Il rientro del deficit 2013 sotto la soglia del 3% costa 1,6 mld e la copertura di questo importo avverrà attraverso la vendita di immobili di proprietà del Demanio per un valore di 500 milioni di euro e la riduzione delle spese dei ministeri e dei trasferimenti degli enti locali per 1,1 miliardi. Queste le misure varate ieri nel corso del Consiglio dei ministri e annunciate dal ministro dell’Economia,
Fabrizio Saccomanni nel corso della successiva conferenza stampa. Scongiurati quindi i paventati rincari per la benzina e aumenti delle aliquote Irpef e Irap annunciate nella mattinata di ieri.
I tagli alla spesa dei ministeri previsti dalla ‘manovrina’ porteranno ad un risparmio di 550 mln di euro ma non riguarderanno però i ministeri della Ricerca, dell’Istruzione e della Salute. Come precisato da Saccomanni saranno “attuati in forma più o meno lineare”. Altri 500 milioni verranno dalla cessione di immobili “che verranno venduti alla Cassa depositi e prestiti e che poi verranno gradualmente immessi sul mercato”, ha precisato il ministro dell’Economia.
L’attenzione si sposta ora sulla legge di stabilità e sui possibili tagli alla sanità. L’allarme è stato suscitato nei giorni scorsi dalle parole del viceministro dell’Economia,
Stefano Fassina, che
nel corso di una tavola rotonda organizzata da Assobiomedica aveva affermato: “Non sono sicuro che si possano evitare interventi sulla spesa sanitaria”. Dichiarazioni che hanno fatto già allarmato e sollevato proteste da parte di Regioni, Medici e senatori Pd.
E quasi a conferma di quelle preoccupazioni,
oggi su La Stampa, si scrive di possibili tagli alla sanità per 3 mld di euro entro il 2015. Un miliardo a valere sul 2013 e gli altri due sul 2014. Nel mirino dei tecnici dell’Economia ci sarebbero i reparti ospedalieri sottoutilizzati con almeno 16 posti letto da chiudere o riconvertire, 5mila laboratori di analisi in sovrannumero e i soliti prezzi impazziti degli acquisti di beni e servizi sanitari. Non del tutto sgradite alle Regioni che, però, di tagli al fondo non vogliono sentir parlare e minacciano di non firmare il Patto per la salute.