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Mercoledì 05 LUGLIO 2023
Non c’è correlazione tra il rischio clinico e remunerazione del medico



Gentile direttore,
la presente per ricordare a Giampiero Avruscio (QS 03 luglio c.a.) che il DPR 384/90 rappresenta l’ultimo contratto unico della Sanità: la prima parte era relativa al comparto, la seconda interessava l’area medica. Con riferimento a quest’ultima, il rapporto di lavoro si articolava in 38 ore per coloro che operavano a tempo pieno e in 28 ore e mezzo per i medici a tempo definito.

Il rischio clinico è definito come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè che subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza e che determini un prolungamento del ricovero dovuto a un peggioramento delle condizioni cliniche.

Con riferimento alla nozione di cittadino ricordo, prima di tutto a me stesso, che l’espressione significa essere titolari di diritti inviolabili e doveri inderogabili; poiché siamo tutti cittadini, la differenza è data solo dalla ragione per la quale si accede al servizio sanitario. Vi è chi lo fa per erogare prestazioni e, i più, per riceverle. Poiché il servizio, per definizione è coprodotto, la collaborazione tra fornitore e fruitore ne determina la qualità.

Non vedo quindi, come scrive Avruscio, quale correlazione ci sia tra il rischio clinico e la remunerazione del medico!

Per quanto concerne la proposta del contratto unico, che però esclude il personale del comparto, quindi proprio unico non è, invito il Presidente ANPO della Azienda Ospedale Università di Padova a leggere la mia del 19 u.s. pubblicata in QS.

Solo partendo da qui, caro Giampiero, sarà possibile uscire dalla dimensione ospedalocentrica e, attraverso il paradigma salutogenico, rigenerare il sistema sociosanitario, promuovere la Salute dei cittadini e dell’ambiente ove essi insistono.

Massimo Tosini
Sociologo della salute

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