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QS Edizioni - sabato 18 maggio 2024

Lettere al Direttore

Da ospedaliero a medico di famiglia e non mi pento

di Luca Rossi
28 febbraio - Gentile Direttore,
sono Medico di Famiglia dal 01/07/2021, dopo 30 anni di lavoro ospedaliero. Premetto che la mia attività non la trovo così difficoltosa come troppo spesso dichiarato da Medici di Medicina Generale. Tengo il mio cellulare acceso 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana, termino la giornata esaurendo tutte le richieste quotidiane in modo da ricominciare "vergine" ogni nuova giornata successiva. Non ho più il capestro di turni di guardia e finalmente non devo occuparmi di Sabati e Domeniche.
 
Certo, non so quando riuscirò ad organizzare una vacanza, ma per il momento non è una necessità. Faccio regolarmente delle visite domiciliari (anche a casa di isolati per COVID se non stanno bene per evitare superflui ricoveri). Naturalmente utilizzo in modo massivo la tecnologia a mia disposizione e studio costantemente il modo di costruire un proficuo rapporto medico-paziente (utilizzando il buon senso, la buona pratica clinica e i metodi della Programmazione Neuro-Linguistica).
 
Non sento il bisogno di altro, se non quello di crescere e migliorare come Medico e come Uomo.
Non mi spaventa neppure l'eventuale aumento di carico di lavoro prospettato con l'adozione di una riorganizzazione del sistema di governo della sanità territoriale, perché sarà solo una questione di organizzazione, soprattutto mentale, niente che una mente elastica ed evolutiva non possa affrontare e superare.
 
Mi chiedo però se il legislatore abbia presente la mentalità della maggioranza dei medici di medicina generale che, come qualsiasi altro lavoratore, ha sviluppato una mentalità conservativa. In particolare all'impatto su quei medici (molti) che si pensioneranno anticipatamente per non sottostare o affrontare un cambiamento che, al momento, pare penalizzante sotto molti punti di vista. E' stata presa in considerazione la vera entità di questa "fuga"?
 
E quanti medici poi che, come me, volevano passare al territorio non lo faranno perché non hanno più la forza e la voglia di "imbarcarsi" in una "avventura" dai contorni al momento incerti? Si è pensato al numero di infermieri e operatori già in numero insufficiente, alla possibilità che riempiendo un bicchiere se ne svuoterà un altro? Ci sarà la forza lavoro per strutture al momento praticamente inesistenti, da costruirsi o da convertirsi? I tempi per raggiungere un minimo di efficienza saranno sicuramente lunghi e i pensionamenti avranno comunque un succedersi regolare (o ultra-regolare a causa dei pre-pensionamenti).
 
Tempi sufficienti a "istruire" in modo massivo e programmato le figure necessarie al sistema odierno e che così tornerebbe all'efficienza grazie ad un efficace rapporto numerico professionista sanitario-assistito. Creare nuovi posti in sanità e non in edilizia (intendo case o ospedali di comunità).
 
E gli assistiti? Siamo sicuri di soddisfare le loro richieste, non solo di salute, ma anche di esseri umani con le loro paure e insicurezze? Si finirà per perdere il rapporto di fiducia nel "proprio" medico, trovando nella nuova realtà un medico sempre diverso o un medico affaticato (i suoi 1.500 assistiti e le 18 ore settimanali delle case o negli ospedali di comunità)? O nelle nuove strutture saranno destinati solo giovani e inesperti medici usciti da poco dal Corso di Medicina Generale?
Un umile pensiero che da qualche giorno vaga nella mia mente, forse limitata
 
Dr. Luca Rossi
Medico Chirurgo
Cardiologia - Medicina Interna
Medicina di Famiglia
Garlasco (PV)
 
28 febbraio 2022
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