No al 41 bis (il carcere duro) per i boss con patologie gravi. È quanto ha stabilito una sentenza della Cassazione che oggi ha accolto il ricorso di
Filiberto Maisano, 81 anni, ritenuto un capomafia della `ndrangheta reggina.
Il boss è detenuto nel carcere di Novara e si è rivolto alla Cassazione per chiedere di modificare la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari “per gravi motivi di salute“.
Il tribunale della libertà di Reggio Calabria lo scorso 20 marzo aveva negato al boss reggino la modifica della misura cautelare in carcere con quella dei domiciliari ritenendo che le patologie di cui era affetto, pure se serie, potessero essere curate in carcere. Contro il veto ai domiciliari la difesa di Maisano ha fatto ricorso con successo in Cassazione sostenendo che “il diritto alla salute del detenuto è prevalente anche sulle esigenze di sicurezza”.
I giudici della Suprema Corte hanno accolto il suo ricorso e hanno disposto un nuovo esame davanti al Tribunale della Libertà di Reggio Calabria.
Nella sentenza la Suprema Corte ha evidenziato come “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” e che anche quando si è in presenza di esponenti di spicco della criminalità organizzata, è necessario equilibrare “le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione”.
Maisano, come evidenziato nella sentenza presenta “un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche” che nel tempo lo hanno portato anche alla depressione.