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Lunedì 25 MARZO 2019
Se volete la mutua nessuno ve lo impedisce ma pagatevela

In sostanza bisognerebbe tornare di fatto allo spirito dell’art. 46 della legge 833, cioè ribadire il valore della mutualità volontaria a carico esclusivamente di chi vuole farvi ricorso. Cioè se volete la mutua nessuno ve lo impedisce ma pagatevela, cioè non chiedete soldi allo Stato che vi mette a disposizione il Ssn

“Fondi integrativi o sostitutivi”, si chiede, con un ricco e ammiccante, ma anche molto discutibile, articolo, il mio amico Federico Spandonaro sfidando la politica ad operare una scelta che, chissà perché, da anni, e nonostante un pressing titanico da parte degli interessi in gioco, questa “politica”, non fa. (QS 17 marzo 2019).
 
A quale politica ci si riferisce?
Se la questione “mutue” (uso questo termine in modo intercambiabile a quello di fondi), come dice Spandonaro nel suo articolo, è tanto scontata, cioè una innegabile evidenza economico-sociale a cui la politica deve semplicemente obbedire, diversamente da lui, la prima cosa che tenterei di fare, è comprendere perché la politica non ha obbedito e non obbedisce e perché continua ad esitare incurante di apparire inconcludente e incomprensibilmente irrazionale.
 
Ma per capire questo “perché”, temo che siano necessarie due cose:
- andare oltre il concetto generico di “politica” per vedere cosa c’è dietro e cosa c’è dentro. Di quale politica parliamo? Cioè di chi parliamo?
- comprendere se le evidenze di Spandonaro siano davvero tali come lui ritiene ammettendo, insieme ad altri autori, la possibilità, che non siano evidenze e meno che mai convincenti.
 
L’idea di mutua volontaria dalla 833 in poi, lambisce tutte le leggi di riforme successive (502/229) quindi traversa i governi più diversi di centro destra e di centro sinistra, fino ad arrivare con il IV governo Berlusconi, cioè con un governo di centro destra (2008), al sistema multi-pilastro quindi al cambio di sistema.
 
Dopo Berlusconi, tutti i governi che si sono succeduti, a parte la parentesi Monti (governo tecnico), sono stati tutti di centro sinistra (Letta, Renzi, Gentiloni), ebbene questi governi rispetto alla possibilità di un cambio di sistema hanno frenato (o se preferite “esitato”) frenando proprio sulla possibilità di istituire la “seconda gamba” a cui si riferisce Spandonaro.
 
Una sinistra esitante
La mia impressione è che la “politica” che, in questi anni ha esitato:
- non sia tanto quella di destra, che coerentemente con il pensiero neoliberista ha sempre più o meno ragionato con gli argomenti di Spandonaro cioè degli economisti “liberal”,
 
- ma sia principalmente quella di “sinistra” che si è limitata, prima con la riforma Bindi poi con i provvedimenti Turco, a sdoganare il problema delle mutue, soprattutto dal punto di vista fiscale, ma mantenendolo, rispetto al sistema pubblico, dentro una precisa residualità e una precisa marginalità. Quindi rifiutando di fatto il cambio di sistema.
 
Discorso a parte va fatto per il governo Renzi che fa il salto che Spandonaro auspica, ma sul welfare aziendale, che essendo un welfare eminentemente contrattuale riferito al job act cioè al costo del lavoro, non riguarda il resto delle mutue, che restano, in quanto tali, sostanzialmente vincolate ad una normativa per loro, come dimostra da ultimo l’articolo di Spandonaro, del tutto insoddisfacente.
 
In sintesi la politica a cui si rivolge Spandonaro, in particolare la sinistra di governo, fino ad ora ha esitato perché ha temuto, e non a torto, che la “seconda gamba” in realtà fosse un cavallo di Troia attraverso il quale far passare subdolamente un cambio di sistema.
 
Oggi Spandonaro, evidentemente sente restringersi lo spazio politico, quindi rilancia e ci riprova nel mentre:
- la Lega sembra puntare le sue carte non sulle mutue ma sul regionalismo differenziato,
- Zingaretti, cioè il presunto PD di sinistra, lancia il suo slogan 10 per 100000 cioè più soldi e più operatori, quindi rilancia il valore della sanità pubblica,
- il ministro della salute si caratterizza a parte per i tweet, per una politica di pura manutenzione dello status quo.
 
In questo incerto quadro politico Spandonaro per l’ennesima volta, ci propone un cambio di sistema, cioè di superare la marginalità, nella quale le sue mutue sono di fatto prigioniere, proponendo a questo governo, di far loro assumere un ruolo di “complementarietà” quindi di componente strutturale del sistema, la  proverbiale “seconda gamba”.
 
Un dilemma morale
L’errore che Spandonaro fa da anni e continua a fare (se si può chiamare errore una precisa scelta intellettuale), è quello di porre il dilemma fondi integrativi/fondi sostitutivi come un “dilemma economico”, senza capire che per la sinistra, ma non solo, per la politica con un po’ di sale in zucca, esso in realtà prima di tutto è un dilemma morale non riducibile a“diatribe apparentemente tecniche sulla natura “integrativa o sostitutiva” dei Fondi”. Il  dilemma economico, come hanno dimostrato tanti articoli su questo giornale (Donzelli, Miranda, Trianni, e il sottoscritto, ecc.) ma soprattutto Geddes con il suo bel libro “La salute sostenibile”,  è tutto da dimostrare
 
Un “dilemma morale” può essere descritto come una decisione che richiede una scelta tra principi concorrenti, spesso in contesti complessi e con elevata carica di responsabilità e soprattutto con una inevitabile cascata di conseguenze giuridiche etiche tecniche organizzative, sanitarie, ecc.
 
Aggiungere una gamba al sistema attuale non è, come vogliono farci credere, una cosa minima, piccola, ininfluente, senza conseguenze (niente altro che..) ma è un cambio di sistema, cioè un cambio di postulati, di presupposti, di principi, di forme di tutela, che a regime cambiano, e non di poco, il nostro sistema universalistico ma soprattutto l’accesso ai diritti dei nostri cittadini e il genere di tutele che si debbono garantire.
 
Cambiare questo sistema, nel senso di contro-riformarlo, dando il via libera alle “mutue” è una operazione regressiva ed ha delle conseguenze elettorali. E la “politica” lo sa benissimo.
 
Ma, leggendo coloro che sostengono il pensiero di Spandonaro, (Labate, QS 18 marzo 2019) per quale diavolo di motivo, a parte gli interessi  della speculazione finanziaria, da un tutt’uno devo passare a un sistema duale (logica duale)  facendo i fondi integrativi  per poi superarli ed avere in nome della complementarietà  di nuovo un tutt’uno  integrato (logica integrata)?
 
L’equivoco della ideologia
L’altro errore che, secondo me, fa Spandonaro è di liquidare e confinare questo “dilemma morale”, grande come una casa, nell’ambito della ideologia.
 
Nel suo articolo la parola “ideologia” ricorre spesso ma come critica a quella che lui ritiene essere semplicemente una manifestazione di irragionevolezza da parte della sinistra. Tutto quanto non coincide con la razionalità economica e con la soddisfazione degli interessi in campo, è ideologico. Senza comprendere che, nel momento in cui la razionalità economica, si propone come una metafisica, cioè come una evidenza incontestabile quindi come verità apodittica, a sua volta diventa una pretesa ideologica.
 
Non ho mai capito perché chi persegue interessi privati (seconda gamba) non fa ideologia ma fa economia, mentre chi persegue interessi pubblici (sistema universale) non fa economia ma ideologia.
 
Personalmente ritengo che “ideologia” sia un termine logoro e inadeguato a descrivere le differenze e i contrasti che, ad esempio, riguardano la possibilità di operare un cambio di sistema, meglio sarebbe se adoperassimo il termine “weltanschauung”. In cosa consiste la contrapposizione è presto detto:
- in una il soggetto progettante è l’interesse speculativo e il sistema multi-pilastro vale come rappresentazione della sanità,
- nell’altra il soggetto progettante è il diritto e un unico sistema universale equo e solidale vale come rappresentazione della sanità.
 
Che c’entra l’ideologia? Si tratta di due diverse progettazioni del mondo.
 
Proposte e contro proposte
Dice Spandonaro citando Geddes che è oggettivamente difficile, trovare sul problema della seconda gamba, una “area di convergenza”.
 
Non c’è una “area di convergenza” perché:
- non si è ancora trovata una soluzione convincente al dilemma morale,
- alle evidenze economiche di Spandonaro, ammesso e non concesso che siano tali, se assumiamo come primario l’interesse del malato, si possono dare le risposte più svariate,
- la sua pretesa e di altri di proporci la “seconda gamba” come soluzione unica e obbligata è manifestamente infondata. E’ solo una pretesa.
 
Tuttavia ammetto che coloro, come me ed altri, che sono contro la seconda gamba, hanno il dovere di trovare le soluzioni necessarie ai problemi sollevati da Spandonaro .
 
Lo ripeto soprattutto ai miei amici universalisti, l’apologia dell’esistente non è una soluzione. Spandonaro propone quello che propone e quello che propone non ci va bene, ma di contro, noi universalisti, cosa proponiamo?
 
Per me, l’ho scritto un mucchio di volte, non ha alcun senso fare una seconda gamba, ma dico di più, per me, fare una seconda gamba significa aggravare i problemi sia di sostenibilità sia quelli di inadeguatezza cioè tornare in dietro aggravando i problemi di ingiustizia e quelli relativi alle diseguaglianze in generale e a quelle nord sud in particolare, aggravando il distacco tra sanità e medicina e medicina e società.
 
Trascuro i problemi della speculazione e dell’intermediazione finanziaria anche se so, come diceva mio nonno, che neanche il cane muove la coda per niente. Cioè è innegabile che dietro alla seconda gamba vi siano interessi privati che si pongono nettamente in competizione con quelli pubblici.
 
Anche questo rientra nel dilemma morale anche se Spandonaro nel suo articolo non ne parla come se il cane, in questo caso, muovesse la coda per niente. A questo proposito vorrei invitare Spandonaro a rileggere gli articoli di Nick Miranda su questo giornale (QS 24 dicembre 2017; 25 giugno 2018, 15 ottobre 2018), quelli di “Allineare sanità e salute” (in particolare QS 30 marzo 2017) e infine a parte il suo libro, quelli di Marco Geddes (in particolare QS 25 novembre 2018).
 
Contro la seconda gamba cosa proponiamo?
E’ noto, che contro la seconda gamba, da tempo propongo, una soluzione riformatrice, la “quarta riforma”, nei confronti della quale i miei amici universalisti sono piuttosto freddini e a disagio. Non mi dicono di no ma neanche di sì.
 
Riformare serve a risolvere i due principali problemi che abbiamo avuto in eredità dal sistema mutualistico: sostenibilità e inadeguatezza e quindi nei confronti del sistema per renderlo:
- più pubblico e più universalista di quello che è, e per abbattere l’alibi dell’out of pocket,
- maggiormente pubblico in altro modo cioè sostenibile e adeguato.
 
Sbagliano i miei amici universalisti a pensare che basti il rifinanziamento del sistema per risolvere tutto. Lo slogan 10 per 100000 di Zingaretti lo sappiamo tutti lascia il tempo che trova, vale come slogan e come una dichiarazione di intenti.
 
Resto marxianamente convinto che, se non riparte l’economia, in recessione come siamo, e con le politiche di redistribuzione della ricchezza messe in campo da questo governo (reddito di cittadinanza quota 100 e flat tax) la prospettiva per la sanità resta incerta.
 
Non escludo tuttavia che a un certo punto il “dilemma morale” possa essere superato proprio per disperazione finanziaria. Il rischio a cui andiamo incontro, a causa delle politiche ordinarie di questo anodino ministero della salute, è quello di acuire i problemi di sostenibilità del sistema esponendolo a crescenti gradi di privatizzazione. Se ci si limita solo a spendere di più poi si paga pegno.
 
Riconoscere lo stato di fatto
La sensazione che ho avuto leggendo l’articolo di Spandonaro è quella di un mutualismo di ritorno che, sin da subito, cioè a partire dalla 833, non si è rassegnato a subire l’art. 46 sulla “mutualità volontaria” cioè il grande divieto che ricordo recita così:La mutualità volontaria è libera. E' vietato agli enti, imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal servizio sanitario nazionale.
 
Questo mutualismo di ritornonel corso degli anni dopo azioni di lobbing inaudite, pressioni di ogni tipo, vari spalleggiamenti di alcune università, ha tentato di aggirare due cose:
- il divieto di finanziamento,
- il concetto di prestazioni integrative.
 
Ottenendo delle deroghe alla norma primaria e creando delle situazioni di fatto.
 
Ora Spandonaro, ripeto in un momento politico particolare, tenta non solo di consolidare il processo tanto faticosamente avviato ma, usando le situazioni di fatto, chiede alla politica di:
- prendere atto della realtà che si è creata ad arte,
- di modificare la normativa esistente legalizzando la seconda gamba.
 
Cioè chiede alla politica (quale?) di occuparsi non del SSN per migliorarlo o renderlo sostenibile più equo o più adatto ai nuovi bisogni, ma di tutelare gli interessi del mutualismo prendendo atto delle cose in essere.
 
Quando lui scrive “non ha senso parlare dell’esigenza o meno di altri pilastri , ci sono e basta” o quando dice cose, anche contraddittorie, come  “i fondi intergrativi non sono mali decollati” e “i fondi sostitutivi non esistono perché esistono solo fondi che erogano  prestazioni cliniche in un regime  di erogazione diverso”, o quando dice che bisogna prendere atto che esistono: “gli extra lea”, i corpi intermedi, le regioni che vogliono integrare i finanziamenti pubblici con i fondi, e parla di “natura intrinsecamente complementare dei fondi”, Spandonaro non fa altro che  tentare di assumere le situazioni di fatto per rivendicare una legislazione  che riconosca quello che ancora non c’è a partire da quello che c’è.
 
A lui non interessa discutere di quale sistema sanitario servirebbe, o di quale riforma, o quali politiche per i diritti, a lui interessa solo che certi interessi trovino la loro collocazione. Questa per me non è una differenza da poco. E’ la distanza che intercorre tra la nozione di bene pubblico e quella di un interesse privato.
 
Il problema della meritorietà
Il nodo nella fitta argomentazione di Spandonaro è uno solo ed è quello del rapporto tra meritorietà/incentivazione:
- se la seconda gamba ha dei meriti,
- la seconda gamba va finanziata fiscalmente,
- nel momento che la seconda gamba è finanziata,
- la seconda gamba deve emanciparsi dalla sua storica marginalità,
- la seconda gamba deve entrare di diritto a far parte del sistema.
 
Il concetto di “meritorio” nei confronti delle mutue, come ha ben dimostrato Geddes a più riprese, è piuttosto problematico. Questo concetto è usato da Spandonaro in tre sensi:
·che procura un guadagno,
·che procura dei vantaggi,
·che è degno di essere ricompensato.
 
Per quello che riguarda me ricordo solo di un “viaggio”, fatto su questo giornale, sulle mutue che si è concluso con un articolo il cui titolo non a caso era “Le mutue e la banalità del male dove cercavo di dimostrare, avendo in gioventù   fatto esperienze professionali dirette di mutue, il loro basso grado di meritorietà.
 
La qualità dell’assistenza mutualistica per una serie di motivi descritti in quell’articolo, rispetto a quella pubblica a parità di normali condizioni funzionali, è di gran lunga la più bassa e aggiungo la più inattuale. Certo esistono prestazioni e costi a margine del sistema pubblico che non sono coperte e nessuno le nega ma esse non bastano a giustificare un cambio di sistema. Una onesta mutua onestamente integrativa basta e avanza.
 
In tutta franchezza, nel terzo millennio offrire mutualismo, non è proprio il modo giusto per essere adeguati ai nuovi bisogni delle persone. Del resto è nota la mia lamentela sul fatto che a tutt’oggi, proprio perché le riforme non sono andate a fondo nel SSN, esiste ancora una eccessiva cultura mutualistica (QS 17 settembre 2018)
 
Un pensiero recidivo
Quella di Spandonaro è una vecchia battaglia, come vecchio è il nostro disaccordo, che, continuerà, probabilmente proprio in ragione dell’incommensurabilità delle nostre legittime weltanschauung, ma senza per questo mettere in pericolo la nostra vecchia amicizia. Ci mancherebbe altro.
 
Al tempo Spandonaro  è stato uno dei sostenitori della teoria dell’universalismo selettivo, quella alla quale Sacconi  si ispirò per proporre l’idea del sistema multi-pilastro,  e rispetto al quale Spandonaro si lamentava per  la sua inconseguenza (“Parole tuttavia rimaste scritte nel Libro Bianco perché nessun Governo, compreso quello del ministro Sacconi, hanno mai provato a chiarire “quale selezione” si voleva/poteva fare”, QS 7 ottobre 2011).
 
Come presidente  Ceis invocando, l’emergenza, diceva che:
- “la sanità per tutti non regge più” e che era arrivato il momento di mettere ticket, aprire ai fondi integrativi e alle assicurazioni",
- “la sanità è troppo costosa per essere sostenuta dalle sole casse dello Stato”.
 
E in nome della crisi teorizzava la ridiscussione del SSN invitandoci tutti a “guardare la realtà": “non ci si può continuare a illudere che possa essere un'universalità assoluta e non selettiva, che tutto sia gratuito e ricompreso nei Lea”.(ibidem)
 
Poi, ai tempi di Monti, non gli sembrò vero che si mettesse in discussione la tenuta del sistema pubblico (“il Presidente del Consiglio ha, a mio parere, assolutamente ragione: se persiste la crisi, (omissis) allora vanno decise le priorità” e  tentò di convincerci che il SSN fosse “a rischio”aggiungendo  “le parole e i concetti devono essere esplosi con coraggio fino alle loro conseguenze meno piacevoli” (QS 28 novembre 2012)
 
Ho apprezzato l’onestà intellettuale di Spandonaro quando scrive: ritengo di dover dichiarare che sono “ideologicamente” (virgolette mie) portato a ritenere che la sussidiarietà sia un principio costituzionale essenziale”
 
Ma per lui quella delle sussidiarietà è una vecchia storia, già anni fa invocava la sussidiarietà verticale per giustificare la seconda gamba, come è vecchia la “questione politica” in luogo di quella “tecnica”, come vecchie sono le sue “evidenze” (“su questo l’evidenza empirica è assolutamente chiara”)   come è una vecchia storia in ragione della crisi  sua preferenza per  le “mutue”: “questo può ragionevolmente far propendere per uno sviluppo delle forme di mutualità (ivi comprese le forme di assicurazione collettiva) che certamente sono meno inique di un trasferimento sulla spesa individuale la cosiddetta out of pocket” (ibidem).
 
Tre punti pragmatici
I punti oggi, caro Federico, per restare con i piedi per terra sono essenzialmente tre:
- a distanza di quasi 10 anni dalle tue pessimistiche dichiarazioni, il SSN è ancora in piedi con tanti acciacchi è vero, e con quote di privatizzazione crescenti, (la privatizzazione è direttamente proporzionali agli acciacchi) cioè i crolli non ci sono stati, pur soffrendo noi tutti ancora di una crisi economica che sembra non finire mai,
 
- la politica alla quale ti riferisci pur avendo avuto negli anni duri la giustificazione della crisi e dell’emergenza finanziaria non ha voluto fare nessun vero cambio di sistema e francamente, come ho detto sopra, pur senza escludere, anche con questo governo, nessuna eventualità, mi pare difficile che oggi il ribaltone che tu auspichi, con la seconda gamba, possa avvenire. Il regionalismo differenziato, che è un cambio di sistema, anche se di altro genere, a sua volta, è molto avversato e probabilmente il parlamento lo convincerà a più miti consigli,
 
- gli incentivi alle mutue, tornando all’insegnamento marxiano, strappati per aggirare l’ostacolo dell’art 46 della 833, insieme a quelli riconosciuti da Renzi per il welfare aziendale, oggi più che mai sono sempre più incompatibili con i problemi di sostenibilità del sistema pubblico e soprattutto in aperta contraddizioni con le politiche di de-finanziamento che anche questo governo è stato costretto a confermare con l’ultima legge di bilancio. Gli incentivi in questo quadro e soprattutto con un ministro che promette soldi a tutti ma senza liberare soldi in altro modo, si configurano sempre più come una ingiusta e ingiustificata sottrazione di denaro pubblico che al contrario, a condizione di avere un progetto di rilancio in testa, dovrebbe e potrebbe essere speso per far funzionare meglio il sistema pubblico.
 
Conclusioni
In occasione della legge di bilancio a proposito del problema degli incentivi, molte, a partire dalla mia, sono state le voci che hanno rivendicato la cancellazione degli incentivi per dare al SSN i soldi che servivano per assumere gli operatori che mancano e, in particolare l’Anaao, per rinnovare i contratti.
 
Non è possibile che il pubblico continui ad andare avanti a polenta e il privato continui ad avere gli incentivi. Alla lunga questa storia, alla faccia dell’argomento sulla “meritorietà”, non può reggere e, l’indagine della Commissione Affari sociali della Camera, in materia di fondi integrativi del SSN, la dice lunga.
 
Mettiamo il caso che si scopra l’acqua calda e cioè che i fondi integrativi e il welfare aziendale siano tutti sostitutivi del pubblico, nel senso di essere un doppione del sistema pubblico, mi si deve spiegare perché lo Stato oggi alle prese con una gravissima carenza di personale, non debba recuperare i soldi per gli incentivi e migliorare così l’unico sistema autorizzato dalla legge a tutelare la salute dei cittadini.
Cioè la politica caro Federico, alla quale ti rivolgi dovrebbe spiegare mentre scoppia l’emergenza occupazione, perché vi sono cittadini con doppi diritti e perché vi sono cittadini senza diritti.
 
In sostanza e per chiudere e per salutare il mio amico Federico io penso che per le cose dette, proprio perché non è realisticamente ipotizzabile un cambio di sistema, si dovrà prima o poi:
- tornare di fatto allo spirito dell’art. 46 della 833, cioè ribadire il valore della mutualità volontaria a carico esclusivamente di chi vuole farvi ricorso cioè se volete la mutua nessuno ve lo impedisce ma pagatevela cioè non chiedete soldi allo Stato che vi mette a disposizione il SSN,
 
- mettere le mani nel sistema pubblico per farlo non solo funzionare meglio ma per renderlo più adeguato alle necessità dei cittadini per cui prima o poi sperando nella sensibilità riformatrice del governo non escluderei qualcosa che assomigli ad una “quarta riforma”.
 
Ivan Cavicchi

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