Per i medici del Pronto soccorso del San Giovanni Calibita Fatebenefratelli non restava che la via dell'aborto terapeutico. Tutto iniziò il 4 aprile 2013 quando una donna si era presentata al Pronto Soccorso del nosocomio romano per alcune perdite ematiche. Dopo i primi controlli, il responso dei medici non lasciava scampo: il feto per loro era morto, il cuoricino non batteva, l'ecografia era piatta. Bisognava procedere con il raschiamento e consigliano alla donna il ricovero.
La donna decide di andare via e di non ascoltare i medici. Chiede un controllo al suo medico di base che, pur non riuscendo a sentire il battito, le suggerisce di aspettare qualche settimana visto che la gravidanza era appena cominciata. Qualche giorno dopo una ecografia scioglie ogni dubbio: l'embrione è vivo e cresce. La diagnosi elaborata al pronto soccorso era errata. A riportarlo il quotidiano
Il Mattino che racconta come il bambino sia poi nato perfettamente sano a dicembre nello stesso ospedale.
La donna ha poi denunciato i medici che le avevano diagnosticato la morte del feto: "Non si può precludere la vita di un bimbo per superficialità - ha spiegato -. Nei Pronto Soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Se non avessi seguito il mio istinto sarei stata io stessa la carnefice di mio figlio".