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Mercoledì 19 GENNAIO 2022
Rinnovo contratto sanità. Quanta confusione e tempo perso



Gentile Direttore,
la rappresentazione dello status quo nel merito della trattativa per il rinnovo del CCNL del comparto sanità fornita dal dott. Andreula desta ai non bene informati (privi anche di bozze di ipotesi di rinnovo) più che un livello di aggiuntiva perplessità.
 
Nel merito dell’impianto normativo sciorinato (riforma Madia + snellimento e velocizzazione delle procedure per l’assunzione del personale e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni), comunque perdurandosi una risaputa lunga e stentata storia legislativa per il cambiamento delle regole di un sempiternamente stantìo pubblico impiego, sembra che, malgrado i pure osannati interventi (ad es. per la privatizzazione o il cd. “decreto furbetti”, oppure anche proprio il combinato intervento in materia di dirigenza sanitaria), lasciare comunque il quadro legislativo ad un livello di incertezza ed incompletezza, inserendo in difficili e chilometrici testi modifiche a maggior carattere di formalità più che con valore realmente conformativo, sia ormai un metodo tipicamente Italico ispirato all’adagio «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» …
 
Tanto a premessa, nello specifico merito delle procedure di contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali, va detto che gli intenti (nominali) erano quelli di assegnare un ruolo cruciale nella disciplina di istituti necessari per una gestione moderna ed equilibrata delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, per la prima, e verso un’apertura a modalità gestionali incentrate su un maggiore coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro sindacati (visto che nelle intenzioni la contrattazione integrativa dovesse essere il fulcro dell’intervento riformatore), per la seconda.
 
Quello che però risulta in concreto da tale complicatissima, confusa e farraginosa evoluzione è che coloro cui in ultima analisi dovrebbero essere indirizzati gli effetti di tali interventi normativi – segnali di fumo o più idonei metodi di comunicazione – non riescono a comprendere molto, sia su tali dinamiche (che dovrebbero vederli più protagonisti) sia sui contenuti finali di tali elaborazioni contrattuali, sia – proprio visti i prolissi ma egocentrici comunicati perlopiù indecifrabili – a chi addebitarne le dovute responsabilità.
 
Pertanto non si capisce proprio come si possano attribuire tanto facilmente patenti di “buoni” e “cattivi” … Perché?
 
Perché quanto indicato al livello centrale sia replicabile in sede di una così “funzionalizzata” contrattazione decentrata; cioè che risulta anche in questo caso vincente il pronostico per cui sussiste un contratto già scritto (dalle Aziende) con risicate risorse pubbliche, che tutti definiscono inaccettabile ma che alla fine tutti firmeranno, anche se qualsivoglia cosa di buono ci sia in quel contratto, non sia certamente destinato ai lavoratori, che invece vedono in continuazione peggiorare la loro condizioni.
 
La possibilità di “portare acqua” alle tasche dei lavoratori (comprese l’elevata qualificazione, le progressioni economiche ed il trattamento economico accessorio collegato alla performance) non è compressa da pure oscure norme di legge, ma da chi con un preciso mandato quelle norme deve conoscere, applicare – ma nel caso – anche contestare e non addomesticare.
Questa la vera verità.
 
Tornando alla dirigenza, anche il fatto che in generale non se ne comprenda il ruolo e il profilo, che ancora non ci sia un chiaro riconoscimento di status (ed aggiungerei anche precisi confini delle materie oggetto di prova concorsuale) ripropone un tema anche qui già noto e che, analogamente, resta un nodo che non si vuole sciogliere; già in riferimento del contratto in scadenza poco e nulla si è visto, sia circa la valorizzazione del titolo di laurea magistrale/specialistica in generale, sia nel merito del conferimento di detti incarichi di funzione (ex “posizioni organizzative”); ma basta andare anche solo a verificare che fine abbiano fatto i trattamenti economici tabellari delle funzioni di coordinamento (ancora definita indennità), come anche della dirigenza di primo livello delle professioni sanitarie (per le aziende che l’abbiano implementata correttamente: esistono aziende che pur avendo dirigenti di secondo livello non ne hanno nemmeno uno di primo ... proprio perché c'è anche confusione tra ruoli), il tutto rapportato alla dirigenza medica di primo livello, per capire, al netto dell’ “offertorium”, quanto poco impegno ci sia stato sia da parte dei sindacati che dell’Aran.
 
Ma è nel merito della dimensione “identificativa” dove forse sta l’errore più grande: anche qui non si può sempre convocare né l’arroganza della classe politica né l’inefficienza di impianti normativi (che in questo caso prendono il nome di legge “Lorenzin”), quali imputati di colpe quanto meno a concorso intestino alle medesime professioni.
 
Se ciò che bisogna evitare è l’affermazione egoistica di alcune classi sanitarie, allora proprio gli infermieri in particolare dovrebbero abbandonare sia un preteso ruolo di attori di prima linea del contesto strutturale e funzionale, sia la rivendicazione della c.d. “questione infermieristica” , che sarebbe quanto meno opportuno sostituire, con una “questione delle professioni non mediche”, argomentata allo stesso identico modo.
 
Per riuscire a superare la logica delle prebende della “nobile” professione medica, occorre identificare gli obiettivi, che da tempo sono sempre gli stessi per tutti i non medici: libera professione, equo compenso in relazione agli effettivi anni di studio e superamento del vincolo di esclusività.
 
Questo proposito può vedere certamente gli infermieri in primis, ma soltanto se coralmente seguiti da tutte le altre professioni sanitarie.
 
Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale

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