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Giovedì 14 GIUGNO 2012
La crisi della sanità sta tutta nella perdita dei diritti, di cittadini e operatori

La cosa che mi impressiona non è quanto spendiamo poco per la sanità, come sottolineava ieri il Ceis, ma quanta gente stiamo mettendo in croce per spendere poco, operatori compresi. Per questo la prima urgenza è disinnescare le tante catastrofi che stanno cancellando l’art. 32 della Costituzione

Le Regioni, da tempo, dicono che se non avranno i soldi che servono crollerà il Sistema Sanitario. Il CEIS nel suo VIII rapporto dà loro ragione e addirittura sostiene che la spending review  non serve farla perché è già stata fatta. Mi colpisce il silenzio verso il dramma sociale che si nasconde dietro i numeri e che vede da una parte milioni di cittadini che si dichiarano sempre più scontenti e insoddisfatti dell’assistenza che ricevono, e dall’altra milioni di persone ormai senza diritti. Cioè buttati via dall’art. 32 della Costituzione.

Se la spesa sanitaria pubblica è inferiore e cresce meno rispetto ad altri paese d’Europa questo è dovuto non tanto alla parsimonia degli amministratori ma all’insistente definanziamento del diritto, e quindi ai crescenti processi di privatizzazione in corso. Se togliamo i diritti alle persone è evidente che prima o poi la spesa cala. Senza il diritto subentra il reddito, e se in recessione il reddito non c’è subentra l’abbandono, e l’abbandono è sempre un dramma sociale.
Quando fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale ben quattro milioni di cittadini erano senza alcuna copertura. Oggi i senza diritti, dopo 30 anni di politiche per i diritti, sono più del doppio.
 
Vorrei chiedere al CEIS: ma tutti questi milioni di cittadini ormai senza diritti li diamo per persi? O facciamo in modo di riammetterli nell’art. 32? Sullo scontento dei cittadini facciamo finta di niente e tiriamo a campare, rifinanziando semplicemente i servizi che ci sono, oppure cambiamo qualcosa?
Non crede il CEIS che il problema vero non sia tanto quello di finanziare uno status quo quanto quello di finanziare il suo cambiamento?
La cosa che mi impressiona non è quanto spendiamo poco, ma quanta gente stiamo mettendo in croce per spendere poco, operatori compresi.
Lo dico con convinzione: la vera catastrofe della sanità oggi è la progressiva perdita dell’art. 32.
Spandonaro, da bravo matematico, conoscerà senz’altro la “teoria delle catastrofi” di René Thom.
La catastrofe per questo matematico francese è una discontinuità preceduta da tante discontinuità, cioè da tante catastrofi minori, che fra loro interagiscono.
 
Per prevenire la catastrofe dei senza diritti, quindi, non basta dare altri soldi al sistema, perché quello che serve è semmai usare la spesa per avviare cambiamenti capaci di disinnescare le tante catastrofi che stanno cancellando l’art. 32 della Costituzione.
Queste catastrofi in parte provengono dalle “cose fatte” (aziende sbagliate, governance squilibrate, modelli di finanziamento e di programmazione inadeguati, finte riorganizzazioni, vecchi modelli di servizi, ecc.), in parte provengono dalle “cose non fatte” che sono le più numerose, cioè dai “non cambiamenti” ( la non riforma degli studi di medicina, del lavoro, della cooperazione fra professioni, delle organizzazioni tayloristiche, delle forme di retribuzione, della partecipazione dei cittadini, ecc.).
 
Le “non riforme” sono la prima fonte di antieconomicità.
Certo abbiamo in qualche caso amministrato meglio, gestito di più, chiuso degli ospedali, ma ammettiamolo…accidenti,  quanti “non cambiamenti” ci sono dietro i problemi della spesa sanitaria! Ormai siamo alla resa dei conti. Che si fa?
Se vogliamo evitare il peggio bisogna tirare fuori una strategia che intervenga sulle principali “catastrofi” del Sistema Sanitario. Altrimenti addio ai diritti.
Chiedere risorse per mantenere sostanzialmente  le cose come sono non mi convince. Suggerirei intanto di smetterla di fare fallimentari patti per la salute. La questione del finanziamento non può essere sganciata né dai diritti né dagli scontenti sociali, e men che mai dalle innegabili necessità  di cambiamento.
 
Non si può liquidare l’art. 32 della Costituzione. Chi ha perso i diritti va reintegrato nei diritti, e per fare questo certamente servono soldi, ma soprattutto un pensiero riformatore che reinventi il modo di spenderli.
Proporrei quindi di allargare il tavolo Governo/Regioni chiamando gli operatori e i cittadini a dare una mano. Accetterei il consiglio di Thom e definirei una “strategia anticatastrofica”.
Il Governo dica  le sue esigenze finanziarie, ma si renda disponibile a negoziare regione per regione una soglia finanziaria ragionevole, in cambio di cambiamenti certi e verificabili all’insegna di una convinta lotta all’antieconomicità, e rispetti integralmente l’art. 32.
Se le regioni non vogliono subire l’umiliazione della spending review  contrattino loro il cambiamento che serve e diano al Governo e ai cittadini garanzie certe e la catastrofe che si paventa sarà evitata.
 
Ivan Cavicchi
 

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