Un salasso di circa 5 miliardi di euro, tra il 2015 e il 2019, e circa 10 mila posti di lavoro persi che si andranno a sommare ad una spesa pro-capite in dispositivi medici in Italia già più bassa della media europea del 15% e ad un calo degli investimenti esteri in ricerca e innovazione, registrati in quattro anni, del 51%.
È un conto salato quello che dovranno pagare le
imprese dei dispositivi medici a causa della rinegoziazione dei contratti e del payback voluti dalle ultime due Leggi di Stabilità.
Misure analizzate da Assobiomedica e che, secondo quanto emerso, inevitabilmente provocheranno ripercussioni negative anche sulla qualità dell’assistenza sanitaria.
A lanciare l’allarme rosso è il Presidente di Assobiomedica,
Luigi Boggio che ha indicato gli strumenti adeguati per ottenere due miliardi di risparmi: percorsi diagnostico-terapeutici per la gestione dei pazienti, un piano nazionale per combattere le infezioni ospedaliere e interventi di appropriatezza diagnostica e specialistica. L'occasione, l’Assemblea dell’Associazione di Confindustria dal titolo “La Salute non si taglia: per un futuro d’innovazione e opportunità di sviluppo” organizzata oggi a Roma e nel corso del quale è stata presentatata la
IV Edizione del Rapporto su produzione, ricerca e innovazione nel settore dei dispositivi medici in Italia di Assobiomedica.
“Per effetto delle ultime due Leggi di Stabilità – ha spiegato Boggi – le nostre imprese, con la rinegoziazione dei contratti e il payback, stimiamo dovrebbero contribuire a risanare la spesa sanitaria in dispositivi medici per circa 5 miliardi di euro in 5 anni. È evidente che queste riduzioni di spesa si tradurranno in pesanti tagli occupazionali che stimiamo intorno ai 10mila posti di lavoro, ma soprattutto comporteranno minori servizi e basso tasso d’innovazione offerti al Servizio sanitario nazionale, compromettendo in modo evidente la quantità e la qualità dell’assistenza sanitaria”.
E per Boggio piove sul bagnato. “La spesa pro-capite in dispositivi medici in Italia – ha infatti aggiunto – risulta già oggi il 15% più bassa della media europea e le misure previste per il settore non faranno che aggravare la situazione, disincentivando le imprese a restare nel nostro Paese. Abbiamo registrato un calo degli investimenti esteri in ricerca e innovazione del 51% in quattro anni. Investimenti che avremmo invece bisogno di attrarre per valorizzare la ricerca medico scientifica presente in Italia e per rendere la nostra sanità e il Paese attrattivi”.
Secondo Assobiomedica, sfugge a molti amministratori che acquistando moderne tecnologie mediche in modo appropriato e realizzando una pianificazione sanitaria a monte porterebbe a ottenere risparmi importanti. “Introdurre dispositivi medici di ultima generazione riduce i tempi di ospedalizzazione del paziente – ha sottolineato il presidente di Assobiomedica – così come integrare i servizi con l’assistenza domiciliare fa risparmiare sui costi di gestione e del personale. Imporre invece acquisti centralizzati al massimo ribasso e tetti di spesa a livelli inconcepibili, rispettati oggi solo da quattro Regioni su ventuno, non fanno altro che avallare modalità di gestione della spesa poco strategiche, che non guardano a un miglioramento né del Servizio sanitario né del trattamento del paziente”.
Dall’Associazione arrivano quindi soluzioni per uscire dell’impasse: servono interventi mirati all’efficienza e all’appropriatezza del sistema che introducano percorsi diagnostico-terapeutici per la gestione dei pazienti, un piano nazionale per combattere le infezioni ospedaliere, interventi di appropriatezza diagnostica e specialistica. “In questo modo – ha concluso Boggio – si sarebbero risparmiati quasi 2 miliardi l’anno, le stesse risorse tagliate in modo lineare con un vantaggio in termini di prestazioni e di competitività sia per i cittadini che per l’industria”.