Lavoro e Professioni
Standard ospedalieri. Anaao Assomed: “È mancato il confronto con i medici“
di Costantino Troise e Carlo Palermo· Gli standard ipotizzati nel Regolamento approvato rappresentano, di fatto, un ritorno ad una organizzazione ospedaliera riscontrabile in Italia negli anni 80’. Oggi non è immaginabile ipotizzare ospedali che abbiano un accesso al P.S. superiore a 25.000/30.000 utenti per anno, senza una guardia cardiologica e rianimatoria h 24 e letti di terapia intensiva e sub-intensiva gestiti in modo multidisciplinare. Gli eventi cardiovascolari, le gravi insufficienze respiratorie, gli stati di shock rappresentano le principali urgenze che un P.S. affronta . Non avere uno specialista esperto nelle tecniche rianimatorie o nella clinica delle malattie cardiovascolari, e reparti adeguati , significa solamente condannare a morte un discreto numero di cittadini ogni anno, soprattutto se le distanze dai centri maggiori sono superiori ai 60 minuti, così come limitare in modo consistente lo sviluppo delle attività chirurgiche. Senza contare che una rigida segmentazione per bacini di utenza rischia di essere facilmente superata dai bacini di utenza reale i quali, ovviamente, dipendono dal tipo di attività e dalla capacità di un ospedale di fare attrazione. Gli standard per gli ospedali di base rappresentano una regressione verso modelli organizzativi vecchi che costringono comunità di 100.000 150.000 anime a stare senza rianimazione e ad uno sviluppo delle attività chirurgiche fortemente limitato (chirurgia ambulatoriale e day surgery). Tutte le urgenze più importanti dovrebbero essere trasferite in altri ospedali sedi di DEA di 1° livello , che attualmente non sarebbero nemmeno in grado di accoglierle tutte.
· Per gli Ospedali sedi di Dea di I° livello (150.000/300.000 abitanti) la dotazione di UU.OO. specialistiche è scarna. Viene estremizzata l’organizzazione hub and spoke andando oltre i limiti per cui è nata (trattamento grandi traumi, sindrome coronarica acuta, stroke) con la tendenza generale di trasferire verso i grandi ospedali anche la casistica che con adeguata organizzazione potrebbe essere trattata in sedi vicine agli utenti. Non si tiene conto che la centralizzazione della casistica oltre certi limiti comporta ospedali con posti letto superiori a 600/800, che la letteratura economico-sanitaria considera come limite massimo per avere un adeguato controllo dei costi.
· Le indicazioni per la “Rete dell’emergenza/urgenza” strutturata in centrale operativa del 118, rete territoriale di soccorso, rete ospedaliera non tengono conto della necessità di assicurare un unico rapporto giuridico ai medici del 118 per una migliore integrazione funzionale e strutturale ed un unico modello organizzativo, quello del Dipartimento monospecialistico della emergenza-urgenza. Non risulta chiaro che gli elevati volumi di attività effettuati, sia nel settore dell’ emergenza preospedaliera che ospedaliera, ai fini della qualità ed affidabilità del servizio, necessitano di adeguato numero di personale dipendente con una formazione comune finalizzata all’acquisizione di competenze cliniche ed organizzative specifiche .
· Le madri ed i nascituri vengono trasformati in migranti obbligati, alla ricerca nel territorio provinciale di professionisti che effettuino prima il parto e poi i controlli previsti spesso nelle fasi successive alla nascita. Senza parlare dei malati oncologici e dei pazienti affetti da insufficienza renale cronica che necessitano del trattamento emodialitico, costretti a ricercare in luoghi lontani la soluzione ai loro problemi clinici.
Siamo di fronte ad una spinta dirigista orientata a tagliare con l’accetta l’ esistente, con il rischio che tutto si riduca ad un esercizio necessario per incidere ope legis su singole realtà organizzative, con la ingiustificabile , ma non più sorprendente, esclusione delle Aziende Ospedaliere Universitarie, che pure concentrano il più elevato numero di strutture complesse in relazione al numero di dipendenti ed i volumi di attività con le maggiori criticità in termini di dispersione della casistica . Ma è curioso che sia il Ministero a decidere il numero delle Unità Operative Complesse, nell’ipotesi che chiudere posti letto qui e là per gli ospedali porti a una inversione dei costi, i quali si modificano solo se si chiudono interi Ospedali. E si rassegni anche chi pensa che da questa operazione possa scaturire una razionalizzazione del numero e della tipologia delle strutture complesse attraverso l’eliminazione di reparti che sopravvivono al di sotto di ogni standard, compresi quelli di decenza. L’operazione di taglio dei primariati ospedalieri è stata da tempo avviata dalle Regioni ed oggi i veri baroni della medicina non tremano, essendo stati esentati dal Ministro, e dalle Regioni, dal rispondere agli obblighi di programmazione in termini di riduzione di posti letto e numero di strutture complesse: la sanità universitaria come ultima variabile indipendente, per gentile concessione di Ministri e Governatori, del sistema sanitario ed economico!
Il documento non ci sembra in grado di imprimere una nuova direzione al sistema ospedaliero, né di individuare le articolazioni organizzative necessarie per rispondere in modo più flessibile alle persone e ai loro problemi, né tantomeno i contingenti ottimali di risorse professionali per garantire le cure e la loro sicurezza, al di là del non nuovo tentativo di introdurre la figura del risk manager.
Anzi, l’oggi criticato parametro posto letto è quello ritenuto più utile per una rideterminazione al ribasso degli organici. Da subito, con buona pace di giovani e precari di lungo corso, mentre la parte innovativa relativa alla determinazione di standard di prestazioni, in termini di esiti favorevoli delle cure e riduzione del rischio clinico, è , c’è da scommettere, destinata a molte eccezioni. Gira e rigira l’obiettivo è ancora il costo del lavoro dei professionisti, da ridurre non solo con un blocco contrattuale decennale, ma con la loro riduzione numerica, attraverso blocco del turn over e rottamazione, lasciando al palo le speranze dei giovani medici, ai quali si concede soddisfazione solo se funzionale agli interessi della Università nel mantenere in piedi immutato un sistema formativo decotto.
Senza un confronto con i Medici e le altre professioni sanitarie, ed i loro rappresentanti, si confezionano prodotti a tavolino, modellini tecnocratici che difficilmente riusciranno a rappresentare e migliorare la realtà complessa degli ospedali, che, piaccia o non piaccia , della sanità italiana costituiscono un pilastro insostituibile. E resistente, di fronte a chi vuole rottamare contenitore e contenuto, che è fatto di diritti, saperi, competenze, per di più con esiti incerti visto che le Regioni continueranno a regolarsi in base a scelte locali, come testimonia il fatto che molte hanno già fatto i tagli non in base a standard, ma a motivazioni geopolitiche.
Per cambiare pagina occorre aprire un confronto vero tra tutti gli attori coinvolti nel sistema sanitario, per meglio rispondere alle attese di salute di cittadini stremati da una crisi economica che sembra non avere fine e andare oltre la retorica della scelta epocale per affrontare insieme la prosa delle scelte che servono. Altrimenti la sanità continuerà a rincorrere di manovra in manovra le ragioni della propria sostenibilità ed i cittadini le condizioni per esigere un diritto costituzionale.
Costantino Troise Segretario Nazionale Anaao Assomed
Carlo Palermo Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed