toggle menu
QS Edizioni - sabato 4 maggio 2024

Lettere al Direttore

Eco-ansia, come il cambiamento climatico incide sulla salute

di Massimiliano Cinque
immagine 24 aprile -

Gentile direttore,
nel 1979 il filosofo tedesco Hans Jonas affermò che “La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere”, in quanto le crescenti tecnologie post belliche e le ricerche scientifiche – come ad esempio la scoperta negli anni ’50 del geologo Patterson sulla dannosità umana ed ambientale del piombo nella benzina – portarono il genere umano, o meglio una minima parte, a comprendere il loro impatto sulla natura. Purtroppo ancora oggi c’è chi non crede al cambiamento climatico.

Eppure.

L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha pubblicato dei dati (come riportato in QS) dai quali emerge che: “Il 2023 è stato l’anno più caldo o il secondo anno più caldo mai registrato a seconda del set di dati. La mortalità correlata al caldo è aumentata di circa il 30% negli ultimi 20 anni e si stima che i decessi legati al caldo siano aumentati nel 94% delle regioni europee monitorate”. La preoccupazione sul Climate Change non sono limitate solamente all’incremento dei decessi, anzi la ricerca sta spaziando a 360° per cercare di ridurre gli effetti che questo cambiamento produce sul nostro pianeta e sul nostro corpo. Una tematica di recente studio è la correlazione tra il clima e la salute mentale.

La consapevolezza del cambiamento climatico e dei suoi impatti può portare a preoccupazione o angoscia, un fenomeno talvolta chiamato eco-ansia, eco-distress, dolore climatico o solastalgia (disagio legato al cambiamento ambientale). Qualche anno fa le “eco-emozioni” venivano liquidate come angoscia di preoccupazioni nei paesi ad altro reddito, ma una pubblicazione del 2021¹ ha ribaltato questa visione, indicando un maggior numero di segnalazioni in paesi come Filippine, India e Nigeria e in numero minore negli USA e Regno Unito. L’indagine aveva come riferimento un campione di 10.000 adolescenti di oltre 10 Paesi, e più del 45% affermava che la preoccupazione per il cambiamento climatico impattavano negativamente sull’alimentazione, sul lavoro, sul sonno e su altri aspetti della vita quotidiana.

Il fatto che il cambiamento climatico incida sulla salute mentale non sorprende, soprattutto gli eventi metereologici estremi e distruttivi provocano un danno traumatico immediato ed “una lunga serie di condizioni di salute mentale come disturbo da stress post-traumatico, ansia, depressione, abuso di sostanze”, come sostiene la professoressa Lawrance dell’Imperial College di Londra. Tuttavia anche i disagi meno improvvisi causati dagli effetti del riscaldamento globale possono pesare sulla salute mentale, in maniera talvolta devastante. Uno studio del 2018 sui dati sui suicidi negli Stati Uniti e in Messico nell'arco di due o più decenni ha mostrato che i tassi di suicidio sono aumentati dello 0,7% negli Stati Uniti e del 2,1% in Messico, con un aumento di 1 °C della temperatura media mensile². I ricercatori hanno previsto 9.000-40.000 suicidi in più entro il 2050 nei due paesi se non verranno intraprese azioni contro il cambiamento climatico. Altri studi, inoltre, suggeriscono che le persone con malattie mentali esistenti corrono un rischio maggiore di morte durante il caldo estremo: tuttora non vi è una spiegazione acclarata anche se, in maniera ancora ipotetica, si ritiene che alcuni psicofarmaci possano interferire con la risposta del corpo al calore.

La già citata ricerca del 2021 ha disegnato un futuro decisamente incerto: il 75% degli intervistati ha affermato che il cambiamento climatico li ha portati a pensare che il futuro sarà spaventoso e il 56% ha affermato che l’umanità sia condannata. Le persone che ritenevano che il loro governo non stesse agendo sulle questioni climatiche avevano maggiori probabilità di sentirsi in difficoltà ecologica. I sentimenti di eco-ansia non sono necessariamente un segno di disfunzione, ma soprattutto non devono esser considerati come un disturbo diagnosticabile, in quanto si rischia di attribuire la colpa all’individuo nell’avere una risposta malsana agli eventi, invece occorre dar seguito – anche con supporto psicologico – ed impegnarsi affinché ci sia un contributo fattivo e fattibile al cambiamento climatico.

La miglior terapia è non rimanere fermi ma, ritornando al Principio Responsabilità di Hans Jonas, agire in modo che le conseguenze delle azioni siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra.

Massimiliano Cinque
Dottore in Farmacia

Bibliografia
1 Hickman, C. et al. Lancet Planet. Health 5, e863–e873 (2021).
2 Burke, M. et al. Nature Clim. Change 8, 723–729 (2018).

24 aprile 2024
© QS Edizioni - Riproduzione riservata