sintomi, diagnosi e cure. E non è vero che l’anonimato lascia sicuri di rimanere nell’ombra la tecnologia avanzata è in grado di fare sempre raffronti e accoppiamenti di informazione che alla fine portano alla definizione logaritmica del soggetto in questione.
 
“Naturalmente – ha commentato l’oratore - questo processo può portare una infinità di danni sia alla persona interessata, sia a chi intende seguirne autonomamente il percorso”. Senza poi considerare il pericolo costituito “da quanti operano dietro alla macchina tecnologica per carpire informazioni necessarie ad accattivarsi nuovi clienti”. E’ anche vero che a volte conoscere dettagliatamente una malattia con le varie sfaccettature della casistica, può essere d’aiuto anche per studiosi e ricercatori. Ma va sempre considerato il fatto che “sopra ogni altro interesse deve essere protetto e garantito quello dell’uomo malato”.

L’innovazione guidata dai dati porta dunque con se enormi vantaggi, spesso molto ben pubblicizzati, ma comporta inevitabilmente anche un considerevole aumento dei rischi connessi alla sicurezza e alla protezione dei dati che spesso invece rimangono in ombra.

Da queste motivazioni, ha spiegato Bosio tirando le conclusioni del suo intervento, è nata la Legge Europea sulla privacy centrata su alcuni punti fondamentali: l’obiettivo protezione dei dati comunque assunti, con la responsabilità di custodirne la riservatezza assoluta; il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione informativa da parte del malato che, mosso da finalità antropologiche, decide di diffondere dati significativi sul suo percorso ospedaliero per consentire che altri ne facciano tesoro, la richiesta di una maggiore responsabilizzazione da parte delle strutture sanitarie nel difendere la privacy del malato ricoverato. 

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