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Martedì 05 LUGLIO 2016
La pericolosa nostalgia di un medico che non è mai esistito



Gentile Direttore,
ti ringrazio per lo spazio che hai deciso di destinare alla cosiddetta "questione medica" che appassiona, era ora, anche i diretti interessati e potrebbe dare una scossa salutare alla professione. Un elogio speciale a Ivan Cavicchi che la sostiene. Tuttavia è pregiudiziale evitare confusioni per cui occorre, come i cavalli sapienti di Swift, premettere un glossario.
 
Cosa si intende per "medicina amministrata"? Se si intende "medicina amministrata male", da burocrati ottusi e politici incapaci, siamo d'accordo, anche se con meno soldi degli altri otteniamo migliori risultati e questi li dobbiamo ai medici e agli altri attori (autori?) del SSN.
 
Ora i servizi medici sono erogati attraverso percorsi diagnostici terapeutici riabilitativi assistenziali polidisciplinari e pluriprofessionali. Perciò è necessaria una complessa organizzazione affidata a personale competente. Nessun caso si risolve nello studio del medico che si organizza come vuole. Se una donna che avverte un nodulo nel seno o un uomo colpito da una precordialgia devono avere le stesse chances nel più remoto Appennino o nel centro di Milano, occorre una amministrazione ferrea.
 
Allora si intende "amministrata" la medicina che non lascia spazio all'inventiva autonoma del medico? La degenerazione dell'EBM? La professione stessa propone rimedi e basti pensare al movimento della "medicina narrativa"; altresì la medicina non si fonda sull'interpretazione di un caso o sul colpo di genio e le teorie sono sensate se esprimono concetti che la realtà conferma. La scienza (e la medicina) non è democratica e non tutte le opinioni sono uguali; semplicemente vanno dimostrate. Temo allora che qualche indicazione sia necessaria per diminuire la variabilità tra colleghi. 
 
Ivan, con la sua fantasia, richiama il buon Chirone; il Centauro che può "medicare" in quanto egli stesso è ferito e così "scioglie l'enigma del diagramma della febbre". Basta leggere Gadamer e ricordare che l'uomo è misura di se stesso. Non si può non essere d'accordo con la sua tesi: la questione medica esiste e i medici sono a disagio e ciò non giova ai malati.
 
Cominciamo però dal capire quale medicina sia compatibile con la struttura economica e politica della società. Se la gente vuol essere curata secondo uguaglianza dovrà porsi alcuni problemi quali il prezzo dei farmaci o il tempo per la cura. I medici si porranno il problema della validazione della laurea e dei risultati, infine la società deve scegliere se vuole medicina a ogni costo oppure una sapiente scelta delle cure sostituendo l'accanimento con la comprensione. Cosa vuole la società dalla medicina? Partendo dai medici non possiamo risolvere il problema dei medici
 
Il rischio, di fronte alla vastità dei problemi, è di rifugiarsi nel ricordo di un passato che non è mai esistito, come se la medicina degli anni cinquanta del secolo scorso fosse migliore di quella di oggi. Però, nei medici e nella gente, torna la nostalgica rimembranza del vecchio condotto col calesse, del medico amico che si permetteva lunghe visite a casa concluse col bicchierino di rosolio, dell'infermiera devota, del tressette col farmacista.
 
Una sorta di utopia del passato; quando il domani non si annuncia migliore preferiamo fantasticare sopra un ieri rassicurante. Di fronte a un futuro angosciante ci inventiamo un passato migliore. Attenzione a un grave errore, quello di essere scavalcati da vari populismi che pensano di risolvere la questione medica col ritorno a una fantasia del passato mentre incalzano i problemi del presente che è già futuro.
 
Infine l'amico Giustetto espone fatti e Ivan pone il dilemma tra doxa e episteme, correlato con una sorta di "tolleranza" (di che, della variabilità, dell'ignoranza, del conflitto di interesse, del budget ecc.?).
 
Anche in questo caso il glossario è pregiudiziale. L'ontologia è indispensabile (la tassonomia medica) ma la prassi non è nomotetica. Decidiamo allora di usare il lemma doxa nel senso di opinione, non in quello di credenza (Di Bella docet!). L'autore, sostiene Cavicchi, si fa un'opinione ragionata, fondata sull'esperienza, una "quasi certezza" per dirla con Cabanis; e ipotizza una variabilità fisiologica del 10%.
 
Una cifra (e  invito a esaminare i tabulati per ciascun assistito e per  ciascun medico) che sarebbe l'aspirazione di qualsiasi "amministratore". Comunque su 21 miliardi di spesa farmaceutica si tratta di più di 2 miliardi. Infine episteme  si usa nel senso di conoscenza scientifica, di paradigma di una scienza passibile, è ovvio, di falsificazione.
 
Potremmo definire l'episteme medica come l'insieme delle conoscenze acquisite sulla base di una metodologia condivisa, limitata rispetto alla complessità dell'uomo, ma che qualche successo da Bernard a Koch, da Pasteur a Fleming l'ha pure avuto. E' ovvio il compromesso tra doxa e episteme, altrimenti la medicina non sarebbe un'arte, ma i medici si debbono riferire alla scienza; la deontologia non ha dubbi.
 
In realtà la fisiologia la scoprono i biologi, i farmaci i chimici, i dispositivi i fisici; i medici esercitano una prassi fondata su diverse scienze e agiscono in un mondo di valori. Non è poco. Sono autori come i vecchi commedianti, elaborano su un canovaccio. Autori, attori. E siamo sempre al punto: il teatro, la compagnia, gli arredi, le scene.
 
Sono affezionato all'immagine del condominio. Tutti puliscono il proprio appartamento (e non lo faranno mai tutti, ci saranno sempre riunioni condominiali!), ma se piove in casa perché nessuno ha riparato il tetto, il condominio diventa inabitabile.
 
In conclusione concordo con Ivan: occorre sintetizzare i risultati del convegno di Rimini, altrimenti è inutile averlo fatto: una proposta che prenda di petto la questione medica, che affronti modernamente la questione della relazione con l'uomo, in cui l'autore sia anche attore, trovi il teatro e l'impresario, e andiamo in scena.
 
Antonio Panti
Presidente Omceo Firenze

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