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QS Edizioni - giovedì 2 maggio 2024

Lavoro e Professioni

La Fimmg ribadisce il suo no alla dipendenza per i medici di famiglia: “È solo una bandierina che si sventola ogni volta che si vogliono coprire le inefficienze del management”. Intervista al segretario, Silvestro Scotti

di Luciano Fassari
immagine 5 maggio - Ma è certo che qualcosa va cambiato e con il leader del maggior sindacato della medicina generale abbiamo parlato di formazione, convenzioni, piani terapeutici, riassetto della medicina territoriale anche alla luce dell'esperienza Covid. E proprio da qui siamo partiti con l'accusa rivolta a Governo e Regioni di "essere stati lasciati soli senza possibilità di fare tamponi né di prescrivere farmaci". E poi un chiarimento sulla questione dell'accordo con Sanofi che ha suscitato molte polemiche: “Amplificata una lettera di intenti chiara nelle libertà delle parti”
“Ci hanno lasciato soli senza la possibilità di fare i tamponi e prescrivere farmaci”. Silvestro Scotti, segretario della Fimmg non usa mezzi termini per definire quanto è accaduto nei confronti dei medici di famiglia in questa emergenza Covid. Ma non solo, il segretario in questa intervista respinge al mittente le critiche e boccia l’ipotesi di passaggio alla dipendenza: “Sarebbe una follia. Ogni volta per coprire le inefficienze del management si sventola questa bandierina”.
 
Dubbi poi sulla specializzazione in medicina generale che “costerebbe troppo” e poi ci sarebbe il problema dell’Università che non “ha le giuste competenze” per fare la formazione. E poi il j’accuse ai dipartimenti di prevenzione dove vige una “gestione burocratica assistenziale” e la richiesta di abolire i Piani terapeutici così come sono oggi: “se si sono bloccati nell’emergenza si può farlo anche dopo”.
 
Dottor Scotti, in questi mesi di emergenza sono venute fuori le carenze del territorio. Ma cos’è che non ha funzionato dal vostro punto di vista?
Guardi, glielo riassumo in una frase: ci hanno lasciato soli e senza informative specifiche e orientamento sul ruolo assistenziale.
 
Insomma col cerino in mano?
All’inizio dell’emergenza a dire il vero col cerino in mano c’era il sistema che in una prima fase chiedeva ai cittadini di rivolgersi al 118. Visto che così facendo il sistema di emergenza dell’ospedale è andato in tilt abbiamo chiesto noi che i cittadini potessero rivolgersi al proprio medico di famiglia. Ci siamo adoperati per il triage telefonico in modo da evitare che gli studi potessero diventare dei focolai, ci siamo battuti per digitalizzare le ricette, per informare i nostri pazienti e poi però non sono arrivate direttive che permettessero a noi di agire su tamponi e sulle terapie.
 
E questo cos’ha comportato?
Grandi difficoltà perché, oltre al fatto di non aver avuto le protezioni, ci siamo trovati con una mole di richieste senza poter essere messi in grado di soddisfarle. Insomma, con le armi spuntate, ma non può esistere una azione assistenziale che viene fermata al sospetto diagnostico e al monitoraggio e non accede direttamente e immediatamente con responsabilità alla diagnostica e alla terapia. E tutto questo per colpa di una gestione burocratica assistenziale gestita dai servizi di prevenzione delle Asl, che coinvolti per la sola necessaria azione contumaciale sono stati invece centrali in tutti i processi mostrando i loro limiti.
 
Mi faccia un esempio.
Se un medico di famiglia ha un sospetto, sulla base delle linee guida ovviamente, non può decidere se fare il tampone. Deve inoltrare la richiesta alle Asl e così nella realtà succede che passano giorni e giorni oltre al fatto che il medico insieme ai pazienti hanno dovuto inseguire numeri di servizi improbabili che sembravano più utili a scoraggiare una diagnosi di certezza che a favorirla. Un fatto gravissimo anche perché nel frattempo i pazienti possono aggravarsi e devono ricorrere all’ospedale e poi perché fino al risultato del tampone positivo non possiamo nemmeno disporre da subito, ovvero dal nostro sospetto, l’isolamento per loro e la quarantena per gli eventuali conviventi. E poi c’è il problema della prescrizione dei farmaci.
 
Solo poche Regioni vi autorizzano alla prescrizione?
Purtroppo si contano sulle dita di una mano e riteniamo tutto ciò assurdo. Tutto è stato spostato sull’ospedale, anche farmaci come l’idrossoclorochina, e poi sono solo le farmacie ospedaliere ad erogarli cosa che ha creato percorsi prescrittivi da inventare perché il territorio ne avesse la capacità diretta. Insomma, per farle capire, tutto questo ha creato un cortocircuito che è sotto gli occhi di tutti.
 
Ma le Usca?
Anche lì si è creato un meccanismo perverso per cui solo in poche regioni, tra quelle che le hanno attivate, hanno previsto il raccordo con il medico di famiglia. Insomma, si è creato un ulteriore silos direttamente coordinato dai dipartimenti di prevenzione o dai distretti che certo come tutti i servizi sono stati travolti dalla pandemia. Sarebbe bastato osservare cosa si stava determinando per le sospensioni a cui abbiamo assistito sia sulla pratica vaccinale obbligatoria che sulla presa in carico specialistica di secondo livello durante la pandemia per capire i limiti strutturali che c’erano. Invece di integrare gli interventi si è andati per ordine sparso. Il punto è che si cerca di regolare un processo assistenziale come se fosse secondario alla sorveglianza epidemiologica quando invece dovrebbe essere tutto il contrario.
 
C’è che vi critica che in questa fase state solo a casa fare ricette e a rispondere al telefono. Come risponde?
Guardi queste critiche lasciano veramente il tempo che trovano e sta lì a dimostrarlo anche la mole di medici di famiglia che hanno contratto il virus e che sono purtroppo deceduti, e purtroppo non sappiamo nemmeno con precisione quanti siamo i positivi avendo solo in pochissimi casi avuto accesso ai tamponi. Lavoriamo sette giorni su sette e rispondiamo ai nostri pazienti in qualsiasi momento della giornata. Continuiamo a fare le visite a domicilio anche perché vorrei ricordare che non è che durante l’emergenza da Covid 19 le altre patologie sono scomparse. Insomma, noi ci siamo sempre e lo stesso non si può dire di altri.
 
In ogni caso si è tornati a parlare di dipendenza per il vostro ruolo. Alla fine sono 20 anni che si dibatte il tema senza mai trovare una soluzione condivisa che possa realmente potenziare il territorio. Come fare?
Ogni volta che c’è qualcosa che non va si ritira fuori la storia della dipendenza. Ma le rigiro la questione. Non è che questa bandierina viene sventolata per coprire le inefficienze del management? Troppo spesso chi gestisce non sa assolutamente nulla del territorio e utilizza i sistemi di gestione ospedalieri come gli ordini di servizio e i galloni del ruolo gerarchico. Ecco così non si andrà mai da nessuna parte. La Lombardia negli anni ha distrutto l’assistenza territoriale, ha dato spazio ad uno sviluppo del territorio solo sulla gestione della cronicità con le cooperative della medicina generale e poi quando è arrivata l’emergenza si sono accorti del deserto sulla gestione dell’acuto e invece di riorientare la organizzazione delle cooperative su una capacità più totipotente di gestione del territorio (centri servizi, personale, DPI, funzioni di coordinamento dell’azione dei medici sul territorio e con l’ospedale) investendo le giuste risorse non hanno fatto altro che ritirare fuori la storia della dipendenza.
 
Quindi secondo lei è impraticabile.
Innanzitutto costerebbe una follia anche perché sarebbe lo Stato a doversi far carico della gestione e dei costi degli ambulatori e di tutti i fattori di produzione compreso il personale. Ma soprattutto dobbiamo dire al cittadino che molto probabilmente dovrà fare molti più chilometri per trovare un medico. Si è parlato, infatti, del modello portoghese, ebbene diciamo però pure che lì c’è un medico ogni 5.000-20.000 pazienti, voglio vedere come finirà il soggetto anziano e fragile che praticamente dovrà limitare il suo contatto con il medico di cure primarie, riducendo in questa maniera quella sorveglianza continua tipica della medicina di famiglia che gli allunga l’aspettativa di vita. E poi io credo che il modello fiduciario che consegna al cittadino la possibilità di scegliersi il proprio medico sia un valore aggiunto che con la dipendenza non sarebbe possibile. Ogni paziente si troverà potenzialmente sempre di fronte ad un medico diverso da quello che sceglie e probabilmente quel medico avrà più riferimento sugli interessi aziendali che su quelli del paziente nella continua battaglia tra appropriatezza economica e appropriatezza assistenziale. 
 
Cosa ne pensa invce della possibilità di arrivare a una sorta di “convenzione quadro” per l'assistenza e al medicia del territorio, che tenga conto di tutti i professionisti che vi lavorano?
In linea di massima è una buona idea e sarei pure d’accordo, a patto che anche il management dei distretti sia convenzionato, altrimenti siamo da capo a dodici. Noi sono anni che ci battiamo per essere messi nelle condizioni di esercitare la nostra libera professione con dotazioni strumentali in grado di offrire più servizi di cura ai nostri pazienti e di essere, con l’ausilio della tecnologia, in rete con tutte le strutture del Ssn. Ebbene, a parte l’ultima legge di Bilancio dove si è fatto un passo avanti in tal senso sulla carta per ora, nulla è stato fatto, nemmeno oggi che usare quelle risorse o quella direzione potrebbe produrre per la gestione del Covid-19 ma potrebbe essere in economia di scala la base per il futuro di assistenza primaria della cronicità con tecnologia e diagnostica nelle mani del medico di famiglia e in rete con ospedali e specialistica territoriale. Il problema è sempre il solito: i dipendenti vogliono governare i convenzionati come se fossero dei dipendenti, peraltro in molti casi senza conoscere il loro lavoro, il modello contrattuale e conseguentemente le leve motivazionali che vanno utilizzate per lo sviluppo di una categoria.
E per quanto riguarda la formazione non pensa che quella in Medicina generale possa diventare una vera e propria specializzazione?
Anche qui, riconosco l’esigenza di mettere mano a corsi anche con criteri formativi nazionali più chiari, ma una specializzazione per come la si intende normalmente costerebbe troppo. Si dovrebbero finanziare ogni anno minimo 2.000 borse, borse che dovrebbero raddoppiare come visto per equipararle alle altre specialità senza contare il contenzioso per tutti quelli degli anni precedenti che richiederebbero quanto in differenza a loro è stato negato. Dovremmo inventarci un nuovo modo di fare specialità in Medicina generale, fortemente connessa al territorio unica area capace della formazione specifica con un contributo accademico legato alla verifica del processo di apprendimento e competente su alcune aree di formazione, con i giovani in formazione capaci anche di una azione assistenziale produttiva per l’Azienda Sanitaria tale da compensare la differenza di reddito della loro borsa creando così un vero processo di formazione-lavoro con una specializzazione diversa come è diversa la Medicina Generale dalle altre discipline.  Ma il problema è chi tra attori così diversi (Università, Aziende Sanitarie, Medicina Generale) sarà disponibile ad una formazione a più mani senza primarietà gestionali?
 
Le Università?
Peccato che non hanno al loro interno le giuste competenze. Ma il punto è un altro.
 
Quale?
Perché l’Università non mostra la propria intenzione, già nei sei anni di corso di Laurea in Medicina, di voler formare un medico totipotente, ovvero un medico che sia in grado un domani sia di fare lo specialista che il medico del territorio. Ecco le pari dignità e strumenti devono partire già dal Primo ciclo di laurea, sarebbe già un bel passo avanti.
 
Senta, altra questione è quella dei Piani terapeutici. Aifa li ha prorogati ma pensa sia il caso di rimetterci mano? 
Mi pare chiaro che se i piani terapeutici per l’emergenza si possono prorogare si possono anche eliminare del tutto. Come sa il percorso è altamente burocratizzato. Il paziente va dal medico di famiglia, poi va dallo specialista, poi torna dal medico di famiglia per la prescrizione e poi va in farmacia. È evidente che nel 2020 e con la pandemia comunque presente questi passaggi sono troppi. Perché invece non pensare ad un video consulto del medico di famiglia con lo specialista, di modo che noi visitiamo il paziente e poi ci consultiamo con lo specialista per coordinarci sulla terapia, differenziando e distanziando ma non eliminando il contatto diretto con lo specialista? Si parla poi di costi ma oggi visto che sono andati in dematerializzata anche i farmaci in piano terapeutico diversamente da prima, il Mef può controllare ogni singola prescrizione e ci sono strumenti anche per verificare appropriatezza. Insomma, gli strumenti ci sono ma è solo che non si vogliono usare, anche se a parte il vantaggio per i pazienti si pensi a quello sulle liste d’attesa.
 
Un’ultima domanda, ci sono state molte polemiche per l’accordo fatto da Fimmg e Simg con la Sanofi per la formazione dei medici. Vi accusano di conflitto d’interessi. Può chiarirci la questione?
Penso che chi amplifica una lettera di intenti chiara nelle libertà delle parti, nella non esclusività di rapporto e nella necessita di ulteriori definizioni per avere le operatività come se fosse un contratto, parte dal tipico concetto italiano in cui si è colpevole e spetta al soggetto incolpato provare il contrario. Ricorderei a tutti i puri del “no grazie pago io” che grazie alle aziende farmaceutiche italiane e non, più dello Stato, che per carità ha avuto le sue difficoltà su questo aspetto, abbiamo raccolto 5 milioni di euro tra materiali e fondi per fornire i medici di medicina generale di strumenti di protezione, di solito rispetto a tale solidarietà io sono stato abituato a dire grazie, ma si sa la riconoscenza è la qualità degli umili e dei puri di cuore.
 
 Luciano Fassari
5 maggio 2020
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