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QS Edizioni - venerdì 26 aprile 2024

Lettere al Direttore

L’orto delle fragilità

di Gemma Brandi
12 aprile - Gentile Direttore,
ritengo che la metafora dell’orto sia molto pertinente quando ci si inoltra nel campo delle fragilità, per una serie di concetti che accomunano i due terreni. “L’orto vole l’omo morto”, recita un detto toscano, a sottolineare l’impegno che comporta carpire alla terra i suoi doni commestibili, un impasto di fatica e distrazione.
 
Chiunque si prenda cura delle fragilità sa quanto sia impegnativo tale munus, un compito che è anche dono, un carico che può diventare un dolce peso, utile alle vite dei fragili e dei loro caregiver, visto che la fragilità, quella mentale in specie, parla della e alla struttura psichica di tutti noi e quindi è utile al colono delle fragilità.
 
L’orto richiede una buona disposizionedel terreno. Anche le fragilità reclamano un’attitudine in chi svolge la funzione di terapeuta. Terreni poveri possono essere arricchiti. Del pari gli operatori traggono vantaggio dalla formazione, ma certo meglio sarebbe partire da una propensione all’altezza.
 
Il buon ortolano sa che per svolgere la sua attività serve ricorrere a molteplici strumentidi lavoro e quindi conoscerne l’esistenza. E lo stesso accade a chi si cimenta con le fragilità.
 
Sa anche, l’accorto coltivatore, che i frutti potranno essere di vario tipo e richiedere una diversa lavorazione, come accade alle singole fragilità.
 
Soprattutto l’uno e l’altro sono consapevoli della importanza di fare convergere le diverse competenze, ossia la somma di conoscenze ed esperienze, affinché l’orto dia i suoi doni e i fragili possano sbocciare. A tale valore diamo il nome che gli spetta: interdisciplinarità. È questa a rendere davvero creativo il compito del colono delle fragilità, a permettere all’équipe, che si misura con soggetti in grado di mandare in tilt un intero condominio, di essere una palestra di invenzioni e soluzioni, di temerari esercizi e relazioni solide, osando a ragion veduta.
 
Tra gli strumenti che il colono delle fragilità ha a sua disposizione c’è la coazione gentile, che per la Salute Mentale si compone di Accertamenti e Trattamenti Sanitari Obbligatori, Amministrazione di sostegno, alternative alle istituzioni della pena per il folle autore di reato. L’uso gentile di tali strumenti presuppone che siano necessari, progettuali e individualizzati, declinati in maniera umana e interdisciplinare, mai autoreferenziata.
 
Vorrei spezzare qui una lancia a favore di una lettura meno derealistica e arida possibile del termine consenso, rendendo dinamico un concetto che ha finito per congelarsi nella visione che il diritto ne rappresenta. Il consenso va guadagnato, costruito, interpretato.
 
Non si tratta di una croce da apporre accanto a un sì o a un no. Ad esempio, per condurre un soggetto, che non abbia coscienza di malattia e non accetti un sostegno indispensabile a rendere la sua esistenza meno tormentata e tormentosa, verso una maggiore compliance, sarà più opportuno affiancargli qualcuno che gli stia vicino con fraterna professionalità nel suo vivere quotidiano, un Educatore di sostegno che, questo sì, potrebbe diventare un idoneo Amministratore di sostegno, in genere indicato per tale compito dallo stesso interessato. Va detto, inoltre, che forzare la mano di fronte a una resistenza potenzialmente dannosa al fragile significa consentirgli di non perdere la faccia, di mantenere una posizione presa, cosa che accade inevitabilmente nella decostruzione di famiglie patologiche, inaccettabile a tutta prima per le persone coinvolte, ma salutare per tutti nel tempo breve.
 
E se dovessimo proprio pensare al carattere rivoluzionario della scoperta basagliana, bisognerebbe evitare di ridurlo al luogo comune della libertà restituita al folle, giacché la libertà non può essere regalata da nessuno, trattandosi di una dimensione fondamentalmente interiore. Sarebbe piuttosto il caso di rivalutare l’intenzione di Franco Basaglia di prestare ascolto al malato di mente, di riconoscere la persona al di là del e nel suo delirio, di rispondere in maniera composita e non semplificata alla condizione complessa della sofferenza psichica.
 
Questo grande ritrovato di cui è figlia la Salute Mentale potrebbe rivelarsi prezioso per ravvivare in tutti l’idea di una soggettività rispettabile e interessante anche nei soggetti fragilissimi quali sono i portatori della Malattia di Alzheimer o di quadri che oggi liquidiamo come limitazione o perdita delle capacità cognitive.
 
Gemma Brandi
Psichiatra psicoanalista
Esperta di Salute Mentale applicata al Diritto
12 aprile 2021
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