17 giugno -
Riportiamo di seguito l'intervento di
Raffaele Calabrò (Ap) che ha illustrato la mozione n. 1-00900.
"La necessità di rivedere le norme sul blocco del turnover è uno di quei pochi temi che in questo Paese mette d'accordo gruppi politici diversi e istituzioni varie. In questi anni si sono moltiplicate indagini nei rapporti che hanno dedicato interi capitoli al tema, quello sanitario, che in questi anni ha dovuto soprattutto razionalizzare e subire tagli lineari, che in alcune realtà hanno penalizzato l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e, soprattutto, tutto questo, per le carenze del personale.
La Corte dei conti nel rapporto 2015, pubblicato recentemente, ha sottolineato che i conti della sanità pubblica sono migliorati, ma la vera sfida è garantire la sostenibilità dei servizi, perché un nuovo welfare sarà possibile solo riscrivendo le regole, senza rischiare di aggravare le ripercussioni che il risanamento finanziario sta producendo in termini di qualità dei servizi resi.
La scorsa settimana è toccato alla Commissione salute del Senato, nell'indagine sulla sostenibilità del Sistema sanitario nazionale, votata peraltro all'unanimità, ricordare che i molteplici vincoli imposti alla spesa e alla dotazione del personale stanno indebolendo il servizio sanitario in tutte le regioni, demotivando e destrutturando la principale risorsa su cui può contare un sistema di servizi alla persona. Preoccupa l'uso intensivo della forza lavoro, con turni sempre più massacranti, largo impiego di precariato, penalizzazioni economiche e di carriera, fenomeni rilevati anche dall'Europa e dalla Corte di giustizia europea.
Persino l'ISTAT, nel rapporto del 20 maggio scorso, ha evidenziato che il processo di rientro dal debito, cui hanno dovuto fare fronte numerose regioni, associato alla difficile congiuntura economica, ha avuto come conseguenza una riduzione dell'equità nell'accesso alle cure, a cui si ispira il nostro sistema sanitario. Il fatto che alcune delle regioni sotto piano di rientro non riescano ad assicurare i livelli essenziali di assistenza, erogando volumi di prestazione al di sotto degli standard ritenuti adeguati, testimonia la difficoltà del settore. Cito ancora l'ISTAT: è stato effettuato un confronto tra la geografia della salute, la mappa della dotazione del personale sanitario e la mappa del finanziamento al sistema sanitario e il confronto mette in luce lo squilibrio e il gradiente esistente tra nord e sud, tra i bisogni potenziali di assistenza sanitaria, i criteri allocativi delle risorse adottate e le risorse umane impiegate.
Relazioni, rapporti ed indagini che si possono sintetizzare in due frasi: da una parte, la sanità non può più essere pronunciata soltanto con una logica contabile; dall'altra, senza personale adeguato non c’è qualità nell'assistenza sanitaria. E ciò vale ancora di più per le regioni sottoposte al piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Ciò premesso veniamo al nocciolo della mozione. Noi chiediamo un impegno al Governo, un impegno molto realistico. Avremmo preferito forse lo sblocco totale del turnover, ma senza soldi – si sa – non c’è sblocco possibile. Ma poniamo una questione di metodologia, che rappresenta senz'altro un buon inizio. Criteri stabiliti a livello nazionale consentirebbero di agevolare regioni e aziende nelle assunzioni, ponendo fine ad uno sfiancante iter burocratico che vede un rimbalzo tra regioni ed aziende sanitarie, da un lato, e tra Governo e regioni dall'altro. Decidere una volta per tutte, anche alla luce del regolamento sugli standard ospedalieri, di quanto personale ha bisogno un'unità operativa in rapporto al volume di attività, ai posti letto e alla tipologia dei servizi offerti, è un primo e decisivo passo.
Soltanto se ci saranno criteri chiari e certi, il personale da assegnare ad un'unità operativa risponderà esclusivamente ai bisogni del paziente, ai bisogni epidemiologici. Solo così non ci saranno diseguaglianze o preferenze nell'assegnazione della dotazione organica. Un reparto, un'azienda, avrà le risorse umane necessarie a garantire il diritto alla salute dei propri utenti, a prescindere dalle conoscenze e pressioni del direttore o del primario di turno. Questa è l'organizzazione sanitaria efficiente che i cittadini ci chiedono.
Certo, l'uniformità e la parità che tutti auspichiamo devono tenere conto delle differenze o meglio di alcune specificità. Non si può trattare in maniera uguale ciò che è diverso. Non è sufficiente ragionare sulle specialità in generale, ma bisogna sapere entrare nelle sottospecialità, nelle specificità di alcuni settori. Le pongo un esempio. Un'unità di radiologia ad alta specificità tecnologica, che garantisce TAC, radiografie, ecografie, PET, radiologia interventista e quant'altro, avrà bisogno senz'altro di medici e personale sanitario e tecnico su cui contare. Sono differenze giustificate, che naturalmente il Governo deve monitorare e valutare, facendo sì che ci sia omogeneità e uniformità anche nella correttezza delle scelte compiute a livello regionale, perché non ci siano più disuguaglianze e preferenze tra i diversi reparti o aziende ospedaliere, perché la salute è un bene di tutti.
Onorevoli colleghi c’è un altro impegno che chiediamo con forza al Governo, ovvero quello di adottare misure volte a realizzare la mobilità interregionale del personale sanitario.
Non è più pensabile costringere i nostri medici e i nostri infermieri a lavorare e a vivere lontani dalle proprie famiglie, con gravi conseguenze familiari ed economiche. Bisogna identificare forme che facilitino la mobilità interregionale del personale, cercando di limitare il peso del diniego o dell'assenso da parte delle aziende di provenienza. È un problema di equilibrio di risorse, ma è anche un problema di equilibrio sociale e di equilibrio familiare.
Il nostro è un convinto «sì» anche alle altre mozioni accolte dal Governo, che vanno tutte in un'unica direzione positiva per il personale del nostro sistema sanitario e per i nostri pazienti (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare".