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QS Edizioni - giovedì 2 maggio 2024

Lavoro e Professioni

Decreto Balduzzi. Responsabilità civile e penale: a chi giova?

di Matteo Piovella
immagine 5 settembre - C’è troppa confusione in materia di responsabilità professionale sanitaria. Se non cambiano le regole si lederà irrimediabilmente il rapporto fiduciario medico paziente con conseguenti oneri economici e sociali inaccettabili per tutti
In questi giorni abbiamo avuto modo di commentare brevemente quanto contenuto nella bozza di decreto Balduzzi con riferimento alla responsabilità professionale evidenziando alcune perplessità ed incongruenze.

Ciò non toglie che, nell’apprezzare lo sforzo (quanto meno formale) di mettere mano ad una situazione così indecente, può essere utile condividere quattro punti iniziali e, a nostro avviso, essenziali per poter iniziare ad arginare un fenomeno ad oggi incontrollato: quello delle troppe infondate cause per responsabilità medico professionale.

Innanzitutto, è essenziale che si definisca esattamente cosa si intenda per “atto medico” e per “atto sanitario”. In questo modo, da un lato, si pongono le basi per conferire (una volta per tutte) autonoma legittimazione ad una attività di rilevanza costituzionale; dall’altro, si precisano esattamente i limiti, i confini e le rispettive responsabilità, rispetto alle altre professioni sanitarie e limitando alcuni atteggiamenti assolutamente inammissibili assunti in alcune Regioni note per la attivazione di una sorta di “Sanità Creativa”.

Un secondo punto è quello di eliminare ogni perplessità soprattutto (ma non solo)per chi svolge la professione sanitaria in una struttura pubblica o convenzionata inserendo una definizione della c.d. “Colpa Grave” analogamente a quanto previsto per la magistratura. Com’è noto, la legge 13 aprile 1988, n.117 (che avete fatto aggirando la volontà popolare referendaria) non esclude la responsabilità del magistrato ma la limita – come avviene per i medici e i sanitari – alle sole ipotesi di “dolo” e di “colpa grave” prevendendone una espressa definizione.

Costituiscono colpa grave:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
 
Basta leggere la definizione per comprendere che – di fatto – le ipotesi di colpa grave dei magistrati sono quasi impossibili da ipotizzare: infatti, bastano le dita di due mani per contare le sentenze di condanna pronunciate contro dei magistrati dall’88 ad oggi.

Come se non bastasse, la stessa legge prevede una “clausola di salvaguardia” per cui: “Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.

Sempre secondo tale legge l’azione per responsabilità civile può essere esercitata solamente dopo aver esperito tutti i rimedi processuali previsti nel procedimento avverso il provvedimento errato, e quindi, dopo che esso sia intangibile.
Infine, l’azione non può essere esercitata nei confronti del magistrato, ma deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ora è evidente: o qualcuno ci spiega per quale ragione il bene giustizia deve essere ritenuto più rilevante del bene salute, oppure è indiscutibile che si deve garantire con le stesse regole chi ogni mattina va a lavorare in un ospedale, spesso inadeguato e inefficiente, ponendo comunque la propria professionalità a disposizione di tutti e rischiando costantemente il proprio patrimonio personale.

Sotto quest’ultimo profilo, occorre che si metta mano all’entità dei risarcimenti individuando modalità idonee ad inserire dei limiti adeguati e proporzionati, analogamente a quanto accade ad altre forme di risarcimento danni previste nel nostro Paese.

Infine, è necessario prevedere che chi svolge la funzione di Consulente Tecnico di Ufficio sia competente in materia del giudizio in cui viene chiamato:

o perché la legge impone di usare degli specialisti “veri” ed “esperti”;

o perché questa esperienza viene comprovata dalla loro società scientifica (ma che sia una società “ scientifica”, veramente rappresentativa di quella specialità a livello nazionale ed internazionale);

o perché prima di assumere l’incarico firma una “autocertificazione” in cui dichiara di essere esperto in quel tipo di terapia o di intervento: basta che firmi, poi ci pensiamo noi a controllare e a … reagire!

Ora la domanda è: perché le istituzioni continuano a ignorare queste richieste necessarie ed inevitabili ?
Perché benché siano in grado di presentare in aula i giusti provvedimenti i nostri politici si defilano?   
Perché invece di portare i sanitari verso le regole della magistratura tendono a smantellare quest’ultima portandola verso il Far West della sanità?

Una cosa è certa, se non cambiano le regole si lederà irrimediabilmente il rapporto fiduciario medico paziente con conseguenti oneri economici e sociali inaccettabili per tutti.

Per capire il nostro stato d’animo è opportuno che i politici italiani si rendano conto che se loro fossero sottoposti alle medesime regole che oggi (di fatto senza controllo) vengono applicate alla responsabilità professionale in medicina la quasi totalità di loro,come i medici,dovrebbero preoccuparsi di sostenere i costi ed i turbamenti di una difesa contro azioni giudiziarie per lo più infondate.

 Se ne salverebbero pochi.  Anche in tal caso, da contare con le dita di due mani. Contiamo su di loro.
 
Matteo Piovella
presidente SOI, 
Società Oftalmologica Italiana 

 
5 settembre 2012
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